L’esercito israeliano colloca coltelli vicino ai palestinesi?

Amirahass
Soldati israeliani attorno ad un palestinese ferito ad Hebron, 26 Ottobre 2015, dopo un tentativo di accoltellamento presso la Grotta dei Patriarchi. AP

All’orecchio israeliano l’accusa sembrerebbe inverosimile. Gli israeliani considerano difficile credere che i nostri soldati e comandanti possano mentire, a meno che non si provi il contrario attraverso foto o registrazioni ambientali.
Amira Hass Nov 16, 2015 6:02 AM

Un ex poliziotto giapponese in visita in Israele ha detto: ” Non capisco. Nel nostro Paese, se qualcuno pugnala un poliziotto, lo afferriamo a mani nude e lo arrestiamo. Non lo uccidiamo. Perché in Israele funziona differentemente?”.

Come dovremmo rispondere? Dicendo che nel nostro Paese soldati e poliziotti sono addestrati ad uccidere un palestinese che regge un coltello a due metri da loro, oppure che ha un coltello in una busta, o qualcosa che si presume sia un coltello nella sua tasca?
Quattro giorni ad Hebron non sono stati sufficienti a tenere il conto di tutti coloro che sono stati uccisi in città. Sei diversi articoli non sono riusciti a coprire tutti gli eventi accumulati, gli occhi lucidi dei genitori in lacrime, i prepotenti raid notturni nelle case da parte del servizio di sicurezza Shin Bet, le minacce di demolire l’abitazione di qualcuno (anche quando nessun israeliano è stato ucciso). E allora ecco qualche breve aggiornamento per supplire alla mancanza di spazio.
“Dopo qualche giorno di calma ingannevole, un altro attacco armato,” ha riportato Ynet venerdì scorso, in seguito all’uccisione di due israeliani nel sud della West Bank. Informazione errata. L’assalto all’ospedale di Hebron, il rapimento del paziente Azzam Shalaldeh (che era stato sparato e ferito da un colono) e l’assassinio di suo cugino Abdullah non costituiscono niente di simile alla calma, né ingannevole e né di altro genere.
Il sito web di Haaretz ha descritto allo stesso modo l’attacco a colpi di coltello avvenuto a Gerusalemme lo scorso martedì, cioè come una interruzione della relativa calma. Ma a Gerusalemme non c’è mai calma; ogni notte i poliziotti fanno irruzione nelle case e arrestano bambini ed adolescenti, pattugliano il vicinato e terrorizzano le persone. E ciò avviene collateralmente all’uccisione di manifestanti e alla violenza burocratica della demolizione delle case e della revoca della residenza. Finché non ci renderemo conto che l’occupazione è un unico continuo attacco terroristico, non capiremo come fermare gli attacchi contro gli israeliani.
È stato scritto che il 17 Ottobre, Bayan Osileh, 16 anni, si è avvicinato al checkpoint alla base di polizia dell’Ashmoret Yitzhak Border “presso la Grotta dei Patriarchi”. Sbagliato. La ragazza è arrivata al checkpoint che taglia via il suo quartiere dal resto di Hebron. I media israeliani descrivono sempre il luogo di un avvenimento come una zona militare ed israeliana. Per esempio, parlano di Checkpoint 160 e di strada Zion e mai di quartiere A-Salameih o Wadi al-Hussein. Questo è il modo di far sparire decine di migliaia di persone le cui case e le cui infanzie sono qui, mentre la mentalità israeliana vede la cancellazione dei palestinesi dalla propria città come ovvia.
Osileh ha chiesto ad una poliziotta di frontiera come arrivare ad un certo posto, ha raccontato ad Haaretz una fonte della sicurezza. La poliziotta ha risposto che avrebbe dovuto “chiedere alla gente del posto.” Osileh ha infilato la mano nel suo zaino scolastico, come per mettersi a cercare il cellulare, ha tirato fuori un coltello ed ha pugnalato il giubbotto antiproiettile della poliziotta. La poliziotta ha spinto Osileh via e quella è caduta. L’agente ha riportato un taglio alla mano.
“La ragazza ha tentato di rialzarsi” ha raccontato la sicurezza ” e la militare le ha sparato, una pallottola o due, credo.” Proprio nel petto. Perché la poliziotta non si è semplicemente limitata a ferire ed arrestare la ragazza?

Il sospetto ha alzato le mani

Il mese scorso, i soldati del battaglione Tzabar hanno ucciso due ventiduenni al checkpoint Gilbert a Tel Rumeida. I volontari internazionali hanno raccontato il modo in cui hanno visto uccidere Islam Obaido, il 28 Ottobre. Secondo la loro testimonianza, stava camminando in strada in direzione del checkpoint. Due soldati che si trovavano ad una certa distanza dai loro colleghi al checkpoint erano di fronte a lui. Obaido ha alzato le mani. Uno o due di loro gli hanno sparato due colpi di arma da fuoco. Un volontario internazionale ha detto che il ragazzo non aveva coltelli ma le foto delle Forze di Difesa Israeliane mostrano un coltello accanto al corpo. Obaido è stato sparato da un metro di distanza. I soldati non avrebbero potuto semplicemente ferirlo invece che ucciderlo?
Nessun volontario ha realmente assistito all’uccisione di Humman Is’aid il 27 Ottobre, hanno solo sentito gli spari. Una operatrice internazionale si è affacciata alla finestra del suo appartamento ed ha visto il corpo, circondato da soldati e coloni. Non ha visto alcun coltello. Si è allontanata dalla finestra per un secondo e quando è tornata c’era un coltello, ha raccontato.
Non saranno i soldati a piazzare coltelli dopo i fatti, come credono i palestinesi? All’orecchio degli israeliani ciò sembrerebbe inverosimile, persino una domanda illeggittima. Invece poniamoci questa domanda: siamo sicuri che soldati e poliziotti non abbiano mai mentito per giustificare arresti arbitrari o sparatorie o omicidi di palestinesi? Gli israeliani lo considerano difficile da credere ma i nostri soldati e comandanti potrebbero mentire, a meno che non si dimostri il contrario attraverso le telecamere di sicurezza o fotografie di cui i soldati non siano a conoscenza.

 

trad. 17 marzo – L. Pal – Invictapalestina.org

fonte: http://www.haaretz.com/israel-news/.premium-1.686280?v=57F2A0C6A61510C7469B400703E85B9E

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