La storia di Dalal, attrice italo-palestinese nell’«Orestea»: in scena è nata l’amicizia con i colleghi ebrei

È nata a Napoli, ma la sua terra è la Palestina. Figlia di un palestinese e di una napoletana, l’attrice Dalal Suleiman (34 anni) ha mosso i primi passi nei vicoli dei Quartieri Spagnoli, ma la più forte emozione l’ha vissuta andando la prima volta a Nablus, dove vive la famiglia del padre Omar.
«Ho provato tutto il dolore e la rabbia per come il mio popolo viene trattato dagli israeliani», racconta Dalal che oggi debutta al Teatro Grande di Benevento nel ruolo di Corifèa, nell’Orestea di Eschilo, regia di Luca De Fusco.
«Per andare a trovare mia nonna, affrontai un viaggio rocambolesco: il territorio palestinese è pieno di checkpoint presidiati da Israele. Il primo tentativo lo feci nascosta in un’autoambulanza, ma mi scoprirono e rimandarono indietro. Il secondo in un taxi collettivo, ma anche lì mi scoprirono. La terza volta venne a prendermi mio zio e, dopo un lungo percorso sulle montagne, raggiungemmo Nablus.
È assurdo. Siamo sottomessi e prigionieri a casa nostra». Nello spettacolo, però, convive pacificamente con due israeliani: il compositore Ran Bagno e la coreografa Noa Wertheim. «Quando De Fusco mi ha chiesto se avevo problemi a lavorare con loro, gli ho risposto: io no, forse è meglio chiedere a loro se hanno problemi».
Ce ne sono stati? «Ran mi chiese subito Mi odi? Gli ho risposto come posso odiarti? Non ti conosco! Poi gli feci un po’ di domande: se aveva fatto il servizio militare, se aveva ucciso qualcuno… Ran mi rassicurò, è nata una bella amicizia».
I problemi a Napoli, invece, li ha avuti suo padre: «È sempre stato un attivista per la liberazione del nostro Paese e, molto giovane, venne a Napoli per studiare. Lavorava come barista e poi, più di vent’anni fa, ha aperto un suo bar, il Caffè Arabo, in una piazza centrale». Un’attività produttiva, forse troppo, tanto da dar fastidio: «Ha subito più volte incendi del locale e non solo. Sere fa sono piombati in piazza due tipi a cavallo di una moto col volto coperto e la pistola in mano, creando il panico totale. Questa è Napoli, una guerra continua anche qui. Mentre in Palestina, però, il popolo combatte con fierezza contro uno Stato prevaricatore, i napoletani subiscono, non denunciano».

Dalal ha studiato arabo «poi ho analizzato a fondo la questione palestinese: le mie radici sono lì e vorrei portarci mio figlio, ma non so se riuscirò mai. Gli ebrei sono potentissimi, mentre noi palestinesi siamo poveri e considerati inferiori».
Al teatro, dove condivide la scena con Mariano Rigillo, Elisabetta Pozzi, si è avvicinata giovanissima grazie allo studio delle sue radici: «Ho portato in scena testi palestinesi: recitare è una terapia». E la tragedia greca la sente nel sangue: «Credo che De Fusco mi abbia scelto perché certe tematiche le esprimo con sofferenza interiore».
Ma nel Caffè di papà Omar campeggia una scritta incorniciata: «Una frase di Fatema Mernissi, scrittrice marocchina:
“C’è sempre un pezzetto di cielo dove alzare la testa”.
Per me rappresenta la speranza… È il mio portafortuna».