L’occupazione sta distruggendo Israele dall’interno e i liberali non possono più ignorarla

I liberali israeliani incontrano il loro “momento Dred Scott”: non è possibile continuare a reprimere il legame diretto tra l’occupazione e la radicalizzazione politica, il crollo dello stato di diritto, il declassamento dello status internazionale di Israele e, in ultima analisi, la disintegrazione della stessa società israeliana.

Fonte: English version

O Asher -7 giugno 2025

Immagine di copertina: “Una visita dalla vecchia amante”, di Winslow Homer, 1876. La schiavitù non era solo un problema del Sud. (Foto: Smithsonian Museum of American Art)

La sentenza del 1857 della Corte Suprema degli Stati Uniti nel caso Dred Scott contro Sandford fu una delle più scandalose nella storia giudiziaria americana. La causa ebbe inizio un decennio prima, quando Scott, uno schiavo nero del Missouri, portò in tribunale il suo proprietario – e, dopo la morte del proprietario, l’esecutore testamentario – chiedendo di essere liberato. La causa attraversò diversi gradi di giudizio e infine giunse alla Corte Suprema. Lì, il Presidente della Corte Suprema Roger Taney, egli stesso proprietario di schiavi, affermò nella sentenza che i neri – schiavizzati o liberi che fossero – non erano e non avrebbero mai potuto essere cittadini degli Stati Uniti e quindi non avevano diritto a intentare causa presso un tribunale federale. Inoltre, la corte stabilì che il Congresso non aveva l’autorità di vietare la schiavitù nei nuovi territori federali.

La decisione sbalordì gli stati del Nord, che avevano già messo al bando la schiavitù. I nordisti non erano necessariamente contrari alla schiavitù in quanto tale per motivi morali: quel sentimento esisteva solo in parte. Molti al Nord, tuttavia, sostenevano di fatto la perpetuazione della schiavitù nel Sud, ma si opponevano alla sua espansione in altri stati per una serie di ragioni: politiche, economiche e sociali. L’effetto della sentenza Dred Scott fu quello di infrangere l’illusione che la schiavitù fosse solo un “problema” del Sud. Non è un caso, quindi, che molti storici considerino la sentenza una pietra miliare significativa sulla strada che portò, quattro anni dopo, a una sanguinosa guerra civile.

Gli ultimi due anni potrebbero benissimo rivelarsi il “momento Dred Scott” dell’opinione pubblica progressista in Israele. Per anni, molti israeliani sono riusciti a reprimere l’occupazione, considerandola una questione marginale. Ora, tuttavia, le forze politiche nate sotto l’egida del dominio israeliano in Cisgiordania hanno rivolto la loro attenzione verso l’interno, rivelando il fatto che l’occupazione non è solo un “problema” di coloni e palestinesi, ma una questione che sta erodendo le fondamenta della democrazia e della società israeliana.

Non è un caso che i rappresentanti dell’ala estrema del sionismo religioso nel governo e nella Knesset – Smotrich, Strock, Ben-Gvir, Rothman – siano anche in prima linea nel colpo di stato giudiziario, nell’opposizione al traffico di ostaggi , nel sostegno al licenziamento dei nostri “guardiani” nazionali e nella richiesta di continuare la guerra.

Per comprendere queste posizioni è necessario esaminare i contesti storici e sociali in cui è emersa questa corrente di sionismo. Per decenni, il progetto di insediamento nei territori ha fornito a molti un senso di missione e di destino nazionale, trasformando gli insediamenti non solo in capitale politico, ma anche in uno strumento chiave per la creazione delle identità religiose e comunitarie di quel campo.

La situazione oltre la Linea Verde – dove la democrazia è percepita come una mera raccomandazione, dove le istituzioni statali sono al servizio di una visione nazional-religiosa e la forza militare offre una soluzione immediata a ogni controversia – ha permesso che i modelli di controllo si normalizzassero. Ora gli stessi modelli vengono importati nelle istituzioni statali e assimilati nel sistema giudiziario, nella nostra democrazia e nella società civile.

Le forze politiche non nascono dal nulla. Prendono forma all’interno di contesti storici, sociali e culturali che conferiscono loro legittimità. Le opinioni estremiste dei proprietari di schiavi del Sud furono il risultato diretto della realtà economica, sociale e culturale generata dall’istituzione della schiavitù. Riducendo in schiavitù milioni di neri, i proprietari delle piantagioni del Sud divennero un’élite ricca e potente. Le anomalie strutturali del sistema politico conferirono loro una forza politica di gran lunga superiore alla loro percentuale nella popolazione.

Auto di lavoratori palestinesi date alle fiamme nella zona industriale di Barkan. Foto: John Wessels/AFP

Contemporaneamente, nel Sud si sviluppò una percezione ideologica e culturale che rappresentava la schiavitù come moralmente legittima, persino come parte dell’ordine naturale delle cose. La combinazione di un’enorme ricchezza economica, di un potere politico senza precedenti e di un’ideologia dura e ipocrita lasciò l’élite del Sud inebriata dal potere.

Anche l’ala estremista del movimento religioso sionista non è nata completamente formata: è il prodotto diretto di lunghi anni di occupazione. Si tratta di un gruppo che si è sviluppato lontano dagli occhi del grande pubblico e al di fuori della copertura mediatica dei media tradizionali.

La vita quotidiana di questa popolazione si svolge in una regione lontana dall’esperienza collettiva israeliana e con scarsi contatti continui con la maggior parte dei cittadini del Paese. In questo mondo, valori democratici come l’uguaglianza e i diritti umani vengono relegati ai margini, a favore della forza militare. Di conseguenza, le Forze di Difesa Israeliane si sono trasformate da istituzione statale responsabile della sicurezza di tutti i cittadini del Paese a strumento per realizzare la visione dei coloni.

Le istituzioni educative forniscono un terreno fertile per coltivare concetti di supremazia ebraica e un senso di missione messianica, che insieme elevano l’idea di un Grande Israele al di sopra dei valori democratici e delle considerazioni pragmatiche di sicurezza. A coronamento di tutto ciò, i generosi finanziamenti statali. Il risultato è un movimento ideologico che esporta i concetti che hanno preso forma nei territori nei processi decisionali delle istituzioni statali, un movimento armato di profonda fede nella correttezza del proprio percorso e di un senso di missione storica.

Storicamente, il sionismo religioso è stato un fattore moderato nella società israeliana, partecipando attivamente alle istituzioni statali e formando figure chiave che hanno promosso una collaborazione tra il pubblico religioso e quello laico. Col tempo, tuttavia, la disconnessione geografica, ideologica e culturale causata dal progetto di insediamento ha prodotto una generazione di politici che sono entrati nella Knesset e nel governo da un mondo quasi completamente separato dall’ethos generale israeliano, e che oggi guidano una politica che minaccia l’esistenza di Israele come stato ebraico e democratico.

Il Nord America si liberò finalmente dall’illusione che la schiavitù potesse essere confinata agli stati del Sud. Dopo Dred Scott, il movimento abolizionista, inizialmente considerato un gruppo marginale, divenne un fattore che influenzò l’opinione pubblica negli anni che precedettero la Guerra Civile. Nell’Israele post-7 ottobre, è dubbio che ci sia ancora la possibilità di giungere alla determinazione politica necessaria per porre fine all’occupazione. Il sentimento pubblico oscilla tra l’indifferenza all’intensificarsi della guerra, da un lato, e la disponibilità a considerare l’idea di annettere parti della Striscia di Gaza, dall’altro.

Per gran parte dell’opinione pubblica israeliana, sembrerebbe che il campo liberale non abbia quasi alcun diritto di essere ascoltato sulla questione. Tuttavia, la conclusione da trarre dagli ultimi due anni deve essere chiara: non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. Non è possibile lottare per i diritti individuali, le libertà democratiche e lo stato di diritto e allo stesso tempo ignorare il sistema che ha prodotto, sta coltivando e rafforzando forze politiche estremiste che stanno sovvertendo quegli stessi principi.

Continuare a reprimere gli effetti dell’occupazione e a categorizzarla come una questione separata dalla lotta per la democrazia costituisce un ostacolo alla correzione della situazione. Non è una questione di “sinistra” contro “destra”, ma di responsabilità nazionale per un Paese governato correttamente. Non è possibile continuare a ignorare il legame diretto che esiste tra l’occupazione e la radicalizzazione politica, il crollo delle strutture dello stato di diritto, il declassamento dello status internazionale di Israele e, in ultima analisi, la disintegrazione della stessa società israeliana.

Come minimo, dobbiamo smettere di aver paura di parlare della violenza dei coloni e delle conseguenze dell’espansione degli insediamenti sul futuro di Israele. Ignorare questi sviluppi non è meno pericoloso degli sviluppi stessi, perché consente loro di verificarsi senza una significativa opposizione.

Or Asher è uno studente di dottorato presso la Facoltà di Scienze Politiche, Governo e Affari Internazionali dell’Università di Tel Aviv e Fox International Fellow presso il MacMillan Center for International and Area Studies dell’Università di Yale.

Traduzione a cura di Grazia Parolari 
“Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali”
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