Quale utilità hanno cose come passaporti, bandiere, ambasciate, francobolli, prefissi e domini Internet quando lo Stato stesso esiste solo sulla carta?
Sharif Nashashibi
Mercoledì 16 Settembre 2015 00:31 UTC
C’è poco dibattito sul fatto che il voto delle Nazioni Unite della scorsa settimana per issare la bandiera palestinese presso la propria sede e gli uffici, non è altro che simbolico – il rappresentante palestinese alle Nazioni Unite lo ha descritto come tale. Tuttavia, ciò non rende la mossa insignificante.
Il voto dell’Assemblea Generale ha visualizzato tuttavia un altro dato, il livello di simpatia internazionale con la causa palestinese. Ci sono stati 119 voti a favore, 45 astensioni e solo otto contro, tra cui quattro piccoli Stati insulari (le Isole Marshall, Micronesia, Palau e Tuvalu), con una popolazione complessiva di circa 187.000.
L’iniziativa ha dimostrato anche un altro segno di incapacità di Israele a invertire la crescente presenza internazionale della Palestina. Questo ultimo voto è stato insignificante, Israele non ha fatto una campagna contro, ha reagito con rabbia dopo, quando il suo ambasciatore alle Nazioni Unite ha chiesto al segretario generale e al Presidente dell’Assemblea generale di bloccare l’operazione.
Nonostante la sua macchina propagandistica ben oliata, gruppi formidabili di pressione e l’alleanza con gli Stati Uniti, questo è un altro indizio che Israele sta perdendo la PR war ( ndt. basata sulle Public Relations) a livello internazionale.
La votazione ha inoltre evidenziato, ancora una volta, il divario tra l’opinione pubblica mondiale che si riflette nell’ Assemblea Generale e il Consiglio di Sicurezza tristemente antidemocratico, dove il veto degli Stati Uniti è spesso esercitato o minacciato in aiuto all’impunità israeliana.
Strategie
Il voto è “coerente con quella tendenza generale che tende a legittimare uno stato palestinese come una realtà nella vita politica internazionale”, ha detto Richard Falk, ex relatore speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani in Palestina, e professore emerito di diritto internazionale alla Princeton University.
Nel 2011, la Palestina entrò, come membro a pieno titolo, a far parte dell’UNESCO, organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura. L’anno seguente, il suo status delle Nazioni Unite è stato aggiornato a ‘Non-Member Observer State’, “stato” piuttosto che “entità”. Nel mese di aprile di quest’anno, la Palestina è diventato ufficialmente un membro della Corte penale internazionale (CPI).
Un numero crescente di paesi sta riconoscendo ufficialmente la Palestina – quasi tre quarti dei membri delle Nazioni Unite, che rappresentano circa l’80 per cento della popolazione mondiale, già lo ha fatto. Parlamenti in Europa, il più grande partner commerciale di Israele, stanno prevalentemente votando o sollecitando i propri governi a seguire l’esempio.
Tali avvenimenti possono essere in parte spiegati con la causa palestinese che si adatta alle mutevoli circostanze, portando la pressione su Israele sulla scena internazionale perché quest’ultimo ha reso sempre più difficile sfidare la sua occupazione e la colonizzazione della Palestina nella regione.
Tuttavia, le vittorie simboliche come l’ultimo voto dell’Assemblea Generale, non vanno molto lontano – la solidarietà in seno all’Assemblea Generale non è una novità, ma non ha restituito ai palestinesi i loro diritti. Ciò che serve sono misure concrete sul campo oltre al supporto per altre forme di pressione, in primo luogo il boicottaggio internazionale, Disinvestimento e Sanzioni (BDS), che si sta rivelando sempre più efficace.
Misure sul campo dovrebbero comprendere la riconciliazione intra-palestinese, il boicottaggio dei prodotti israeliani, e il taglio degli accordi di sicurezza con Israele. Tali misure sono molto popolari tra i palestinesi, e sono state adottate nel marzo di quest’anno da parte dell’Organizzazione di liberazione della Palestina (OLP), le cui decisioni si suppone siano vincolanti per l’Autorità Palestinese (PA).
Preoccupazioni
Tuttavia, la AP non si è ancora pronunciata per la loro attuazione, neanche sollevando incertezze su punti specifici o su tutto. Infatti, lo scorso anno il Presidente dell’AP Mahmoud Abbas ha descritto il coordinamento “sicurezza” con Israele come “sacro” e nel 2013 ha detto : “Non sosteniamo il boicottaggio di Israele, Noi non chiediamo a nessuno il boicottaggio di Israele.”
Le preoccupazioni si sono intensificate il mese scorso dopo le dimissioni di Abu Mazen come capo del comitato esecutivo della OLP – così come gli altri 10 dei suoi 18 membri – e il suo appello per una riunione di emergenza del Consiglio nazionale palestinese (PNC) per eleggere i nuovi membri.
Mentre lui ha inquadrato questo come un tentativo di riformare l’OLP, ci sono sospetti – anche tra i membri del suo partito Fatah – che questo è un gioco di potere destinato a riempire il comitato esecutivo con i suoi sostenitori. Tali sospetti non sono infondati, dato il dominio sempre più autocratico di Abbas, che rimane presidente dell’ AP nonostante il suo mandato sia finito nel 2009.
Recentemente ha licenziato il commentatore Yasser Abed Rabbo, segretario generale della OLP e lo ha sostituito con Saeb Erekat, da lungo tempo stretto collaboratore. L’ex primo ministro Salam Fayyad si dimise nel 2013 dalla AP per divergenze con Abbas. Nel frattempo, gruppi per i diritti umani palestinesi e internazionali condannano la continua repressione del dissenso da parte della AP.
Priorità
I trionfi simbolici, come le varie forme di riconoscimento della Palestina, danneggiano Israele da un punto di vista di PR. Tuttavia, le misure di cui sopra avrebbero colpito dove fa male veramente: la sua economia e l’occupazione.
La Palestina sta acquistando le prerogative simboliche di uno stato, ma l’occupazione e la colonizzazione da parte di Israele sono fenomeni sempre più radicati. Se si punta più sul primo aspetto, Israele potrebbe trarne vantaggio: in altre parole, l’illusione di uno stato, la celebrazione di vittorie meramente simboliche, potrebbe distogliere l’attenzione dalla necessità di costruire uno stato vero, effettivo.
Dopo tutto, a che servono cose come passaporti, bandiere, ambasciate, francobolli, prefissi e domini Internet quando lo Stato stesso esiste solo sulla carta? E a che serve una leadership che non può, o non vuole, andare oltre il simbolismo?
Sharif Nashashibi è un pluripremiato giornalista e analista per gli affari arabi. Lui è un assiduo collaboratore di Al Arabiya News, Al Jazeera English, The National, e la rivista Medio Oriente.
Nel 2008, ha ricevuto un premio da parte del Consiglio Media International “per facilitare e produrre reportistica costantemente equilibrata” sul Medio Oriente.
Le opinioni espresse in questo articolo sono di proprietà dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale del Medio Oriente Eye.
trad. Invictapalestina
fonte: http://www.middleeasteye.net