“Come mostrano i notiziari e come i palestinesi sanno per esperienza, bruciare i bambini è diventato uno stile di vita per Israele.
Fonte: English version
Del Rabbino Brant Rosen
Dopo l’Olocausto, nessuna affermazione, teologica o di altro tipo, dovrebbe essere fatta che non sia credibile in presenza dei bambini che bruciano.
Questa famosa frase è tratta da un saggio del 1974: “Nuvola di Fumo, Colonna di Fuoco”, del Teologo Rabbino Irving Greenberg, in cui tentò di delineare una nuova teologia ebraica in grado di rispondere al monumentale cataclisma dell’Olocausto. Per Greenberg, l’immagine dei bambini ebrei che bruciano era la massima oscenità morale, nonché una sfida teologica cruciale. Come ha affermato lui stesso: “La crudeltà e le uccisioni sollevano la questione se persino coloro che credono dopo un simile evento osino parlare di Dio, che ama e si prende cura di loro, senza deridere coloro che hanno sofferto”.
Ho pensato alle parole di Greenberg la settimana scorsa, quando lunedì 26 maggio l’esercito israeliano ha condotto una serie di attacchi aerei nel Nord di Gaza, uccidendo 54 palestinesi, la maggior parte dei quali in un edificio scolastico che ospitava famiglie sfollate. La scuola Fahmi Al-Jargawi di Gaza ospitava centinaia di persone provenienti da Beit Lahia, che era stata sottoposta a un intenso attacco militare israeliano. Almeno 35 persone sarebbero state uccise nell’attacco alla scuola, metà delle quali bambini. L’esercito israeliano ha affermato, senza fornire prove, di aver preso di mira “un centro di comando e controllo di Hamas e della Jihad Islamica” presente lì.
I video condivisi sui social mostravano vasti incendi che avvolgevano la scuola, con immagini vivide di vittime gravemente ustionate, tra cui bambini, e sopravvissuti con ferite gravi. Faris Afana, responsabile del servizio ambulanze della Striscia di Gaza settentrionale, è arrivato sul posto con le sue squadre e ha trovato tre aule in fiamme. “C’erano bambini e donne addormentati in quelle aule”, ha detto. “Alcuni di loro urlavano, ma non siamo riusciti a salvarli a causa delle fiamme. Non posso descrivere ciò che abbiamo visto, tanto è stato orribile”.
In un video ampiamente condiviso, si vede la piccola Ward Jalal al-Sheikh Khalil, di cinque anni, stagliarsi contro le fiamme, mentre cerca di fuggire da un’aula in fiamme. Ward aveva assistito alla morte di sua madre e di cinque fratelli: Abd al-Rahman, 17 anni; Muhammed, 14 anni; Maria, 13 anni; e Silwan, 11 anni. Suo padre è ancora in terapia intensiva. Suo zio Iyad, che l’ha trovata all’Ospedale Battista, ha raccontato: “Mi ha detto di averli visti morire bruciati e di non aver potuto fare nulla. Ha cercato di fuggire dall’incendio prima che arrivassero degli uomini e la tirassero fuori”.
Tragicamente, questo orribile incidente non è stata la prima volta che Israele è impegnato in operazioni militari che hanno bruciato vivi bambini palestinesi. Il 14 ottobre 2024, Shaban al-Dalou, sua madre e i fratelli minori Abdul e Farah sono stati avvolti dalle fiamme nelle loro tende durante un attacco israeliano all’Ospedale Al-Aqsa di Gaza. Lo scorso aprile, cinque bambini, quattro donne e un uomo della stessa famiglia sono morti per gravi ustioni dopo che un attacco aereo israeliano ha colpito la tenda dove alloggiavano a Khan Younis. Lo stesso giorno, l’UNICEF ha annunciato che 15 bambini, tra cui un bambino con disabilità, sono morti bruciati vivi nelle loro tende nell’arco di 24 ore.
Va aggiunto che l’esercito israeliano ha bruciato vivi bambini palestinesi ben prima di questo momento. Durante l’attacco militare del 2008-2009, l'”Operazione Piombo Fuso”, le organizzazioni per i diritti umani hanno ampiamente documentato l’uso indiscriminato da parte di Israele di fosforo bianco, una sostanza chimica che provoca gravi ustioni, spesso fino alle ossa. Nel suo rapporto, Amnesty International ha citato Sabah Abu Halima, madre di 10 figli, gravemente ferita e che ha perso il marito, quattro figli e la nuora a causa di un devastante attacco con artiglieria al fosforo bianco contro la sua casa di famiglia. Nella sua testimonianza ad Amnesty International, Sabah ha dichiarato:
“Tutto ha preso fuoco. Mio marito e quattro dei miei figli sono bruciati vivi davanti ai miei occhi; la mia bambina, Shahed, la mia unica figlia, si è sciolta tra le mie braccia. Come può una madre vedere i propri figli bruciare vivi? Non ho potuto salvarli, non ho potuto aiutarli. Ero in fiamme. Ora brucio ancora dappertutto, soffro giorno e notte; soffro terribilmente”.
In verità, i bambini palestinesi hanno sopportato le ustioni per mano dell’esercito israeliano fin dalla fondazione dello Stato di Israele. Durante il famigerato Massacro di Deir Yassin, il 9 aprile 1948, le milizie ebraiche uccisero 110 palestinesi e commisero atrocità ben documentate contro i civili, tra cui donne, anziani e bambini. Esistono numerose testimonianze di questi eventi da parte di soldati ebrei e testimoni oculari. Un fotografo, Shraga Peled, ha raccontato: “Quando sono arrivato a Deir Yassin, la prima cosa che ho visto è stato un grande albero a cui era legato un giovane arabo. E quest’albero è stato bruciato in un incendio. Lo avevano legato e bruciato”.
Quasi dieci anni fa, il defunto studioso e scrittore ebreo Marc Ellis notò la tragica ironia dell’affermazione teologica di Greenberg in un post per il blog Mondoweiss. Durante l'”Operazione Margine Protettivo”, un attacco militare a Gaza nell’estate del 2014, in cui l’esercito israeliano uccise oltre 2.000 palestinesi, tra cui oltre 500 bambini, Ellis scrisse:
“Come mostrano i notiziari e come i palestinesi sanno per esperienza, bruciare i bambini è diventato uno stile di vita per Israele. Ha senso per il governo israeliano e per gli ebrei di tutto il mondo che sostengono l’invasione di Gaza, e persino per gli editorialisti del Wall Street Journal. I bambini bruciati di Gaza sono danni collaterali di una storia più ampia e importante”.
Per Greenberg, che vedeva la fondazione dello Stato di Israele in termini teologicamente redentivi, l’unica risposta sensata all’Olocausto è la sopravvivenza del popolo ebraico dopo il suo quasi annientamento. Questo è ciò che deriva dall’attribuire un significato sacro all’etnonazionalismo. Ed è a questo punto che siamo arrivati: ne osserviamo le conseguenze ogni giorno, in un Genocidio trasmesso in diretta, dove possiamo persino, oscenamente, guardare bambini bruciare vivi sui nostri dispositivi mobili.
Per la cronaca, ecco cosa ha detto il Rabbino Greenberg sulle attuali azioni di Israele a Gaza:
“Come può Israele affrontare il fatto che sta uccidendo migliaia di civili, inclusi molti bambini? La tradizione ebraica insegna che ogni essere umano è creato a immagine di Dio e ha un valore infinito. È straziante uccidere così tante persone ed è devastante rendersi conto che il prezzo per salvare Israele è la morte di così tante persone (tra cui, per non dimenticare, centinaia di soldati israeliani). Viene in mente il commento di Golda Meir secondo cui non potremo mai perdonare gli arabi per averci costretto a uccidere i loro figli. Eppure, è importante che il mondo sappia che Israele continua a fare il possibile per ridurre le vittime civili”.
Non sono sicuro che la teologia sia davvero di grande utilità in questo momento terrificante, ma dirò questo: qualsiasi affermazione, teologica o di altro tipo, fatta in presenza di alcuni bambini che bruciano e non di altri è niente meno che Chillul Hashem: una profanazione del nome di Dio.
Traduzione a cura di: Beniamino Rocchetto
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