I leader occidentali presenti al vertice di Sharm el-Sheikh hanno permesso e sponsorizzato questo massacro. Non sono nella posizione di costruire un futuro per i palestinesi.
di Nesrine Malik, 13 ottobre 2025
English version: https://www.theguardian.com/
FOTO di copertina: Un palestinese nella città di Gaza, 12 ottobre 2025. Fotografia: Bashar Taleb/AFP/Getty Images
Oggi Sharm el-Sheikh ospiterà il più importante incontro di leader mondiali in Medio Oriente degli ultimi anni. Donald Trump, Keir Starmer, Emmanuel Macron, Pedro Sánchez e altri si incontreranno “per porre fine alla guerra nella Striscia di Gaza, intensificare gli sforzi per raggiungere la pace e la stabilità in Medio Oriente e inaugurare una nuova era di sicurezza e stabilità nella regione”.
Se il cessate il fuoco regge, questo linguaggio è un presagio per il futuro. Un futuro in cui non ci saranno né ripensamenti, né analisi delle cause profonde. Solo una corsa sfrenata verso gli imperativi di pulizia e risoluzione. Nel frattempo, l’occupazione illegale continua e un altro capitolo delle violazioni israeliane viene chiuso furtivamente senza alcuna conseguenza, nè per Israele , né per i suoi sponsor.
C’è un’espressione araba, hameeha harameeha, che significa “il suo protettore è il suo ladro”, che mi viene in mente mentre coloro che hanno rifornito Israele di armi si riuniscono per capire come raggiungere la pace a Gaza. Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, vedremo una Gaza ancora più devastata di quella che è stata mostrata al mondo finora. Già ora è chiaro che ciò che deve essere ricostruito è di proporzioni colossali. Le persone stanno tornando alle loro case nella città di Gaza e trovano una terra desolata, rasa al suolo dalle bombe e poi dai bulldozer. Nelle immagini della zona, persino la luce del sole sembra diversa e ultraterrena. Non riuscivo a capirne il motivo, finché non mi sono resa conto che era perché non c’erano strutture a filtrarla. Nessun riparo, niente ombre. Una casa in cui si torna è solo un terreno su cui piantare un’altra tenda e aspettare gli aiuti. Ma questa volta con meno rischi di essere bombardati nel sonno.
La gente di Gaza è stata liberata dalla paura della morte, ma che dire della vita che ora affronta? Che dire delle migliaia di orfani e dei bambini feriti o mutilati che non hanno più una famiglia? Non sono state distrutte solo le infrastrutture di gran parte di Gaza, ma anche il tessuto sociale. Lignaggi familiari di due, tre, quattro generazioni sono state spazzate via. Che dire delle migliaia di genitori che hanno seppellito i loro figli? E di tutti coloro che hanno raccolto le parti del corpo dei loro cari? Come si può anche solo pensare di affrontare un simile trauma di massa quando non c’è nemmeno un tetto sotto cui riunirsi? Ho chiesto a un uomo di Gaza di suo fratello che ha perso tutti i suoi figli e sua moglie in un unico attacco. Dov’è ora? “Cammina senza sosta in giro, girando intorno alle macerie” del luogo in cui sono morti. “Perso”.

Il bilancio delle vittime è destinato ad aumentare, man mano che verranno estratti dalle macerie i corpi che prima non era possibile recuperare. Almeno il 10% della popolazione di Gaza è stato ucciso o ferito, e questa è una stima prudente.
È importante che questi fatti non vengano semplicemente sommati e liquidati come costi della guerra. L’attacco deve cessare, ma le condizioni per porvi fine e sulle quali si basa il percorso verso la pace e la ricostruzione sono cruciali. I crimini commessi non possono essere riparati, né tantomeno si può impedire che si ripetano, se persistono le condizioni che hanno permesso ai loro autori di agire.
È difficile insistere su questo quando si ha a che fare con un genocidio. La portata delle morti e delle violenze, la cancellazione delle condizioni di vita rendono la cessazione di tale cancellazione la questione più urgente, l’unico obiettivo. Ma questo comporta l’assoluzione, e anche peggio. Donald Trump sta già festeggiando la vittoria per aver riportato la pace, dopo aver permesso che ciò che è accaduto negli ultimi mesi avvenisse.
Jared Kushner ha elogiato la condotta di Israele: «Invece di replicare la barbarie del nemico, avete scelto di essere eccezionali».
Starmer ha lodato Trump per aver raggiunto l’accordo e si è concentrato sull’importanza di far entrare gli aiuti umanitari. Secondo quanto affermato dal N°10 di Downing Street renderà «un tributo particolare» al presidente degli Stati Uniti a Sharm el-Sheikh.
E così ora abbiamo un crimine senza criminali, un genocidio senza genocidari, una popolazione miserabile che, dobbiamo credere, è stata ridotta in miseria da Hamas e deve essere nutrita e dissetata mentre il mondo decide cosa farne. Un’intera storia di impunità e dominio israeliano in Palestina, di ripetute pulizie etniche, di regime militare, di espansione degli insediamenti – e ora di esplicito rifiuto dell’autodeterminazione palestinese – viene cancellata, ancora una volta.
Questa volta, tale assoluzione, tale inquadramento di quanto accaduto come tragico e finalmente concluso, è ancora più urgente, perché la responsabilità dei paesi che hanno sostenuto Israele e messo a tacere i suoi critici è più chiara che mai. Ovviamente Sharm el-Sheikh è il luogo d’incontro di chi ha fornito armi, limitato le proteste e rifiutato sia di avallare le dichiarazioni di genocidio, sia di osservare le sentenze della Corte penale internazionale quando ha emesso un mandato di arresto per Benjamin Netanyahu.
La pace a Gaza rappresenta un’opportunità per dimenticare, per cancellare dalla coscienza collettiva un’epoca in cui alcuni paesi occidentali hanno calpestato le norme e le istituzioni internazionali, e persino la loro stessa politica interna, per imporre la distruzione di Gaza.
Ma molti in tutto il mondo, che per due interi anni hanno assistito al massacro e a tutto ciò che lo ha sostenuto, non lo dimenticheranno così facilmente. Il futuro sicuro di chi vive a Gaza, e della Palestina in generale, non è qualcosa che può essere garantito da ladri diventati protettori. Senza l’emancipazione del popolo palestinese e la sua autodeterminazione, non ci può essere fede o fiducia in Israele o nei suoi alleati per garantire quella “pace duratura” costantemente invocata. Per ora, fortunatamente, le uccisioni a Gaza sono cessate, ma ora bisogna rifiutarsi di normalizzare ciò che seguirà: un ritorno allo status quo in cui tutti continuiamo a fingere che la vita dei palestinesi sia sostenibile sotto l’autorità di Israele.
Traduzione a cura di: Simonetta Lambertini
Tutti gli articoli del BLOG: Invictapalestina.org
Eventi a noi segnalati: Eventi

