L’umanità sta venendo sepolta a Gaza. Dobbiamo sollevarci per salvare il nostro futuro collettivo

Gaza non è un’anomalia. È uno specchio. Un riflesso del nostro mondo così com’è realmente oggi. E per molti, un’anteprima di ciò che verrà.

Fonte: English version

Di Omar Aziz  –  28 maggio 2025

Immagine di copertina: Il 28 maggio 2025, organizzazioni benefiche distribuiscono pasti caldi ai palestinesi di Gaza City, che soffrono la fame a causa degli attacchi israeliani e della chiusura delle frontiere. Mentre continuano gli attacchi incessanti e devastanti di Israele contro la Striscia di Gaza, le politiche israeliane hanno aggravato la già grave crisi umanitaria e le condizioni di carestia nella Striscia. (Foto di Omar Ashtawy/apaimages)

“Qual è la sua posizione sulla questione del male?”. Questa domanda mi risuona nella mente da quando ho intervistato la dottoressa Ghada Karmi, autrice palestinese e sopravvissuta alla Nakba, lo scorso giugno. Mi ha raccontato che le sue esperienze d’infanzia – la pulizia etnica di Gerusalemme nel 1948 – sembrano quasi “nulla” in confronto a ciò che sta accadendo oggi a Gaza.

Questo fine settimana ci siamo svegliati con la notizia che Israele aveva incenerito altri 33 palestinesi, per lo più bambini, mentre si rifugiavano in una scuola a Gaza City. Un video mostra una bambina di sei anni, di nome Ward (“fiore” in italiano), che corre disperata. La sua piccola sagoma si stagliava contro l’inferno che divorava il cielo notturno.

Abbiamo anche appreso che le forze israeliane hanno bombardato l’abitazione della dottoressa palestinese Alaa al-Najjar mentre era al lavoro, uccidendo nove dei suoi figli e ferendo il marito (poi deceduto ndt). Un bambino è sopravvissuto, aggrappato alla vita in terapia intensiva.

E come se le azioni di Israele potessero diventare ancora più depravate, giunge la notizia che le forze israeliane hanno ucciso almeno dieci palestinesi affamati, in coda per ricevere aiuti nel nuovo sito di distribuzione sostenuto dagli Stati Uniti, alla periferia di Rafah.

Il genocidio è ora entrato in una nuova fase, ancora più letale, soprannominata da Israele “Operazione Carri di Gedeone”. Ogni giorno si registra un nuovo conteggio: “30 palestinesi uccisi prima di colazione”. “80 palestinesi uccisi oggi”. “100 ieri”. Il ritmo della campagna di sterminio israeliana continua ad accelerare.

Nel frattempo, circolano video di israeliani che accendono barbecue appena fuori Gaza. Il profumo della carne grigliata viene deliberatamente diffuso su una popolazione affamata che vive in una carestia forzata. I manifestanti israeliani bloccano i camion degli aiuti umanitari. E il mondo, per lo più, non fa nulla.

Trump mantiene le sanzioni alla Corte penale internazionale per aver osato perseguire criminali di guerra israeliani. Gli stati occidentali continuano a fornire armi e intelligence, e a tenere aperti i canali diplomatici. Gaza rimane in gabbia. E quindi dobbiamo chiederci: qual è la nostra posizione sulla questione del male?

Questa non è più una domanda filosofica o retorica. È viscerale. È urgente. E richiede una risposta, non solo dai nostri governi, ma da ciascuno di noi.

Se il genocidio – il crimine dei crimini – non segna più una linea rossa, allora non ne rimangono più. L’umanità nel suo insieme è minacciata. Siamo tutti vulnerabili.

Dobbiamo finalmente abbandonare l’illusione che i governi proteggano i nostri confini morali condivisi. Se non saranno loro a tracciare il limite, dovremo farlo noi.

L’attacco di Israele è senza precedenti

Ciò che Israele ha scatenato su Gaza è senza precedenti, sia per portata che per ferocia. Il suo attacco è segnato non solo da una sistematica campagna di sterminio che ha già ucciso oltre 60.000 palestinesi, ma da una crudeltà performativa così sfacciata che i suoi stessi soldati registrano e trasmettono le loro atrocità al mondo.

 Un orgoglioso spettacolo di eroiche imprese: distruggere giocattoli per bambini, fare esplodere una casa con la semplice pressione di un pulsante e saltellare in giro indossando le mutande di una donna palestinese.

Gaza è stata trasformata in un mattatoio, migliaia di ostaggi palestinesi languiscono ancora nelle camere di tortura israeliane e coloro che commettono i crimini sembrano gioire della devastazione.

 Con le sue azioni, Israele si è dichiarato non solo indifferente alla sacralità della vita umana, ma addirittura nemico di essa

Basta guardare le dimensioni di ciò che accade.

Questa è la carestia più accelerata al mond . La più alta percentuale di donne e bambini uccisi in qualsiasi conflitto registrato. Il maggior numero di giornalisti , operatori umanitari , personale delle Nazioni Unite e medici deliberatamente presi di mira e assassinati. Gaza ha ora la più alta popolazione pro capite di bambini amputati al mondo.

Oltre 70.000 tonnellate di esplosivo sono state sganciate nei primi sei mesi, più di quante ne furono sganciate sulle città europee più devastate durante tutti e sei gli anni della Seconda Guerra Mondiale. Si tratta dell’equivalente esplosivo di sei bombe nucleari, sganciate su una striscia di terra più piccola di East London. Un luogo dove metà della popolazione è composta da bambini. E nessuno può fuggire.

Eppure Israele rivendica la “legittimità”. Una finzione grottesca e ridicola di fronte al genocidio più documentato al mondo.

Un recente sondaggio di Haaretz ha rilevato che l’82% degli ebrei israeliani sostiene la pulizia etnica di Gaza. E il 47% sostiene l’uccisione di tutti i palestinesi nelle città conquistate dalle forze israeliane.

Perpetrare il genocidio non è un’opinione marginale di un’élite politica, ma una visione diffusa, diffusa e popolare. Lo stato attuale della società israeliana è il frutto di decenni di impunità concessa a fronte di decenni di ininterrotta violenza esercitata contro i palestinesi.

Il sionismo, a lungo protetto dalle critiche, si è ora esposto al mondo intero. Non è altro che un’ideologia coloniale che tratta la vita palestinese come un problema da eliminare. Che i palestinesi resistano con le armi o con il sorriso sulle labbra, è solo la loro esistenza a essere intollerabile.

Persino la più grande clinica per la fertilità di Gaza è stata bombardata. 4.000 embrioni distrutti in un unico attacco. Nella logica del sionismo, anche la potenziale vita palestinese è una minaccia che deve essere eliminata.

Ciò che accade a Gaza non resterà a Gaza

Il presidente colombiano Gustavo Petro lo ha detto meglio alla COP28: “Quello che stiamo vedendo a Gaza è una prova generale del futuro.

Gaza è un esperimento vivo. Un banco di prova. E in un mondo globalizzato, ciò che si semina torna indietro, e in fretta.

Il futuro è arrivato e il Nord del mondo ha dormito a lungo, nonostante l’allarme. Per decenni, i palestinesi hanno fissato la canna del fucile e l’anima della bestia.

I palestinesi, in particolare a Gaza, sono da tempo al limite estremo e più acuto della coalizione di forze che dominano il nostro mondo e ci minacciano tutti sempre di più.

Uno dei nostri collaboratori, Omar Salah, ha descritto la presenza costante di droni sopra il suo campo profughi a Deir al-Balah. “Di notte è peggio”, ha detto. “I quadricotteri sorvolano il campo e scattano foto. A volte ti costringono a uscire dalla tenda. A volte sparano. A volte uccidono”.

Sappiamo già che Israele usa i palestinesi come cavie per testare nuove armi e sistemi di sorveglianza. Queste tecnologie, pubblicizzate come “testate in battaglia , vengono vendute a governi e aziende in tutto il mondo. Gli stessi strumenti vengono utilizzati per la sorveglianza capillare di dissidenti, giornalisti e cittadini in generale, da New York a Nuova Delhi.

Ora, Gaza è il banco di prova per la guerra alimentata dall’intelligenza artificiale, in quello che è stato soprannominato il primo “genocidio assistito dall’intelligenza artificiale”.

 Mentre i droni sorvolano i cieli 24 ore su 24, 7 giorni su 7, Israele si vanta di sorvegliare in tempo reale l’intera popolazione prigioniera e ha ammesso di utilizzare l’intelligenza artificiale per generare “liste di morte” di palestinesi, basate su dati come i gruppi WhatsApp a cui appartengono e la frequenza con cui hanno cambiato cellulare. E giganti della tecnologia come Microsoft, Google e Palantir stanno orgogliosamente fornendo all’esercito israeliano servizi tecnologici cruciali, mentre porta avanti il ​​suo assalto.

Per queste aziende tecnologiche, la strada verso il dominio dell’intelligenza artificiale è lastricata di cadaveri, e i palestinesi rappresentano il banco di prova ideale.

Un sistema che premia la barbarie

Ciò che sta accadendo a Gaza non è un’aberrazione. È la conclusione logica di un sistema globale che per secoli ha premiato l’accumulazione rapace di risorse, terra e manodopera attraverso l’espropriazione indigena e il genocidio. 

È lo stesso sistema che idolatra i miliardari per aver lanciato razzi inutili mentre taglia i fondi ai servizi pubblici. Che premia l’egoismo e punisce la solidarietà. Che incentiva una mentalità estrattivista e iper-individualista a scapito della collettività.

Che vede tutto ciò che contribuisce alla vita come un costo da tagliare o cancellare o, meglio ancora, da privatizzare a scopo di lucro.

Con l’estrema destra in ripresa in assenza di una sinistra organizzata, la traiettoria è chiara: muri più alti, più prigioni, sorveglianza più approfondita, polizia sempre più militarizzata e più vite considerate sacrificabili.

Gaza non è un’anomalia. È uno specchio. Un riflesso del nostro mondo così com’è realmente oggi. E per molti, un’anteprima di ciò che verrà.

Come ci ha detto il Dott. Sai Englert al Palestine Deep Dive:

“Il movimento nazionale palestinese ci offre uno strumento per trasformare la nostra società. Dice: lottate per il controllo democratico delle vostre istituzioni, delle vostre aziende, dei vostri governi. Non lasciatevi governare dal capitale. Lasciatevi governare dagli interessi collettivi.

Se il futuro deve essere davvero nostro e non loro, essendo loro quello dei trafficanti d’armi, dei magnati dei combustibili fossili, dei baroni della tecnologia o dei finanziatori della guerra, allora dobbiamo coglierlo”.

Solleviamoci

Il dottor Mohammed Ashraf, chirurgo palestinese di Gaza, è diventato virale mentre teneva in mano l’arto di un bambino che aveva dovuto amputare senza anestesia, perché Israele aveva bloccato gli aiuti medici.

Le sue parole sono state dure: “Quello a cui stiamo assistendo ora è una prova. Se l’umanità fallisce questa prova, non si fermerà solo a Gaza”.

Non si tratta solo della Palestina. Si tratta del futuro dell’umanità.

E questo momento richiede più che hashtag, più che indignazione. Richiede una risposta collettiva commisurata al crimine.

I palestinesi ci hanno mostrato cosa significa resistere contro ogni previsione. Hanno denunciato la brutalità dei nostri sistemi globali e la bancarotta morale di chi detiene il potere. Dobbiamo a Gaza non solo solidarietà, ma anche azioni concrete.

Se una nave di aiuti può salpare verso Gaza, come la Conscience della Freedom Flotilla prima di essere bombardata da un drone israeliano, perché non mille?

Se è possibile chiudere una fabbrica di armi israeliana in Occidente attraverso un’azione diretta, perché non farlo con tutte?

Se centinaia di migliaia di manifestanti marciano a Londra e in tutto il mondo, perché non abbandonare le occupazioni permanenti?

Se i sindacati dichiarano solidarietà, dove sono gli scioperi diffusi?

La resa dei conti si avvicina, ma non possiamo aspettare. Dobbiamo diventare noi stessi quella resa dei conti.

Come ci ricorda l’attivista palestinese Mahmoud Khalil da dietro le sbarre negli Stati Uniti, detenuto per aver protestato contro il genocidio israeliano, Gaza non è un peso.

Stare al fianco di Gaza non è un obbligo da sopportare, ma un privilegio da preservare.

In questo momento, stare al fianco di Gaza senza scuse significa stare dalla parte dell’umanità e in difesa del nostro futuro collettivo.

Un futuro che non verrà consegnato. Ma che deve essere conquistato, costruito dal basso, con le mani, con il cuore e con la volontà, mentre rivendichiamo il nostro diritto a sentire. Il nostro diritto a provare empatia. Mentre resistiamo alla mancanza di amore e affermiamo il nostro diritto alla pienezza della vita. Attraverso la rottura. Attraverso l’immaginazione. Attraverso un’organizzazione senza paura.

Gaza non è in vendita. Se Trump immagina che Gaza si trasformi in un lussuoso complesso residenziale fronte mare, allora dobbiamo immaginarla rivitalizzata per la vita dei palestinesi.

Dobbiamo essere degni di questo momento. In ognuno dei nostri ambiti, alziamo il livello. Nelle aule, nei tribunali, nelle sale da concerto, nelle strade, negli stadi, nelle fabbriche e negli uffici: dobbiamo intensificare le nostre azioni per Gaza. Dobbiamo agire.

Ora è il momento di una sfida ancora più grande. Di unirci per fermare il genocidio e difendere Gaza come mai prima d’ora. E poi contribuire collettivamente a ricostruire Gaza e, così facendo, ricostruire noi stessi e il mondo che ci circonda.

Tutte le strade ora portano a Gaza. Tutte le conversazioni si infrangono sulle sue rive. Tutte le questioni morali si svolgono sotto la sua giurisdizione.

Perché Gaza è ora il cuore del mondo. Un cuore completamente esposto, in fiamme, ma ancora pulsante.

Traduzione a cura di Grazia Parolari 
“Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali”
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