Pensavo di aver accettato una missione umanitaria. Tuttavia, ciò a cui ho assistito a Gaza è orribile.
Fonte: english version
Testimonianza sotto richiesta di anonimato – 12 giugno 2025
Nota dell’editore: data l’importanza di queste informazioni e di questo punto di vista, Zeteo ha accolto la richiesta di anonimato dell’autore per consentirgli di esprimersi liberamente senza intimidazioni o timori di ritorsioni.
Immagine di copertina: Membri di una società di sicurezza privata statunitense ingaggiata dalla Gaza Humanitarian Foundation (GHF) dirigono i palestinesi sfollati che si sono radunati per ricevere aiuti umanitari in un centro di distribuzione nella Striscia di Gaza centrale l’8 giugno 2025. Foto di Eyad Baba/AFP via Getty Images
Sono uno delle centinaia di contractor (personale di sicurezza privato a contratto, ndt) per la sicurezza che si trovano a Gaza per facilitare gli aiuti nell’ambito del nuovo progetto della Gaza Humanitarian Foundation finanziato dagli Stati Uniti.
Erano tutte balle.
Ho accettato quello che sembrava un lavoro interessante, con una buona paga, tramite una società chiamata UG Solutions. Ci hanno dato poche informazioni.
Mi hanno detto che avevo ottenuto il lavoro solo pochi giorni prima della partenza. È stato tutto molto affrettato.
Dopo essere arrivati a Washington, DC, il 16 maggio, abbiamo ricevuto informazioni più dettagliate. Avremmo fornito sicurezza ai siti di assistenza a Gaza. Ci è stato ripetuto più volte: “Se siete qui per sfoderare il fucile, allora fate i bagagli e tornatevene a casa, perché non è per questo che siamo qui. Siamo qui per aiutare”. Ero contento dell’idea.
Il giorno successivo siamo partiti per il Medio Oriente. Il nostro gruppo era composto da circa 300 persone di diversa estrazione, tra cui ex membri di unità militari speciali, ex fanti, persone che avevano prestato servizio militare ma non erano mai state dispiegate e altre che non avevano mai prestato servizio militare, ma avevano lavorato nelle forze dell’ordine. Alcuni dei tizi sembravano troppo anziani. Sembrava che l’azienda fosse così a corto di personale che non era stata selettiva su chi assegnare a quella missione.
Ottenere l’equipaggiamento e le attrezzature è stato difficile. Non c’erano uniformi sufficienti per tutti. Non fornivano ottiche o mirini per le nostre armi (come i punti rossi che aiutano a mirare). Le armi stesse erano un’altra storia. Alla fine ci hanno dato un fucile tipo AR (un fucile tipo AR-15, semiautomatico leggero, ndt) e una pistola. Ma nessuno è stato sottoposto a un test per verificare che avesse ricevuto un addestramento adeguato.
Ad alcuni di noi sono state date anche mitragliatrici. In seguito ci hanno dato armi meno letali: spray al peperoncino, granate stordenti. Avete indovinato: nessuno è stato testato per verificare che sapesse come usarle correttamente. A che distanza si può lanciare una granata stordente? Se si vuole spruzzare lo spray al peperoncino su qualcuno, dove lo si spruzza? Per quanto tempo? Nessuno lo sa perché nessuno ce l’ha detto. Stiamo parlando di persone che non hanno accesso all’acqua e noi siamo pronti a spruzzargli lo spray al peperoncino in faccia. Perché dovremmo farlo? Stanno solo cercando di ottenere gli aiuti che noi siamo lì per dargli. Tutto questo non aveva alcun senso.
Non era solo una questione di mancanza di addestramento alle armi. Chi di noi ha un passato nell’esercito ha anche ricevuto una formazione sulla consapevolezza culturale, cosa importante quando si cerca di entrare in contatto con la popolazione civile. Ma questo, prima di partire per Gaza, non ci è stato fornito, nemmeno a chi non era mai stato in missione.
Per non parlare del fatto che quegli uomini erano anche stati privati di sonno. Prima di partire ci era stato detto che avremmo lavorato con turni di 12 ore, quattro giorni di lavoro e due di riposo. In realtà a volte abbiamo lavorato fino a 20 ore al giorno, senza giorni di riposo. Ci era stato detto che avremmo operato nel rispetto del diritto internazionale, ma non ci è mai stato spiegato quali fossero queste leggi o linee guida. L’unica indicazione chiara era che se noi, o chi ci circondava, ci fossimo sentiti minacciati, avevamo l’autorità di difenderci. Ma questo lasciava molte zone d’ombra.
Quindi, c’erano delle persone che non conoscevano quasi per niente la cultura, non avevano esperienza di missioni all’estero e non erano necessariamente qualificate per usare le armi di cui erano responsabili per la sicurezza nei siti di soccorso, in un luogo dove sappiamo che milioni di persone hanno un disperato bisogno di aiuto. Cosa poteva andare storto? Molte cose sono andate storte.
Caos totale
Il mio primo giorno, il secondo giorno ufficiale della missione, siamo stati sopraffatti; era il caos totale. All’ingresso del centro di soccorso, c’erano persone in attesa in cinque file, separate da recinzioni metalliche. Una corsia era riservata alle donne e ai bambini. Le altre quattro erano tutte per gli uomini, che venivano fatti entrare cinque, dieci, venti alla volta, a seconda di quanti ne potevamo gestire. Non c’era alcun ordine e le persone venivano schiacciate e calpestate. Alla fine, c’era così tanta gente nelle corsie che i cancelli hanno ceduto.

Ci siamo ritirati, lasciando che le persone prendessero gli aiuti. Non sono mai stati aggressivi nei nostri confronti. Cercavano solo di ottenere aiuti, che tra l’altro consistevano in farina, riso, lenticchie, bustine di tè e spaghetti cose che richiedono acqua. Non hanno acqua. E noi di acqua non gliene davamo. Abbiamo dovuto ritirarci di nuovo, verso un secondo perimetro. A quel punto, alcuni membri del personale hanno iniziato a sparare colpi di avvertimento in aria.
E poi ci siamo ritirati ancora una volta. Mentre venivamo sopraffatti, ci è stato ordinato di spingere fuori tutti, anche se stavano ancora raccogliendo cose da terra.
Ci siamo messi tutti in fila e abbiamo iniziato a spingere fuori queste persone.
Stiamo parlando di donne in lacrime che cercavano di raccogliere del cibo per le loro famiglie e che dovevano andarsene. Guardavano il cibo per terra di cui avevano disperatamente bisogno e non potevano prenderlo. È stato assolutamente orribile.
Uno dei ragazzi, che era stato il primo a sparare un colpo di avvertimento, è stato anche il primo che ho visto entrare in contatto fisico con un palestinese. Qualcuno era chino a raccogliere provviste e, senza esitare, il contractor statunitense lo ha spinto a terra.
L’idea che l’esercito israeliano non sia coinvolto è una pura menzogna.
In seguito mi è stato riferito che l’esercito israeliano aveva bisogno di allontanare quelle persone perché stava per arrivare. Sono arrivati poco dopo con i carri armati, come una sorta di presenza di sicurezza, ma a quel punto avevamo già allontanato tutti.
L’idea che l’esercito israeliano non sia coinvolto è una menzogna. Sono coinvolti moltissimo. Hanno uffici nei nostri complessi. Condividiamo le nostre comunicazioni radio con loro. I superiori sostengono che l’esercito israeliano non è coinvolto, ma sembra che siano loro a tirare le fila. Certo, non sono sul posto con noi, ma i loro cecchini e i loro carri armati sono a poche centinaia di metri di distanza. Si sentono sparare tutto il giorno.
Le conseguenze del caos sono state altrettanto impressionanti. Durante quei lunghi turni non ci veniva fornito cibo. Ci veniva dato un rimborso per comprare da mangiare in Israele, ma non c’era tempo per farlo, figuriamoci per dormire. Alcuni dei nostri ragazzi mangiavano gli aiuti sparsi per il sito.
Trappola umanitaria?
Un episodio mi è rimasto impresso. Eravamo rimasti a monitorare un sito vuoto per tutto il giorno; dopo il tramonto, finalmente sono arrivati decine di camion con pianali che portavano aiuti umanitari. L’esercito israeliano ha subito comunicato via radio che 200-300 civili si stavano avvicinando a un paio di chilometri a nord. Dopodiché abbiamo visto un drone israeliano dirigersi verso quella zona.
Poco dopo, quella zona ha iniziato a essere illuminata da colpi di artiglieria.
Un’interpretazione in buona fede? Forse gli israeliani stavano sparando tra la nostra posizione e la popolazione per impedire loro di avanzare. Non credo che fosse così. Di fatto, i carri armati sparano tutto il giorno vicino a questi siti di soccorso. I cecchini sparano da quello che un tempo era un ospedale. Bombe e proiettili volano tutto il giorno in una sola direzione: verso i palestinesi.
Sappiamo che l’esercito israeliano ha imposto il coprifuoco in alcune zone di Gaza. Non mi sorprenderebbe se gli aiuti fossero stati consegnati di notte di proposito, dato che in questo modo avrebbero fatto uscire allo scoperto la persone, che a quel punto avrebbero potuto essere presa di mira come combattenti, anche se non lo erano. È molto chiaro che l’esercito israeliano sfrutta ogni occasione disponibile per sparare.
Ciò che noi – le società americane e il personale a contratto – stiamo facendo sta causando direttamente più dolore, sofferenza e morte ai palestinesi di Gaza.
A volte la gente deve percorrere chilometri per raggiungere i luoghi (di distribuzione, ndt), e questo significa attraversare zone controllate da Israele. L’esercito utilizza qualsiasi pretesto per dichiarare che qualcuno è una minaccia. In queste zone non ci sono praticamente media internazionali e l’Occidente non vuole credere alle fonti d’informazione palestinesi, quindi si arriva a un punto in cui la verità stessa è ignota. Nel frattempo, tutto quello che ho sentito per tutto il giorno sono carri armati israeliani, mitragliatrici, cecchini e bombe.
Ma mai alcun fuoco proveniente dalla direzione opposta.
All’inizio, quando abbiamo iniziato a distribuire gli aiuti, è stato davvero confortante, avrei potuto piangere. I palestinesi dicevano “Grazie” e “Amo l’America”.
Ma non è durato a lungo.
Vorrei essere chiaro: sono entrato in questa vicenda con la mente aperta. Non sto dalla parte di nessuno. Disprezzo la sofferenza umana e detesto che esista. Speravo solo di essere d’aiuto. Tuttavia, non credo che lo siamo. Ciò che noi, le società americane e il personale a contratto, stiamo facendo sta causando direttamente più dolore, sofferenza e morte ai palestinesi di Gaza.
Traduzione Leila Buongiorno – Invictapalestina
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