L’assenza delle loro brutali morti dalle notizie occidentali fa parte del silenzio istituzionale che ha sostenuto il Progetto Genocida di Israele per oltre 21 mesi.
Fonte: English version
Di Linah Alsaafin – 17 luglio 2025
Il Genocidio israeliano sostenuto dall’Occidente nella Striscia di Gaza è entrato nella sua fase più letale e il mondo continua a dormire.
Quest’estate ha segnato un aumento delle uccisioni quotidiane di palestinesi: una media di 100 vite Massacrate ogni giorno, la maggior parte delle quali già alle prese con i morsi della fame nel mezzo di una Campagna di Carestia di Massa indotta.
Il piccolo territorio costiero, bloccato da Egitto e Israele con la Complicità della comunità internazionale, è ora il luogo più pericoloso al mondo per i bambini, che costituiscono circa la metà della popolazione.
Già il 31 ottobre 2023, l’Unicef ha descritto Gaza come “un cimitero per i bambini, un inferno per tutti gli altri”. Questa definizione è stata ribadita da numerosi funzionari delle Nazioni Unite, più recentemente venerdì scorso dal Direttore Generale dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Philippe Lazzarini, che ha messo in guardia dal “machiavellico Piano di Uccisione” di Israele a Gaza.
Missili e schegge laceravano i fragili corpi dei bambini nei mercati all’aperto, nei punti di raccolta dell’acqua, nei siti di distribuzione degli aiuti e mentre aspettavano in coda per gli integratori alimentari.
I bambini vengono bombardati all’interno di tende per sfollati, bruciati vivi nei rifugi scolastici e sepolti sotto le macerie delle loro case. Ancor prima di nascere, i feti vengono strappati dal grembo materno dalla forza delle bombe.
La scorsa settimana, il corpo decapitato del feto di otto mesi Saeed Samer al-Laqqa, documentato in un filmato ampiamente condiviso sui social media, non è stato nemmeno menzionato dai media tradizionali.
La sua assenza dai titoli dei giornali fa parte del silenzio istituzionale che ha sostenuto il Progetto Genocida di Israele per oltre 21 mesi.
Anche quando le loro morti vengono riconosciute, i bambini di Gaza sono ridotti a poco più di un numero di vittime.
Ma la loro uccisione non è mai stata un danno collaterale: è un tentativo deliberato di estinguere un futuro che Israele teme: una generazione di palestinesi nati sotto assedio, la cui sopravvivenza, memoria e innato desiderio umano di libertà e dignità minacciano le fondamenta di uno Stato Coloniale costruito sulla loro Cancellazione.
Dal carcere al martirio
Il 12 luglio, Youssef al-Zaq, appena diciassettenne, è stato ucciso insieme ai nipoti Maria e Tamim, in un attacco israeliano al loro edificio a Gaza.
Youssef, un tempo noto come il più giovane ostaggio palestinese, è nato in una prigione israeliana nel 2008.
Sua madre, Fatema al-Zaq, fu arrestata nel 2007 mentre tentava di entrare nella Cisgiordania Occupata e, durante le prime fasi della sua prigionia, scoprì di essere incinta di due mesi.
“L’Occupazione israeliana ha Torturato sua madre affinché abortisse”, mi ha raccontato il cugino di Youssef, Ahmed Sahmoud.
Fatema ha dato alla luce un bambino sano, ma le sue braccia e gambe sono state ammanettate durante il travaglio e ha ricevuto cure mediche minime dalle guardie carcerarie israeliane.
Youssef ha trascorso i primi 20 mesi della sua vita dietro le sbarre. Nel 2009, lui e sua madre, insieme ad altre 19 detenute palestinesi, sono stati rilasciati in cambio di un video che mostrava l’ostaggio israeliano Gilad Shalit vivo.
“C’è stata molta attenzione su Youssef dopo il suo ritorno a casa”, ha detto Sahmoud, un giornalista fuggito da Gaza l’anno scorso e che ora vive in Egitto.
“La famiglia al-Zaq lo chiamava il fiore della famiglia. Era un ragazzo tranquillo e molto amato nel suo quartiere”, ha aggiunto.
Il più giovane di otto fratelli, Youssef era determinato a vivere una vita piena e desiderava ardentemente viaggiare.
Ma Sahmoud ha detto che la famiglia crede che Youssef sia stato deliberatamente preso di mira da Israele: “La nascita e la storia di Youssef hanno rivelato l’Occupazione. Ecco perché non volevano che rimanesse in vita”, ha detto il cugino, citando la storia di Israele di prendere di mira e uccidere ex detenuti palestinesi.
“Gli israeliani erano risentiti del fatto che Youssef, nato nella loro prigione, fosse stato rilasciato. Rappresentava una vittoria su di loro, una nuova prospettiva di vita.
“Non posso spiegarvi il posto speciale che Youssef occupava in famiglia”, ha detto Sahmoud. “Il suo martirio ha lasciato un vuoto enorme. L’Esercito di Occupazione Sionista ha spento la fonte di luce della famiglia.”
Disumanizzare i bambini
La storia di Youssef non dovrebbe essere la quintessenza dell’infanzia a Gaza. È nato in prigione e ha vissuto il resto della sua vita in una gabbia a cielo aperto.
Ha assistito a molteplici aggressioni israeliane. Ha vissuto quasi due anni di Genocidio. Ha sofferto la fame, condividendo un solo pezzo di pane con i nipoti. È stato tirato fuori dalle macerie della sua casa.
La morte è diventata una triste costante negli ultimi 21 mesi. Più di 17.000 bambini sono stati uccisi, secondo il Ministero della Sanità di Gaza, una grave sottostima che esclude i dispersi e le innumerevoli migliaia di persone ancora sepolte sotto le macerie.
Ciò nonostante, questo numero significa che in media 30 bambini sono stati uccisi da Israele ogni giorno dal 7 ottobre 2023, l’equivalente di un’aula scolastica, o un bambino ogni 45 minuti.
Come si può iniziare a spiegare, per non parlare di Comprendere il modo sproporzionato e deliberato in cui Israele prende di mira i bambini?
Con il suo armamento avanzato, la sorveglianza e il controllo demografico, queste uccisioni non sono accidentali, ma codificate nella politica.
Fin dai primi giorni di questo Genocidio, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha invocato la storia biblica degli Amaleciti per giustificare le Uccisioni di Massa a Gaza, compresi i bambini.
L’Uccisione e la mutilazione di bambini, ancora un Crimine di Guerra secondo il Diritto Internazionale, hanno ricevuto piena legittimità, e persino incoraggiamento, attraverso le sentenze dei rabbini Sionisti e la retorica dei ministri del governo israeliano.
Con un linguaggio così disumanizzante e la paura dell’altro, queste figure invocano apertamente lo Sterminio dei bambini palestinesi e “delle donne che producono terroristi”.
Proclamano che “non ci sono innocenti a Gaza”, che ogni bambino palestinese è “già un terrorista dal momento della sua “nascita”.
A tal fine, Israele è stato coerente. Dalla fondazione della Colonia nel 1948, la Pulizia Etnica dei palestinesi non si è mai fermata. Il Genocidio non è più solo un’intenzione; è una strategia ufficiale. “Sfoltire” la popolazione di Gaza è ormai una politica governativa ufficiale.
Collasso sociale
Perché i bambini di Gaza? Un milione di bambini a Gaza rappresenta una popolazione giovanile in crescita, una sfida demografica per una società israeliana che sa, nel profondo, di non appartenere a una terra che ha intriso di sangue palestinese.
Altrimenti, perché persisterebbe nella sottomissione violenta e nell’Omicidio di Stato? Quale tipo di psiche distorta si vanta di uccidere bambini e lo considera un diritto divino? Chi celebra l’Omicidio di innocenti e considera la loro esistenza una minaccia?
Prendere di mira i bambini serve a un altro scopo nefasto: un attacco calcolato alla società e alla riproduzione di una popolazione nativa.
L’obiettivo è far crollare i legami comunitari e le strutture sociali. C’è il rapido Genocidio delle bombe e dei missili, e il lento Genocidio della fame, degli internamenti di massa e della decimazione dell’assistenza sanitaria, creando una coltura di malattie in cui i bambini sono i più vulnerabili.
Da questo caos, concepito per spezzare lo spirito di liberazione e giustizia, le Potenze Coloniali sfruttano il vuoto per espandere insediamenti illegali e saccheggiare le risorse naturali.
Durante la rivolta dei Mau Mau in Kenya, gli inglesi confinarono 1,5 milioni di kenioti in campi di detenzione e villaggi rigidamente controllati, dove prevalsero malattie, fame, torture, stupri e omicidi.
“Solo trattenendo quasi l’intera popolazione kikuyu di 1,5 milioni di persone e atomizzandone fisicamente e psicologicamente uomini, donne e bambini, si poté ripristinare l’autorità coloniale e la missione civilizzatrice”, ha scritto la storica di Harvard Caroline Elkins.
Anche in Algeria, in risposta alla Resistenza anticoloniale del Fronte di Liberazione Nazionale, i francesi radunarono con la forza migliaia di contadini sotto la minaccia delle armi e li trasferirono in insediamenti sorvegliati noti come campi di raggruppamento.
L’obiettivo era quello di indebolire il sostegno pubblico del Fronte di Liberazione Nazionale isolando la popolazione contadina, controllandone gli spostamenti e limitandone l’accesso alle risorse.
Alla fine della guerra d’Algeria, nel 1962, circa due milioni di algerini erano confinati in questi campi, a causa di malattie e malnutrizione.
Futuri combattenti per la libertà
Dagli inglesi ai francesi agli israeliani, le tattiche coloniali d’insediamento hanno seguito la stessa logica brutale, nonostante l’evoluzione della loro portata e crudeltà.
Nel tempo e nella geografia, il Progetto Coloniale d’Insediamento si è basato non solo sulla conquista fisica, ma anche sulla Cancellazione dell’identità, sulla frammentazione della comunità e sulla soppressione di ogni futura Resistenza.
Mi chiedo ancora: perché i bambini di Gaza?
Rappresentano esattamente quel futuro: un futuro radicato nella conoscenza e nella memoria storica.
In una società con uno dei più alti tassi di alfabetizzazione della Regione, nonostante decenni di assedio e bombardamenti, i giovani istruiti non sono solo simboli di sopravvivenza; sono agenti di liberazione.
Per una Potenza Colonizzatrice violenta, un bambino con un libro, un sogno o un ricordo è più pericoloso di qualsiasi arma.
Prendere di mira i bambini, quindi, non è un danno collaterale. È una strategia. Fa parte di una Campagna più ampia per distruggere la speranza, sovrascrivere il futuro e alimentare la Macchina dell’Occupazione attraverso la paura e la Cancellazione.
Linah Alsaafin è una giornalista palestinese che ha scritto per Al Jazeera, The Times Literary Supplement, Al Monitor, The News Internationalist, Open Democracy e Middle East Eye.
Traduzione a cura di: Beniamino Rocchetto
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