Il Piano del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump non è un percorso verso la pace. È un meccanismo per cementare la frammentazione e negare ai palestinesi un futuro prospero
Fonte: English version.
Di Thair Abu Ras – 5 ottobre 2025
Il Piano presentato dal Presidente degli Stati Uniti Donald Trump per porre fine alla guerra a Gaza e inaugurare la pace in Medio Oriente, noto come Piano in 20 punti, ha catturato l’attenzione di osservatori e politici. Eppure, nella fretta di analizzare queste ultime condizioni di cessate il fuoco e se saranno accettate dal Primo Ministro Benjamin Netanyahu e da Hamas, incombe un’omissione critica: il futuro della Cisgiordania.
Mentre la Casa Bianca promuove questo quadro come un grande percorso verso la stabilità regionale e la pace tra Israele e i suoi vicini arabi filoamericani, rimane assordantemente silenziosa sullo status politico della Cisgiordania e sul destino dell’Autorità Nazionale Palestinese.
Naturalmente, tale omissione è in linea con la pericolosa strategia del governo israeliano di “gestione del conflitto”, che ha aperto la strada agli attacchi del 7 Ottobre e garantisce una futura instabilità continua, implacabile e profondamente pericolosa.
Tuttavia, il contenuto del Piano rivela che le sue lacune e condizioni non sono politiche neutrali; funzionano come una palla da demolizione geopolitica, destabilizzando attivamente la Cisgiordania, indebolendo ulteriormente l’Autorità Nazionale Palestinese e facilitando silenziosamente l’Occupazione israeliana permanente.
Pertanto, mentre il quadro mira a risolvere la crisi immediata nella Striscia, rischia di creare un’instabilità irreversibile e a lungo termine in Cisgiordania, indiscusso centro demografico, economico e strategico della Palestina.
Il primo segno di questa realtà è che il Piano in 20 punti non menziona nemmeno la Cisgiordania. La completa supervisione della proposta sul suo attuale status politico, sui diritti dei suoi residenti o sui futuri confini di un potenziale Stato Palestinese è in effetti un’efficace approvazione dello status quo che avvantaggia la coalizione di governo israeliana e forse è stata persino formulata per consentire a Netanyahu di rimanere con i suoi compagni di estrema destra, garantendo la sua sopravvivenza politica anche dopo la fine della guerra di Gaza.
E quindi, la posizione del governo israeliano secondo cui l’Autorità Nazionale Palestinese è un peso non è stata contestata dall’amministrazione Trump, nonostante i crescenti sforzi israeliani per annettere parti della Cisgiordania.
In questo modo, il percorso proposto per la governance di Gaza, e presumibilmente per la pace in Medio Oriente, non fa che aggravare la crisi di legittimità dell’Autorità Palestinese. Prevede un organo temporaneo di transizione composto da tecnocrati che supervisionano gli affari di Gaza, con l’Autorità Palestinese che potrebbe potenzialmente salire al potere solo dopo aver avviato un ampio programma di riforme supervisionato dall’esterno. La vaghezza che circonda il potenziale ritorno dell’Autorità Palestinese a Gaza mette in discussione l’intero presupposto della sua stessa esistenza: quello di essere un precursore di uno Stato Palestinese ufficiale.
Inoltre, la cosiddetta Autorità Internazionale di Transizione di Gaza è altamente sospetta ed evita ampiamente di specificare gli attori coinvolti. Tra coloro che sono stati identificati figurano, ad esempio, figure come l’ex inviato speciale statunitense Jared Kushner, che ha alle spalle posizioni avverse nei confronti dell’Autorità Nazionale Palestinese ed è stato collegato al controverso “Piano Riviera di Trump” per la Pulizia Etnica della Striscia.
Un simile organismo di tecnocrati potrebbe essere un meccanismo deliberato per separare definitivamente l’Autorità Nazionale Palestinese da Gaza e Gaza dall’Autorità Nazionale Palestinese, ignorando la realtà cruciale che l’Autorità Nazionale Palestinese è l’unico organismo politico in grado di controbilanciare in modo credibile Hamas.
Tuttavia, l’elemento più dannoso per la reputazione dell’Autorità Nazionale Palestinese non deriva dalla sua esclusione dal governo, ma dal meccanismo di scambio di prigionieri con Israele previsto dal Piano.
Secondo la proposta, 250 prigionieri palestinesi condannati all’ergastolo saranno rilasciati da Israele. La cruda realtà politica è che la maggior parte di questi prigionieri palestinesi proviene dalla Cisgiordania. Questi prigionieri, considerati dall’opinione pubblica palestinese come simboli della Resistenza, saranno rilasciati come conseguenza diretta di un accordo mediato attraverso l’approccio militante di Hamas.
Al contrario, l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) ha a lungo sostenuto un percorso diplomatico, non violento e politico verso l’indipendenza e la libertà per i prigionieri. In quest’ottica, l’idea che Hamas garantisca la libertà di centinaia di palestinesi della Cisgiordania, mentre gli sforzi diplomatici dell’ANP rimangono infruttuosi, verrebbe vista come un’ulteriore sconfitta per l’approccio non violento dell’ANP.
Questo risultato non solo delegittimerebbe ulteriormente l’ANP agli occhi della sua stessa popolazione, ma potrebbe anche potenzialmente portarne al collasso, gettando l’intera Cisgiordania in un vuoto di governo.
Anche in ambito economico, il Piano Trump parla con ottimismo di opportunità di investimento nell’ambito della ricostruzione di Gaza. Ancora una volta, il Piano trascura completamente il potenziale di significativi investimenti promossi dall’Autorità Nazionale Palestinese, che porterebbero concrete opportunità economiche per i palestinesi della Cisgiordania. Attualmente, questi individui e queste aziende non avranno la possibilità di contribuire e trarre profitto dalla ricostruzione di Gaza, una grave perdita per l’economia palestinese.
Se il progetto per la futura prosperità palestinese si concentra esclusivamente su Gaza, guidato da potenze straniere e scavalcando l’Autorità Nazionale Palestinese, si creano di fatto due entità palestinesi separate, diseguali e politicamente disconnesse. Questa non è una via verso la pace; è un meccanismo per cementare la frammentazione e negare ai palestinesi un futuro prospero.
In definitiva, il Piano in 20 punti, concentrandosi esclusivamente sulla sicurezza e la ricostruzione di Gaza, diventa un quadro per la separazione politica permanente dei Territori Palestinesi, favorendo direttamente i sogni febbrili di annessione dell’estrema destra israeliana.
La stabilità della Cisgiordania è indissolubilmente legata alla sostenibilità dell’Autorità Nazionale Palestinese. Quando la comunità internazionale promuove una soluzione che ignora i principali interessi politici dell’Autorità Nazionale Palestinese, ne mette in discussione la sostenibilità diplomatica e premia Hamas per aver ottenuto ciò che la fazione politica non è riuscita a ottenere, la via non violenta sostenuta da Ramallah perde ogni valore. Se il Piano in 20 punti vuole riuscire a portare non solo un cessate il fuoco temporaneo, ma una pace regionale duratura, i suoi autori devono riconoscere che la pace non può essere divisa. Il futuro di Gaza è indissolubilmente legato alla vitalità della Cisgiordania.
Ignorare la difficile situazione politica della Cisgiordania a favore di una soluzione tecnica incentrata su Gaza non è semplicemente una cattiva politica; è un profondo rischio politico che garantisce l’aumento dell’instabilità nei Territori Occupati e il crollo finale della dirigenza palestinese che il Piano afferma di voler riformare.
Thair Abu Ras è un ricercatore del Forum for Regional Thinking (Forum per il Pensiero Regionale).
Traduzione a cura di: Beniamino Rocchetto
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