Le nuove misure antiviolenza israeliane gettano olio sul fuoco a Hebron

I cittadini vedono i nuovi provvedimenti, palesemente assunti per ridurre la crescente tensione, cioè la registrazione della residenza, la dichiarazione di aree militari chiuse, come parte di un più ampio piano israeliano per espellerli e insediare i coloni.

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Palestinians demonstrate in Hebron to demand the return of alleged terrorists killed by Israel. November 10, 2015.Reuters

di Amira Hass, Haaretz   10 novembre 2015

Due settimane fa l’Amministrazione Civile israeliana in Cisgiordania ha richiesto che i palestinesi residenti in alcuni quartieri della città vecchia di Hebron siano registrati in una categoria speciale: residenti permanenti. A ciò si accompagnava un ordine dell’esercito israeliano che dichiarava questi quartieri area militare chiusa, in cui non sarebbe stato permesso ai palestinesi di entrare a meno che potessero provare di abitare lì.

Chiunque non si sia volontariamente registrato presso i soldati ai checkpoints la scorsa settimana ha subito un’incursione notturna nella propria casa, durante la quale i soldati e i funzionari dell’Amministrazione Civile hanno costretto i residenti a registrare il proprio status. Progressivamente anche coloro che inizialmente si erano rifiutati di registrarsi sono stati costretti a farlo.

Hanno anche misurato la dimensione delle stanze nell’appartamento, ha detto a Haaretz un residente mercoledì scorso. Registrare i nomi e misurare le stanze è veramente inquietante.

Questa persona raccontava la sua recente esperienza al termine di una protesta in cui i manifestanti hanno chiesto che Israele consegni alle famiglie i corpi dei palestinesi che i soldati israeliani hanno ucciso di recente. La manifestazione era promossa dal partito Fatah, che è il motivo per cui vi hanno preso parte solo poche centinaia di abitanti di Hebron.

In questi giorni qui come anche altrove in Cisgiordania c’è una scarsa adesione agli appelli delle organizzazioni politiche a dimostrare contro l’occupazione. Per esempio, il Comitato delle Forze Nazionali ed Islamiche chiama a protestare in un certo luogo e ad una certa ora a Ramallah, e i dimostranti manifestano in un posto e in un’ora differente, o addirittura in un giorno diverso.

“Oggi ad Hebron “spiega un residente “solo le manifestazioni indette dai grandi gruppi familiari portano in piazza le masse.” E ad Hebron oggi tutti gli slogan politici sono stati evitati, a vantaggio della richiesta della restituzione dei corpi.

Come al solito, gli attivisti locali hanno cercato di nascondere la propria debolezza politica dietro agli slogan. “Tagliare la testa ai coloni”, gridava qualcuno con un megafono nella manifestazione di mercoledì. Oppure, “Tutti sanno la verità: noi non vogliamo vedere i coloni.” Poi un rappresentante di Fatah ha urlato “Morte ad Israele!” dal palco in piazza Ibn Rushd, ma solo poche persone si sono unite scandendo lo slogan.

Un gruppo di donne dimostranti ha invocato la vendetta ed invitava l’organizzazione palestinese rivale, Hamas, a portarla avanti. Tre delle donne hanno richiamato l’attenzione per via dei loro vestiti coordinati: erano tutte vestite di nero, il viso coperto da kefiah (copricapo palestinese, ndt.) bianche e nere. Commercianti e acquirenti di via Ein Sarah [una delle vie principali della città, ndt) guardavano i dimostranti, ma non si sono uniti a loro.

Alla fine della manifestazione un gruppo di giovani si è recato al check point israeliano nel quartiere di Bab al-Zawiya, ha tirato pietre e poi è fuggito dai gas lacrimogeni e dalle pallottole dei soldati. Nessuno aveva mandato là i ragazzi. Di fatto, nessuno attualmente ha il potere politico di impedire a questi giovani di tirare pietre e di mettere a rischio la propria vita, così come nessuno ha fermato un bambino che sembrava avere circa 8 anni, che stava fermo il giorno prima non lontano da un altro checkpoint (Abu al-Rish, che separa la città vecchia dal resto di Hebron) divertendosi ad usare una fionda per tirare una pietra ad un invisibile bersaglio. La puzza del cosiddetto “spray puzzola” utilizzato dall’esercito un paio di giorni prima non ha spinto il bambino ed i suoi compagni ad andarsene.

Gli abitanti di Hebron dicono che in ottobre vicino ai checkpoints dell’esercito israeliano intorno alla città vecchia sono avvenuti 36 dimostrazioni e scontri. Durante questi incidenti, 89 palestinesi sono stati feriti da pallottole vere, 82 da proiettili di gomma e 159 da gas lacrimogeni.

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Israeli security forces react during clashes with Palestinian demonstrators in Hebron. November 10, 2015.Reuters

Timori costanti

La registrazione dei residenti della città vecchia, la dichiarazione dei loro quartieri come area militare chiusa e la chiusura forzata di negozi palestinesi nel centro di Hebron sono alcune delle misure che l’esercito ha preso per contenere la recente escalation di violenza, essendo arrivato alla conclusione che Hebron ne è l’epicentro. Ma i palestinesi non ritengono queste misure atte a calmare la situazione.

Al contrario, esse rafforzano la loro opinione che Israele stia sfruttando la situazione per attuare un’ulteriore fase del progetto di svuotare il centro di Hebron dai palestinesi e di insediarvi nuovi gruppi di colonie e di coloni. E’ impossibile capire la situazione a Hebron senza tener conto del costante timore che Israele intenda espellere tutti i palestinesi dalla città vecchia.

Ma ciò che attualmente supera persino il timore dell’espulsione dalla città vecchia è la paura dei soldati. Le donne dicono che hanno smesso di passare i checkpoints con ogni tipo di borsa, per paura che i soldati sospettino che portino coltelli e le uccidano.

Al checkpoint della polizia di frontiera nel quartiere di Al-Salaymeh, lunedì della settimana scorsa una donna ha esitato qualche minuto prima di passare con le sue due figlie attraverso il metal detector, e immediatamente si è avvicinato un poliziotto che stava al posto di guardia, con il fucile spianato. Solo la presenza di un giornalista e di una telecamera nella postazione l’ hanno convinta a passare.

Circa 40 ragazze, che devono spostarsi dai settori di Hebron sotto il controllo palestinese fino alla loro scuola nella città vecchia, erano assenti dalla classe la settimana scorsa. Più che mai, loro ed i loro genitori hanno paura dei coloni e dei soldati, che gli puntano contro i fucili e controllano lo zaino di ogni studente o studentessa, anche se ha solo 6 o 10 anni.

Fino al 4 novembre, ventitre residenti dell’area di Hebron che hanno compiuto aggressioni contro israeliani o hanno presumibilmente tentato di farlo, sono stati uccisi dalle forze di sicurezza. Di essi, 10 sono stati uccisi ai checkpoints dentro o intorno alla città vecchia; uno studente di scuola superiore è stato ucciso ad un checkpoint nel quartiere di Wadi al-Ghrous.

Tutti a Hebron dicono che nessuno dei ragazzi uccisi apparteneva ad alcuna organizzazione politica. Se davvero hanno cercato di accoltellare qualcuno, non lo hanno fatto a nome di un’ organizzazione.

Ogni abitante di Hebron è abituato alle fotografie dei morti stesi nelle pozze di sangue, mentre gli israeliani sia in abiti civili che militari stanno lì accanto e li fotografano con i loro smartphones, a volte addirittura sorridendo. I residenti della città vecchia dicono che ogni volta che viene ucciso un palestinese gli israeliani arrivano sul posto e festeggiano l’uccisione.

Martedì della scorsa settimana, l’esercito israeliano ha chiuso il network di notizie Al-Huriya, considerato pro-Fatah, e ha distrutto o confiscato le attrezzature del valore di circa 350.000 dollari, sostenendo che incitava alla violenza. Ma a Hebron molte persone conoscono l’ebraico, e navigano nei siti israeliani e traducono, per quelli che non sanno la lingua gli slogan anti arabi che gli israeliani vi scrivono. Non hanno bisogno di Al-Huriya per arrabbiarsi.

Anche gli abitanti di Hebron convinti che almeno alcuni dei palestinesi uccisi abbiano davvero cercato di accoltellare degli israeliani, ritengono che i soldati li hanno ammazzati mentre potevano ferirli e arrestarli, proprio come ha rilevato un’inchiesta dell’esercito israeliano riguardo ai soldati che hanno ucciso Hadeel al-Hashlamoun il 22 settembre. Molti altri sono convinti che le notizie sugli accoltellamenti siano false; pensano che i soldati israeliani sono diventati isterici, hanno paura di ogni minimo movimento, e quindi sparano uccidendo senza motivo.

Alcuni si spingono anche oltre, sostenendo che l’uccisione delle persone che passano attraverso i checkpoints vicini agli insediamenti dei coloni faccia parte di un piano per espellere i palestinesi dalla città vecchia. Poi è arrivata la registrazione dei residenti permanenti della città vecchia e il divieto per gli altri palestinesi di entrare in certi quartieri, confermando così le loro peggiori paure.

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In Hebron, Palestinian stone-throwers hide behind a board during clashes with Israeli security forces. November 10, 2015.AFP

 

Crescente isolamento

Ai checkpoints lungo Shuhada Street, tra la moschea di Ibrahimi, o Tomba dei Patriarchi, e l’insediamento dei coloni di Tel Rumeida, un’area in cui le automobili palestinesi, e in una zona anche i pedoni, non possono transitare, i soldati adesso controllano se i nomi dei palestinesi che vogliono passare si trovano nel nuovo elenco che hanno ricevuto. Se così è, gli è permesso passare. Se no, gli viene ordinato di tornare indietro.

Issa Amro, direttore del movimento Giovani contro gli Insediamenti [ong palestinese di Hebron che promuove la lotta popolare non violenta e la disobbedienza civile contro le colonie, ndt], ha dichiarato che un funzionario dell’Amministrazione Civile ha detto ai residenti che il prossimo passo sarà concedere a tutti i residenti permanenti dei permessi speciali che consentano di entrare ed uscire dalle loro case e quartieri. Ma l’istituzione del nuovo registro significa che i parenti, gli amici, gli idraulici o i medici che non vivono lì non potranno entrare.

Il senso di isolamento è destinato ad aumentare. Le persone anziane che dipendono dall’aiuto dei figli potrebbero essere costrette ad abbandonare le loro case. I giovani che aspirano ad un po’ di normalità nella loro vita potrebbero preferire trasferirsi dall’altro lato della città.

Finora la registrazione è stata effettuata a Shuhada Street e a Tel Rumeida. Un altro quartiere ad est della Tomba dei Patriarchi, Al-Salaymeh, venerdì scorso è stato circondato da barriere di cemento che costringono i residenti ad entrare e uscire attraverso un checkpoint della polizia di frontiera.

L’ufficio del portavoce del Coordinatore delle Attività Governative nei Territori dell’esercito israeliano non ha risposto alle domande di Haaretz se il processo di registrazione verrà esteso ad altri quartieri, o perché vengono prese le misure delle stanze negli appartamenti. La sua risposta è stata semplicemente che, alla luce della serie di eventi terroristici nella città di Hebron, i funzionari della sicurezza hanno recentemente imposto restrizioni di movimento in quest’area, parte delle quali consiste nel concedere il permesso di entrata a Tel Rumeida solo ai residenti del quartiere e in casi d’emergenza.

“Allo scopo di minimizzare il danno alle condizioni di vita di coloro che vivono nell’area in cui viene applicato l’ordine, i loro dati personali sono stati trasmessi alle forze che si trovano ai checkpoints, per consentire ai residenti il libero accesso alle proprie case. L’Amministrazione Civile continuerà a rendere possibile la vita normale per tutti i residenti del settore, fornendo autorizzazioni per le necessarie misure di sicurezza che sono state prese alla luce della situazione.”

Ma a Hebron, e specialmente nella città vecchia, non vi è stata “vita normale” per quasi 20 anni. Circa 18 checkpoints militari gestiti da soldati, oltre a circa 100 ulteriori barriere (muri di cemento) eretti nel mezzo delle strade e tra una casa e l’altra, hanno separato il centro dai quartieri adiacenti e dal resto della città. I mercati un tempo pieni di vita sono diventati luoghi desolati.

L’associazione per i diritti umani B’Tselem [ong israeliana pacifista, ndt] stima che circa il 75 % dei 1.830 negozi nel centro di Hebron sono stati finora chiusi a causa delle restrizioni di movimento e dell’isolamento dal resto della città. Più di 1.000 appartamenti (circa il 40 % del totale) sono stati abbandonati per gli stessi motivi e a causa delle continue molestie ai residenti palestinesi da parte dei coloni, sotto la protezione dell’esercito e della polizia.

Gli allievi delle scuole locali necessitano di scorte permanenti perché hanno paura dei coloni e delle loro famiglie. Chiudere le strade nel cuore di Hebron interrompe completamente il flusso del traffico, rendendo necessarie lunghe e tortuose deviazioni attraverso le colline, solo per avanzare di poche decine di metri.

Il dottor Hashem al-Azzeh, di 54 anni, residente a Tel Rumeida, viveva a tre minuti di distanza dall’ospedale di Hebron. Il 21 ottobre Azzeh, che aveva subito una cateterizzazione due mesi prima, si è ammalato. La sua famiglia ha detto che aveva patito i gas lacrimogeni usati dall’esercito israeliano per disperdere una manifestazione a Bab al-Zawiya.

Le ambulanze non possono entrare nel quartiere senza coordinarsi con l’esercito, procedimento che dura circa 40 minuti. Quindi i parenti e i vicini di Azzeh lo hanno portato al checkpoint in fondo alla strada, dove sono stati fermati per circa 10 minuti prima di poter raggiungere l’ambulanza che li aspettava dall’altra parte. Ma quando è arrivato all’ospedale, è stato dichiarato morto.

A causa della paura dei coloni e dei soldati, anche in tempi normali, la gente si è abituata ad evitare la città vecchia, se non ha necessità di andarvi. Neanche nei quartieri che circondano la città la vita è normale.

Sulla strada che conduce dalla colonia di Kiryat Arba alla città vecchia, ai palestinesi è vietato viaggiare in macchina (eccetto per poche persone con permessi speciali). La via diretta che porta al quartiere di Wadi al-Ghrous, che passa accanto ad un posto di polizia di frontiera, è chiusa al traffico dei veicoli. Il quartiere stesso è imprigionato tra la colonia di Givat Harsina, Kiryat Arba e una caserma della polizia di frontiera.

In estate, i residenti dipendono dalle cisterne d’acqua, che non riescono a passare per le strette vie del quartiere. Ci vuole circa un mese per concordare con l’esercito la concessione del permesso per i camion cisterna di entrare passando dalla strada bloccata. Ai residenti è vietato costruire nuove strutture lungo la strada o aggiungere ulteriori piani alle loro case, per cui vivono in condizioni di terribile sovraffollamento.

L’accordo del 1997 sul dislocamento dell’esercito israeliano a Hebron ha lasciato il 20% della città sotto il controllo della sicurezza israeliana. Questo significa che la polizia palestinese non può operare su circa un quinto del territorio della città. Negli ultimi 19 anni, questo quinto è diventato un rifugio per criminali che fuggono dalla polizia palestinese, ma il cui arresto non è una priorità per la polizia israeliana.

Lo stesso accordo vieta alle forze dell’ordine palestinesi di intervenire nei casi di violenza domestica o di dissidi tra vicini, che a volte sfociano in spaventosi scambi di fucilate.

L’Autorità Nazionale Palestinese è consapevole di quanto la sua posizione sia indebolita dall’assenza di una vita normale. Martedì della scorsa settimana, il governo del primo ministro Rami Hamdallah ha tenuto la sua riunione settimanale a Hebron ed ha promesso di offrire maggior sostegno alla città, in special modo ai residenti della città vecchia. La municipalità di Hebron ha fatto la stessa promessa, dicendo di aver stanziato un milione di dollari per loro.

Il giorno della riunione del governo, i servizi di sicurezza palestinesi sono stati schierati in tutta la città. Un giovane poliziotto palestinese, che era in ferie e non sapeva della riunione, ha espresso ad altri passeggeri del taxi la sua opinione sul suo datore di lavoro: “Chiaramente è arrivato in città qualche personaggio importante. L’ultima cosa che interessa alla Autorità Nazionale Palestinese è la sicurezza del popolo.”

 

Fonte: http://www.haaretz.com/israel-news/.premium-1.685249

( Traduzione di Cristiana Cavagna)

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