Prima parte – “Vivere o morire”. Norman Finkelstein a proposito della Guerra dei Sei Giorni e la sua mitologia.

Il 2 maggio, James North e Phil Weiss hanno discusso con Norman Finkelstein nel suo appartamento di Brooklyn della Guerra dei Sei Giorni, della sua storia, della sua mitologia e del suo impatto sulla vita degli ebrei negli Stati Uniti. Finkelstein ha poi rivisto la trascrizione di quella conversazione.

Weiss: Quanto fu importante la Guerra dei Sei giorni nel tuo quartiere quando eri un bambino?

Finkelstein: Ero nell’ottava classe. Il mio insegnante di studi sociali, Josh Abramson, era un religioso ebreo. Ricordo che nel cortile della scuola – posso rivivere la scena con gli occhi della mente – aveva una radio a transistor all’orecchio. Era palesemente preoccupato delle sorti di Israele. Pare che molti ebrei fossero preoccupati. Ho recentmente letto le memorie del Professor Chomsky. Anche lui e i suoi amici a Cambridge avevano temuto il peggio. Ma così come si diffuse, la paura passò quando vinsero.

Era l’epoca della Guerra del Vietnam e del Black Power. Andate a vedere i programmi televisivi cult: Laugh In, The Smothers Brothers, All in the Family. Non si parlava mai di Israele.

E’ revisionismo storico affermare che Israele occupava un posto prominente nella vita degli ebrei a quel tempo. Se definisci sionista qualcuno nel ’67, be’ il Sionismo all’epoca non era una questione. C’era qualche giovane idealista, alla Bernie Sanders per intenderci, che aveva idee romantiche sul socialismo e i kibbutz.

Ma pensate che personaggi come il leader della minoranza al Senato Charles Schumer – Schumer frequentò la mia stessa scuola superiore qualche anno prima di me – volessero vivere la vita dura? State scherzando! Schumer era figlio di un disinfestatore. Vivere la vita dura era l’ultima cosa che desiderava! Una volta disse che suo padre “odiava il suo lavoro” e che lui era determinato a non fare la stessa fine di suo padre.  Schumer fu scelto nella sua classe per tenere il discorso di commiato. Ottenne il punteggio perfetto di 1600 nel test SAT, un’impresa rara a quell’epoca. Voleva conquistare le vette più alte e i luoghi più sacri del potere americano, non cantare Kumbaya in un kibbutz in chissà quale zona remota.

Weiss: La migliore amica di mia madre, Golda Werman, nacque a Berlino nel 1930. Lei e il marito si trasferirono da Bloomington a Gerusalemme nel 1968. Per il mio gruppo può non avere alcuna rilevanza ma c’erano persone per le quali questo era molto importante. Bernie Avishai, MJ Rosenberg – ebbero come una chiamata a far questo, le loro vite cambiarono. Anch’io ho avuto alcuni compagni di classe che fecero l’ “aliya”. Ma io ero interessato al top della mia classe, quello dei futuri trascinatori.

North: Nel ’71, ’72, Chuck (che North ha conosciuto) avrebbe indirizzato la conversazione su Israele. Avrei detto a Chuck, “Stimo Ho Chi Minh. E tu chi stimi?”  “Devo pensarci. Non i politici americani. Sicuramente David Ben-Gurion”. Ma avete perfettamente ragione, non si sarebbe mai trasferito (in Israele).

Weiss: E la tua famiglia?

Finkelstein: Mio fratello maggiore ha vissuto in Israele per un breve periodo. Si trovava lì durante la Guerra del 1973. Era un tipo piuttosto solitario. Andò lì in cerca di una famiglia. Quando tornò discutemmo amaramente. Ma, successivamente, si rivoltò a oltranza contro Israele. Suppongo che si sentì tradito man mano che la verità veniva lentamente a galla. Ora, a confronto, sembra Alan Dershowitz.

I miei genitori giudicavano  il mondo intero  attraverso le lenti dell’Olocausto nazista. L’Armata Rossa sconfisse i Nazisti, quindi i Russi non potevano essere cattivi. Un ebreo che non supportava l’Unione Sovietica era un venduto e un traditore. Questi erano gli epiteti che usavano. Potete ridere, ma per i miei genitori non era affatto una cosa da ridere.

Israel Gutman era il direttore dello Yad Vashem, il Memoriale dell’Olocausto di Gerusalemme. Mio padre conobbe Gutman ad Auschwitz. Erano insieme alla Marcia della morte ad Auschwiitz, e successivamente nello stesso campo profughi a Linz, in Austria. Entrambi fecero parte dell’Hashomer Hatzair, movimento giovanile sionista che al tempo era pro-Unione Sovietica. Erano molto amici. Gutman, alla fine, diventò- non si sa se per rivelazione o diffidenza – davvero anti-sovietico. Mio padre perse tutta la sua stima in lui. Secondo lui, non era null’altro che l’ennesimo venduto e traditore.

I miei genitori erano, come mia madre era solita dire, i veri McCoys. A partire dal 1970, chiunque fosse immigrato dall’Europa dopo la Guerra fingeva di essere un sopravvisuto all’Olocausto. Be’, i miei genitori erano davvero sopravvissuti all’Olocausto.

Tutti i membri della mia famiglia furono sterminati sia da parte materna che paterna. Nonni, zie, cugini… [indica le foto sul muro] Quella era la mamma di mio padre…La mamma di mia madre…Le sue due sorelle e suo fratello… Se oggi posso indicare queste foto, è perché mia madre aveva una zia negli Stati Uniti e prima della guerra, la madre di mia madre le aveva mandato queste foto.

Fotografie della famiglia Finkelstein. Suo padre è in primo piano a  sinistra. I genitori di sua madre sono nella parte alta a sinistra. Sua madre è in alto al centro. Le sue due sorelle e suo fratello sono in alto a destra.

Nessuna foto della famiglia di mio padre ha avuto scampo. Mia madre, una volta, ha intravisto da lontano la sorella di mio padre a Majdanek prima che questa venisse uccisa. Di tanto in tanto, durante gli anni in cui sono stati sposati, mio padre si sarebbe irrigidito tutto d’un tratto con un’aria solenne e meditabonda implorando mia madre : “Dimmi che aspetto aveva”.

Quando l’industria dell’Olocausto cominciò negli anni ’70, gli autentici sopravvissuti erano molto richiesti. I miei genitori non erano indifferenti al denaro – non voglio idealizzarli – non avrebbero mai snobbato l’opportunità di farsi un gruzzoletto. Mia madre fu testimone durante il processo ad alcune guardie dei campi di concetramento nazisti a Majdanek nel 1979. I sopravvissuti alla rivolta del ghetto di Varsavia, diverse decine di migliaia, inclusi i miei genitori, forono deportati a Majdanek.

Mia madre stava per testimoniare ma – e ammettere questa cosa non mi rende felice- ad un certo punto pretese un compenso da parte del governo tedesco. L’ho trovato davvero ingiusto. Dico questo in un contesto in cui i miei genitori avrebbero potuto speculare sull’Olocausto. Come Elie Wiesel, che era un ciarlatano e un esperto imprenditore dell’Olocausto. Accumulò decine di milioni di dollari facendo finta di essere un sopravvissuto all’Olocausto.

Ma l’industria dell’Olocausto permetteva ai sopravvisuti di testimoniare solo se questi denunciavano l’Unione Sovietica. La campagna “Free Soviet Jewry” (Ebrei liberi dall’Unione Sovietica)  era molto in voga- l’emendamento Jackson Vanik etc. Per quanto i miei genitori amassero il danaro, per quanto è vero Dio, non ci sarebbe stato verso di far loro proferire una sola parola di critica nei confronti dell’Unione Sovietica. Quindi, alla fine,  non furono mai chiamati a testimoniare.

Ho sempre rispettato la loro lealtà. Continuarono ad amare Stalin anche quando il Partito Comunista non è stato più degno della sua eredità.

Mia madre era molto intelligente. Sapeva molte lingue, incluso il latino – negli ultimi anni della sua vita divorava libri ad una velocità che lasciava senza parole la bibliotecaria locale e, senza alcuno sforzo, riuscì a padroneggiare  un vocabolario ben più forbito del mio – fu eletta rappresentante di classe durante le scuole superiori e studiò matematica all’Universita’ di Varsavia. Ma non volle nemmeno riconoscere il fatto che Stalin aveva ucciso Trotsky. “E’ stata la CIA”. Bè, la CIA nemmeno esisteva all’epoca.

Potreste chiamarlo fanatismo, ma in fondo  era lealtà: per quanto impopolare possa essere, non si tradisce un amico. Forse si sbagliavano, ma i miei genitori non sono mai stati dei venduti. Hanno disprezzato Israele quando si alleò con gli Stati Uniti durante la Guerra fredda e la Guerra contro la Corea.

Fino alla Corea la situazione era ancora delicata. Era ancora poco chiaro da che parte Israele si sarebbe schierato. Mapam, il secondo più grande  partito politico israeliano era ciecamente pro-Unione Sovietica. Sostenne Stalin persino durante la Guerra del 1953.

Mia madre non riusciva nemmeno a capire la logica israeliana. Non ci vedeva nulla di salvifico nel servizio militare o nella Guerra. Diceva sempre “meglio 100 anni di evoluzione che un anno di rivoluzione”. La Guerra era l’ultimo orrore. Ma Israele era una sorta di Sparta dei giorni nostri. Dopo il ’67, Moshe Dayan giunse ad abbracciare questo spirito marziale. Hanno fatto festa in nome della morte, uccidendo.

North: A proposito di Moshe Dayan, se potessi incolpare un solo israeliano per quanto accaduto del ’67, sceglieresti qualcuno?

Finkelstein: Non sceglierei nessuno in particolare. Fu una decisione collettiva. Non puoi capire realmente i fatti del ’67 fin quando non ricordi che solo un decennio separava questi fatti dal ritiro forzato di Israele dal Sinai egiziano nel ’57 dopo che Israele l’aveva invaso nel ’56.

Israele prima provò a spodestare il presidente egiziano Nasser nel ’56, per poi conquistare anche il Sinai, Gaza e la Cisgiordania. Questo episodio si rivelò una sorta di prova  generale per i fatti del ’67. Tranne per il fatto che nel ’67, i leader israeliani erano divisi sull’attaccare o meno senza il via libera da parte di Washington.

Il primo ministro Eshkol non voleva rischiare che si ripetessero i fatti del ’57, quando il presidente Eisenhower forzò Israele a ritirarsi dal Sinai. Nel ’67, in questo risiedeva la differenza cruciale fra le cosidette colombe come Eshkol e i militanti generali.

Eshkol voleva essere certo che il sostegno di Washington non venisse meno da un momento all’altro.

North: Lo hanno imparato a proprie spese nel ’56.

Finkelstein: Sì. Ma una volta che effettivamente gli Stati Uniti diedero il via libera (con qualche riserva) a Israele verso la fine di maggio e l’inizio di giugno, Israele ripropose lo stesso scenario del ’56.  Il suo interesse principale era quello di neutralizzare Nasser, di dare il colpo di grazia a questi arabi spocchiosi e di porre fine a quello che era definito nazionalismo arabo radicale.

Il loro secondo obiettivo era quello di conquistare le terre che avevano adocchiato, ma che non riuscirono ad occupare nel ’48: Gerusalemme Est, la Cisgiordania, Gaza, il Golan. Il libro di Tom Segev ‘1967’ non è eccezionale, ma documenta in modo esaustivo i progetti di espansione territoriale di Israele alla vigilia del ’67. Il libro chiarisce inoltre che Israele aveva già deciso di conquistare la Cisgiordania a fine maggio, prima che la Giordania prendesse ufficialmente parte al conflitto. La teoria secondo cui Israele non ambisse alla Cisgiordania e avesse addirittura avvertito re Hussein di evitare di prendere parte al conflitto è una fandonia.

Re Hussein temeva che la Giordania sarebbe rimasta isolata e sarebbe diventata una facile preda una volta che Israele avesse occupato l’Egitto. Pensò bene che, in ogni caso, Israele avrebbe attaccato il suo Regno; per questo motivo pensò che fosse meglio prendere parte al conflitto quando gli arabi ancora avevano qualche speranza di fermare Israele.

North: Nessuno al di sotto dei 60 anni capirà mai l’importanza e la prominenza di Nasser, sia nell’ambito del cosidetto mondo arabo e di Israele, sia a livello internazionale. E’ ancora considerato il più famoso leader arabo ( anche se se la gioca con Saddam Hussein).

Finkelstein: Era l’era del Movimento dei Paesi non allineati. Di grandi speranze e aspettative dopo che le ex colonie europee ottennero l’indipendenza in seguito alla seconda guerra mondiale.

I capi di questi nuovi Stati indipendenti si incontrarono a Bandung per una conferenza nel 1955.

I personaggi di maggior spicco a Bandung erano Nasser, Tito e Nehru.

North: Nasser fece un discorso lunghissimo e tutte le radio, da Casablanca a Baghdad, erano sintonizzate.

Finkelstein: Sì. Fu un oratore stimolante e ipnotizzante, che rimarcò l’aspetto delle aspirazioni popolari a una vita migliore e più dignitosa.

I sentimenti di Washington erano misti. Temeva che avrebbe spodestato le elite corrotte alla mercè dell’Occidente, in particolare i Sauditi.

Nasser e i Sauditi stavano combattendo una guerra di lunga data in Yemen prima del ’67.

Ma gli Stati Uniti speravano al contempo di poter comprare Nasser e tenerlo sotto controllo.

Fin quando non sopraggiunse l’amministrazione Kennedy. JFK, alla fine perse le speranze di poterlo corrompere: stava dando prova di essere davvero indipendente, intrattabile, imprevedibile.

In un brusco cambiamento di politica vendette missili antiaerei Hawk a Israele.

Tra l’altro, i fatti del ’67 non si sposano bene con la tesi del “cane che ubbidisce al padrone”, vale a dire il fatto che le lobby israeliane imposero a Washington una politica estera aliena agli interessi nazionali americani.

Quello che vedi giusto alla vigilia dei fatti del ’67 è questo: Walt Rostow, un consulente chiave della sicurezza nazionale, che dice al presidente Johnson che “il nazionalismo arabo radicale rappresentato da Nassar … è in discesa”. Necessita solo che gli venga servito il colpo di grazia.

Rostow fu preveggente. Era un castello di sabbia. In ultima analisi, Nasser era un pallone gonfiato. Gli israeliani ottennero cio’ che volevano nel 1967, e lo stesso fu per Washington. Entrambi volevano far fuori Nasser.

Weiss: Perché, questo non era un interesse degli Stati Uniti anche nel ’56?

Finkelstein: Infatti, il ’56 non fu diverso. Sia Eisenhower che il suo influente segretario di stato, John Foster Dulles, detestavano Nasser. Semplicemente pensavano che non fosse il momento giusto per un attacco armato, il clima non era ancora maturo. Dulles fu molto combattuto una volta che l’invasione Anglo-Franco-Israeliana ebbe inizio.

“Gli inglesi, una volta iniziato, non avrebbero dovuto fermarsi” – Dulles disse ad Eisenhower, “fino alla caduta di Nasser”.

I cosidetti Arabisti sostennero che Eisenhower fosse un modello da emulare. Ma in realtà voleva disfarsi di Nasser così come tutti gli altri.

Anche se le cose cominciarono a cambiare sotto l’amministrazione Kennedy, la vera rottura arrivò dopo la guerra del ’67. Gli Stati Uniti vedono ora Israele come una potenza militare di prima classe – una “risorsa strategica” – che potrebbe difendere i suoi interessi in aree critiche, mentre la bolla del nazionalismo arabo radicale è scoppiata, gli arabi sono in ginocchio, non bisogna nemmeno più prenderli in considerazione.

North: Cosa ne pensi degli storici che sostengono la tesi secondo cui Israele non aveva alcun piano aggressivo nel 1967 e che i rapporti all’interno della sua leadership erano tesi e conflittuali?

Finkelstein: Sì, c’era qualche tensione e conflitto. Ma, in via generale, c’era più unità di intenti. Erano tutti d’accordo sul cogliere l’opportunità della guerra per espandere i confini israeliani, qualche disaccordo c’era su quali territori conquistare e in che ordine.

Il tipo di storia a cui tu stai facendo riferimento si basa per lo più su interviste e memorie autocelebrative realizzate per l’opinione pubblica. Non sono ricerche serie. Potrebbe non piacerti Benny Morris, ma è innegabile che fino ad oggi, ha fatto una ricerca seria per quanto di parte.  E’ eloquente che Morris abbia interrotto  il suo archivio storico prima della guerra del 1967.

Secondo me – non posso provarlo, è solo un presentimento – questo avvenne perché il 1948 è una questione morta dal punto di vista politico. Come astutamente osserva Shlomo Ben-Ami, ex ministro degli esteri israeliano, in “Scars of War, Wounds of Peace”, il risultato più saliente della guerra del 1967 fu quello di legittimare i confini che Israele aveva conquistato nel 1948.

Questo per dire che, dopo la guerra del ’67, gli arabi non avevano altra scelta se non quella di riconoscere Israele come stato entro i confini pre ’67.

Quindi il ’48 era ora una questione morta. Israele vinse il ’48 nel ’67. L’unica questione ancora aperta del ’48 era quella dei profughi palestinesi. Ma dopo il ’67, la questione comincio’ ad essere manovrata diplomaticamente come risoluzione “giusta” sulla questione profughi “basata” sul dirito al ritorno e a un compenso.

Perché Benny Morris interruppe la sua storia mitica e sconvolgente con l’invasione del Sinai? Secondo me, egli rinunciò a fare del ’67 ciò che fece del ’48 e del ’56 perche’ il ’67 non era una questione morta. Il risultato cruciale della guerra del ’67 è l’occupazione. Questa non è una questione morta, al contrario è una questione molto viva.

Se Morris avesse scritto una storia attendibile del ’67 basata sui documenti di testimonianza disponibili, nolente o volente, avrebbe dovuto sfatare un sacco di miti sacri propagandistici, proprio come fece nei suoi racconti del ’48 e ’56.

North: Quindi ha preferito non farlo del tutto?

Finkelstein: Esatto. Morris, il cittadino leale, ha preferito tirarsi indietro da questa iniziativa di ricerca perché ogni luogo comune sul ’67 è una mezza verità se non una totale menzogna. La piena verità mette Israele in cattiva luce.

Il conto alla rovescia verso giugno del ’67 inizia con un combattimento aereo in Siria ad aprile.

Le forze aree israeliane abbatterono diversi aerie siriani, uno nei pressi di Damasco. Chi provocò tutto ciò? Sappiamo la risposta perché lo stesso Dayan lo ammise succesivamente.

Israele avrebbe dispiegato carri armati nelle zone demilitarizzate lungo il confine israelo-siriano, per occupare i territori arabi. Questa ripetuta corsa alla terra da parte di Israele provocò la rappresaglia da parte della Siria. Ciò che accadde ad aprile fu solo una delle tante provocazioni da parte di Israele.

La storia ufficiale prosegue dicendo che il Cremlino diede agli arabi la falsa notizia che Israle si stava preparando ad attaccare la Siria. Ma i sovietici stavano davvero dicendo il falso?

North: No, dicevano la verità.

Finkelstein: Esatto, gli israeliani erano pronti ad attaccare. Non era ancora certa la portata dell’attacco, ma era quasi sicuro che l’attacco sarebbe stato sferrato alla Siria. Il gabinetto israeliano aveva già preso una decisione.

Lo studio migliore sul ’67 – viene raramente citato – è stato realizzato dallo storico israeliano mainstream Ami Gluska, “The Israeli Military and the Origins of the 1967 War). Egli conferma la decisione del Gabinetto israeliano. E dice: “La stima sovietica che Israele stava per attaccare la Siria, risalente a metà maggio del 1967, era corretta e fondata”.

Nasser aveva un patto di difesa con la Siria, quindi fu costretto a offrirle supporto militare.

Riposizionò le truppe egiziane nel Sinai e disse al segretario generale delle Nazioni Unite U Thant di ritirare le Forze di Emergenza delle Nazioni Unite (UNEF) che separavano l’Egitto da Israele, cosa che U Thant fece.

U Thant fu duramente condannato per aver accondisceso alla richiesta di Nasser, ma il fatto è che U Thant non aveva altra scelta dal punto di vista legale, agi’ in modo corretto. Ordinare il ritiro dell’UNEF faceva parte dei diritti di sovranità statale di Nasser. Le forze di peacekeeping delle Nazioni Unite stazionavano sul versante egiziano del confine in base a un accordo e Nasser aveva tutto il diritto di rescindere l’accordo.

Il diplomatico israeliano Abba Eban fece una battuta ormai famosa – fu molto intelligente, molto arguto – “Che senso ha un motore a scoppio se viene rimosso non appena inizia a scoppiare?”

Tutto molto divertente se non fosse per il fatto che secondo l’accordo originale del 1957 l’UNEF doveva stazionare lì.

North:  Motori a scoppio su entrambi i lati del confine israelo –egiziano.

Finkelstein: Sì, su entrambi i lati. Ma Israele a quel tempo rifiutò. Se avesse temuto un attacco egiziano nel ’67 e avesse creduto che l’UNEF avrebbe agito da deterrente, Israele avrebbe chiesto lo schieramento di queste forze di peacekeeping sul lato israeliano del confine…

Dopo che le truppe egiziane entrarono nel Sinai e le forze dell’UNEF furono ritirate, Nasser annunciò la chiusura dello Stretto di Tiran. Israele dichiarò ufficialmente che questo fu il casus belli.

Ma di fatto, non lo fu dal punto di vista legale. Ma il punto principale è che Nasser non chiuse davvero lo Stretto. La chiusura durò solo qualche giorno. Una volta ho avuto modo di parlare con l’allora capo dell’UNEF .

North: Intendi il norvegese Odd Bull? Ricordo che a quel tempo ho pensato che fosse un nome perfetto per un uomo.

Finkelstein: No, Bull era il capo staff delle Forze ONU in Medio Oriente. Ho parlato con Indar Jit Rikhye, che comandava l’UNEF. Ridendo, mi disse: “Personalmente sono passato, lo Stretto non era chiuso”.

North:  MI ricordo quella volta, avevo 15 anni, ricordo che ho pensato che avrebbero bloccato Israele. Poi ho letto la tua ricerca che solo il 5% della merce importata entrava attraverso quel porto.

Finkelstein: La merce principale che Israele importava attraverso lo Stretto era il petrolio. Ma Israele aveva abbastanza riserve, abbastanza da durare diversi mesi. Nasser poi pensò: “Portiamo la questione dinanzi alla Corte Internazionale di Giustizia”. Infatti, il diritto di passaggio nello Stretto pose questioni legali complesse e irrisolte.  Ma Israele si rifiutò di essere giudicato dalla Corte.

[Prende un libro da uno scaffale]

Ecco il volume sul ’67 della collana Relazioni Estere degli Stati Uniti pubblicata dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti. Gli editori del volume non dissero che lo Stretto era bloccato. Furono molto cauti e parlarono piuttosto di rivendicazione egiziana a bloccare lo stretto.

Tutti gli storici seri  concordano. Nasser non voleva attaccare. C’è qualche disputa sul fatto che il potente ministro egiziano della difesa stesse pianificando o meno un attacco preventivo, l’Operazione Dawn, alla fine di maggio.

La leggenda vuole che Nasser avesse bocciato l’iniziativa all’ultimo momento. In ogni caso, non è rilevante. La settimana precedente al primo attacco di Israele, l’Egitto non stava per attaccare e i leader israeliani lo sapevano.

A inizio giugno, il general maggiore israeliano Meir Amit, alla guida del Mossad, venne a Washington. Israele  stava inviando diversi emissari per capire come gli Stati Uniti avrebbero reagito a un eventuale attacco di Israele. Amit, il primo giugno, parlando agli ufficiali americani di livello più elevato, affermò che “non c’era alcuna differenza fra gli Stati Uniti e Israele dal punto di vista dell’intelligence militare e della sua interpretazione”.

Le conclusioni chiave di diverse agenzie americane di intelligence furono che: Nasser non stava per attaccare

North:  E  che Israele lo avrebbe annientato se avesse attaccato.

Finkelstein:  Esattamente. Il presidente Johnson, alla fine di maggio, disse ad Israele: “A nostro avviso, non c’è alcun pericolo che Israele subisca un attacco imminente”, e anche se, contro ogni previsione, gli stati arabi vicini dovessero attaccare, li distruggereste “

Amit confermò durante il suo primo viaggio all’inizio di giugno a Washington che l’intelligence israeliana era pienamente d’accordo.

North: Nel frattempo, stavo guardando la TV: Israele sopravviverà? E i rabbini si stanno tutti preparando.

Finkelstein: Gli israeliani e gli ebrei americani erano tutti spaventati. Ma non i leader. Nella sua biografia del culturista siriano Hafez al-Assad, lo storico Patrick Seale intitolò il capitolo sulla guerra del ’67 “La passeggiata dei sei giorni”. E questo è quello che fu, una passeggiata.

trad. Rossella Tisci – Invictapalestina

Fonte: http://mondoweiss.net/2017/06/six-day-war-finkelstein/

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