Seconda parte – “Vivere o morire”. Norman Finkelstein a proposito della Guerra dei Sei Giorni e la sua mitologia.

Finkelstein: Gli israeliani e gli ebrei americani erano tutti spaventati. Ma non i leader. Nella sua biografia del culturista siriano Hafez al-Assad, lo storico Patrick Seale intitolò il capitolo sulla guerra del ’67 “La passeggiata dei sei giorni”. E questo è quello che fu, una passeggiata.

Infatti la guerra non durò nemmeno sei giorni; durò più o meno sei minuti. Una volta che gli aerei israeliani in una guerra lampo a sorpresa misero ko le forze aeree egiziane ancora a terra, la guerra si concluse. Rostow, successivamente, l’avrebbe chiamata la “caccia al tacchino”. Se la guerra durò di più, è solo perché Israele voleva conquistare il Sinai egiziano, la parte giordana della Cisgiordania, e le Alture siriane del Golan.

La storia ufficiale è che Israele attaccò la Siria perché questa stava bombardando la parte bassa di Israele dalle montagne e a causa dei raid dei commando palestinesi supportati dalla Siria. Ma se la Siria effettivamente bombardò occasionalmente Israele dalle Alture del Golan e supportò i raid dei commando fu in risposta alla corsa israeliana alle terre nelle zone demilitarizzate (DMZs).

Tra l’altro, la storia dei raid da parte del commando palestinese era poco più che una barzelletta. Il capo dell’intelligence israeliana Yehoshaphat Harkabi, dopo la guerra, li valutò  come “del tutto irrilevanti”.

L’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) pubblicizzò centinaia di operazioni di commando di successo, ma i palestinesi ridevano ogni volta che un’auto saltava in aria a Tel Aviv e questa o quella fazione dell’ OLP rivendicava l’attentato.

Quando la moglie di Yasir Arafat, Suha, rimase incinta, la barzelletta del momento fu che quattro fazioni palestinesi ne avevano rivendicato la responsabilità. Ad ogni modo, è chiaro che Israele conquistò il Golan perchè ambiva alle sorgenti della Giordania e a una terra preziosa dal punto di vista agricolo.

La spinta maggiore dietro l’attacco israeliano del ’67 era quella di ristabilire la sua capacità di deterrenza – vale a dire la paura nei suoi confronti del mondo arabo.

North: Non puoi lasciare che Nasser chiuda lo Stretto, anche se non lo chiuse.

Finkelstein: Esattamente. Nasser stava mettendo in subbuglio il cosiddetto quartiere arabo.

Quando Nasser dichiarò lo Stretto chiuso, attraversò una linea rossa israeliana. Fu il punto di non ritorno. Il generale israeliano Ariel Sharon avvisò il gabinetto che Israele stava perdendo la sua “capacita’ di deterrenza”. .. la nostra arma principale- la paura verso di noi.

Weiss: Perche’ gli ebrei chiamavano Nasser il bastardo?

Finkelstein: In Occidente veniva chiamato Hitler del Nilo.

Weiss: Ma perché?

Finkelstein: Vi ho fatto cenno prima; era l’era dell’antimperialismo esaltante del dopo guerra, il Terzomondismo. Nasser era una figura emblematica. Certamente, tutto si risolse in un disastro. Non riesco a pensare a nulla di buono che venne fuori di lì. Come il mio amico Paul Sweezy, economista marxista, usava dire “ Ahimé, solo illusioni”.

North: Nasser portò scienziati nazisti in Egitto.

Finkelstein: Sì, l’Egitto acquistò servizi dagli scienziati nazisti. E così fecero gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. Tutti li stavano reclutando. Quando si trattava di uccisioni di massa, sapevano il fatto loro.

Weiss: Ma alcune vignette nella stampa araba, a Damasco e a Il Cairo, mostravano degli ebrei che venivano gettati a mare. Prima della guerra.

Finkelstein: Sì, il capo dell’OLP, Ahmed Shukeiri, fece dei discorsi stupidi in cui diceva di voler annientare Israele.

Weiss: Questo non è irrilevante.

Finkelstein: No, ma i leader israeliani sapevano che era solo una buffoneria. Non si sentivano intimoriti. Il “panico” israeliano era tutta una messa in scena. Eban, all’ONU, era direttore di scena e sceneggiatore. Intitolò il capitolo della sua autobiografia sul ’67, “Vivere o morire”. Un bel tocco. Affermò una volta che la “propaganda è l’arte di convincere gli altri di qualcosa di cui nemmeno tu sei convinto”. Eban era un virtuoso dell’arte della propaganda.

Weiss: Cosa vogliono dire queste vignette? Erano racconti di villaggio, sentimento popolare?

Finkelstein: Sì, ma devi contestualizzarle. Nel suo studio illuminante “Le guerre di confine di Israele”, Benny Morris dimostra che, una volta al potere nel 1952, Nasser non voleva entrare in guerra con Israele. Era un nazionalista, voleva modernizzare l’Egitto. Secondo Morris, fu Israele – in particolare nelle figure del primo ministro Ben-Gurion e di Dayan – che iniziò a tramare e a provocare all’inizio degli anni ’50. Non sopportavano l’idea di un Egitto che non fosse arretrato. Non avrebbero tollerato un Egitto moderno.

North: Ma stavi dicendo che la propaganda, la mania della guerra, arrivò al pubblico israeliano. Quando rispose alla chiamata, Yassi Israel temeva davvero che stava per essere gettato a mare.

Finkelstein: Definitivamente.

Veterano delle Forze di Difesa Israeliane durante la guerra dei Sei Giorni, alla riunione annuale, 23 Maggio 2017, Nablus Road, Gerusalemme Est Occupata. Foto di Phil Weiss.

North: Quindi la colpa fu dei leader.

Finkelstein: Erano convinti che gli israeliani avrebbero dato se stessi se si fossero sentiti con le spalle al muro. Da una parte i leader furono colpevoli due volte: provocarono la crisi e lanciarono un attacco che non era stato provocato.

Dall’altra, non si puo’ dire che quello che accadde – almeno fino al momento in cui Nasser dichiarò la chiusura degli Stretti – fu un preludio precalcolato e precalibrato della resa dei conti.

La situazione continuò ad inasprirsi, benché Israele se avesse voluto avrebbe potuto mettere un punto in qualsiasi momento. Avrebbe potuto riposizionare l’UNEF sul lato del confine, si sarebbe potuto rivolgere alla Corte Internazionale di Giustizia per quanto concerne gli Stretti. U Thant, nella sua biografia, affermò che furono diverse le opportunità per porre fine alla crisi che Israele ebbe e rifiutò.

North: Ti viene in mente qualche episodio storico relativamente recente in cui la versione popolare è totalmente diversa da quella del consenso degli storici? Qualcosa di simile alle discrepanze del ’67

Finkelstein: Nel caso del Vietnam, la versione popolare era abbastanza simile a quella accademica su molti (ma non tutti) punti focali. Avemmo dibattiti, media alternativi, accademici attivisti, divulgatori esperti, fu un vero e proprio movimento. Ma la propaganda di Israele è stata notevolmente forte nel ’67. Nell’immaginario pubblico, è  ancora “vivere o morire”.

Weiss: Ancora oggi?

Finkelstein: Sì. Scommetto che le retrospettive in occasione del cinquantesimo anniversario riproporranno la tiritera sentita e risentita: i Sovietici dichiararono falsamente che Israele stava pianificando un attacco, Nasser chiuse gli Stretti paralizzando Israele, Israele attaccò perché si sentì minacciato nella sua stessa esistenza, Israele non voleva conquistare la Cisgiordania, etc. etc. E’ tutto cosi dolorosamente prevedibile.

Weiss: Anche il New York Times farà lo stesso?

Finkelstein: Ho i miei dubbi che qualcuno del comitato editoriale del Time’s abbia la più pallida idea di ciò che avvenne realmente. Ciò che avvenne realmente è stato completamente seppellito dalla valanga della propaganda israeliana.

North: Secondo te il libro di Michael Oren sul ’67 è un libro serio?

Finkelstein: No, è inutile. C’è un accademico eccellente chiamato Nathan Brown, è al Carnegie Endowment for International Peace. Una volta presi parte a una conferenza in cui criticai pesantemente il libro di Oren. Brown, che conosceva Oren di persona, si trovava alla conferenza. Dopo la mia presentazione, Brown disse: “Ho letto il tuo articolo. Sono d’accordo con molte delle cose che dici. Oren va fuori dai binari quando comincia a parlare dell’Operazione Dawn. Ma perché sei cosi aggressivo? Perché usi un tono così ostile?”

“Perché non si tratta di uno studio qui”- risposi. “Si tratta di propaganda di stato”. Questo accadde prima che Oren diventasse ufficilamente un burocrate israeliano. Stava ancora giocando a fare lo storico. “Se fosse stato uno storico serio, avrei adottato un tono diverso”.

Diversi anni fa, ho analizzato l’influente studio di Benny Morris sui profughi palestinesi. Vero, fui molto critico, ma fui anche rispettoso. Oren, invece, non meritiva rispetto; e’ sempre stato un dilettante e un bugiardo. Quando Oren si rivelò per quello che era, non appena diventò portavoce ufficiale di Netanyahu, mi sono sentito vendicato a ritroso per quello scambio di battute che ebbi con Brown.

Weiss: Cosa ne pensi dell’idea secondo cui questo fu il più grande errore israeliano dal punto di vista strategico? Portò all’occupazione, che sta delegittimando Israele.

North: Be’, ha funzionato per 50 anni.

Finkelstein: Sono d’accordo con James. Una volta ho presenziato a un funerale di un ex membra del Weather Undeground. Fu rilasciata in anticipo perche’ stava morendo di cancro. Quando lei e un’altra donna furono arrestate, furono rinchiuse in celle adiacenti. L’altra donna continuava a strillare. La donna al cui funerale stavo presenziando  le urlò attraverso il muro e le disse: “Smettila! Abbiamo avuto una grande corsa rivoluzionaria”.

Avevano lanciato dei petardi in un paio di uffici postali. “Abbiamo avuto una grande corsa rivoluzionaria!”. Purtroppo, con qualche delusione.

Ma come dice James, 50 anni non è una corsa da poco. Giudicando il tutto a partire dagli obiettivi fissati, il primo attacco israeliano fu un successo sbalorditivo. Riuscì a disfarsi di Nasser? Sì. Riuscì a sotterrare il nazionalismo arabo radicale? Sì. Riuscì a infliggere una profonda ferita al mondo arabo? Sì.

North: E questo ha mantenuto l’occupazione con successo.

Finkelstein: Sì. L’unica cosa che Israele non anticipò fu la rinascita del nazionalismo arabo radicale sottoforma di fondamentalismo islamico radicale. Ma chi avrebbe potuto prevedere una cosa del genere?

North: Cosa pensi accadde alla USS Liberty?

Finkelstein: Sono in contatto con uno dei membri dell’equipaggio ancora in vita, James Ennis, che scrisse un libro sull’attacco incriminando Israele. Il suo racconto era totalmente affidabile.

Per esempio, una bandiera Americana 1,5m x 2,5m issata sulla Liberty fluttuava nel vento in una giornata cristallina d’estate. Ennis ricorda che prima dell’assalto, un pilota israeliano volava su di loro talmente basso che riuscirono persino a salutarsi. Com’è possibile che i piloti israeliani non abbiano visto la bandiera?

E’ originale – o meglio esilarante – il modo in cui Oren spiega l’inconveniente. Dice, “Ma i piloti israeliani non stavano guardando alla Liberty, ma piuttosto stavano cercando sottomarini egiziani”. In altre parole, i piloti non videro ciò che si trovava dinanzi a loro in acqua perché stavano cercando un’imbarcazione sott’acqua. Questa spiegazione deve aver impressionato profondamente il Los Angeles Times, che gli riconobbe il premio per il miglior annuario del giornale nella catergoria “storia”.

North:La ragione per l’attacco?

Finkelstein: Nessuna delle spiegazioni ufficiali regge. Ho il mio punto di vista ma devo prontamente ammettere che è altamente congetturale e non ortodosso.

Weiss: La teoria convenzionale vuole che la Liberty aveva una sorveglianza radio e che abbattendo la Liberty Israele avrebbe potuto continuare la guerra un altro paio di giorni.

Finkelstein: Si presume che alla Liberty fosse sopraggiunta qualche avvisaglia della volontà di Israele di occupare le alture del Golan. Ma questa teoria non si basa su un’indagine condotta da vicino.

La mia ipotesi è la seguente: questo è il grande momento di Israele, l’apice degli ebrei, un parossistico orgasmo collettivo. Tutti i servizi armati vogliono avere la loro parte. L’aeronautica, l’esercito, la marina… La marina non aveva avuto ancora modo di intraprendere un combattimento reale. Dal momento che la guerra andava verso la conclusione, probabilmente, erano in ansia di poter avere anche loro una parte attiva in questo glorioso capitolo. Poter avere una parte nella vendetta del popolo ebraico sui non ebraici.

Ricorda, gli israeliani non odiano solo gli arabi. Sono in guerra eterna con tutti i non ebrei. Tutti i non ebrei vogliono gli ebrei morti. Leggi Daniel Goldhagen se hai qualche dubbio. Gli americani sono non ebrei. Hanno rifiutato di accogliere gli ebrei che fuggivano dall’Olocausto; non hanno bombardato la ferrovia che conduceva a Auschwitz; anche loro volevano tutti gli ebrei morti.

Ora stanno ficcando il naso nella nostra guerra, inviando una nave spia nelle nostre acque, provando a fermarci nel nostro momento di Gloria. Fanculo gli americani! Fanculo i non ebrei! Lunga vita agli ebrei! Oltre all’attacco aereo israeliano alla USS Liberty, la marina israeliana silurò l’imbaracazione.

Giusto per condividere le finte prodezze e la vendetta per la sofferenza millenaria degli ebrei. Tutti ebbero i loro 15 minuti di sangue schizzante, in memoria dei martiri ebrei.

Sono io il primo ad ammettre che ci sono delle falle nella mia ipotesi ma probabilmente si avvicina più questa alla realtà che qualsiasi altro motivo razionale.

North: Come fu archiviato l’attacco?

Finkelstein: Ragione di stato. Certamente il presidente Johnson sapeva quello che era accaduto. Ma Israele, ora, era la “risorsa strategica” degli Stati Uniti nel Medio Oriente, quindi Johnson lasciò stare la cosa.

Weiss: La comunità ebraica sta andando verso un momento di riflessione, per Alan Solow. Ci sarà ricerca delle anime, e i gruppi lobbistici israeliani dovranno presentarsi con un’ottima narrativa. Credi che ci sarà una sorta di valutazione ragionata della guerra e avrà qualche conseguenza, non solo a livello storico, ma anche sull’immagine di Israele?

Finkelstein: Benché i fatti reali che portarono al primo attacco israeliano verranno consegnati al vuoto di memoria di Orwell, gli effetti dannosi della guerra sulla società israeliana probabilmente saranno oggetto di riflessione. E’ discutibile che Israele diventò un posto diverso dopo il 1967. Come il giornalista Gideon Levy ha osservato di recente, prima del 1967 Israele era ben lontano dall’essere un bel posto, ma non mancava di virtù.

Odio l’aggettivo “sfumato”, odio l’aggettivo “complesso” – più spesso che no, questi aggettivi sono scappatoie morali – ma, comunque, bisogna dire che, a parte i crimini che furono inflitti sulla popolazione locale, c’erano – così come qui negli Stati Uniti, sui quali pesa il proprio “peccato originale” – sfaccettature di redenzione nell’esperimento Israele pre 1967.

Non si può altrimenti spiegare perché molte persone decenti, progressiste, solidamente ancorate alla sinistra, trovarono molto da ammirare lì. La moglie del Prof. Chomsky, Carol, che era molto intelligente, sensibile, semplice – voleva restare. Le piacquero le persone e la vita nei kibbutz. Leggiamo anche i saggi di ammirazione verso Isarele pre 1967 dello storico marxista Isaac Deutscher.

Tra l’altro, l’unica valutazione accorta di dove Israele stava andando dopo la guerra fu quella di Deutscher in un’intervista del 1968 rilasciata per la New Left Review.

Si tratta di un ritratto illuminante per esempio del nuovo re consacrato per gli ebrei, Moshe Dayan – “ eroe e salvatore, con la mentalità politica di un sergente maggiore di reggimento, che andava farneticando a proposito di annessioni e sfoggiava un’aspra insensibilità quando parlava del destino degli arabi nei territori conquistati”. Ma se leggiamo Deutscher fino a prima del 1967, molte cose di cui egli stesso fu testimone durante le sue numerose visite in Israele trovavano il suo appoggio.

Moshe Dayan

Quel posto ispirò molti giovani idealisti. Era un posto egalitario, semplice, austero, comunitario, pieno di speranze. I suoi leader erano relativamente estranei alla corruttibilità ed erano animati da un ideale comune.

Il bestseller di Ari Shavit, La mia Terra Promessa, è sicuramente sdolcinato ma la rappresentazione che dà di quei giorni contiene un fondo di verità.

La guerra del ’67 mise in atto una serie di sviluppi che trasformarono Israele in un posto davvero squallido. Sì, può farsi vanto di un settore high-tech impressionante, ma niente di più.

Weiss: Direi che ora stai rispecchiando il senso comune. Quello che stai dicendo – che penso potrebbe accadere a ridosso dell’anniversario – è che seppelliremo il bello, il sogno, il miracolo, la fioritura del deserto. Dici che quella illusione poteva essere mantenuta sino al ’67. Bè, penso che in questo caso la disillusione sia ora il senso comune e diventerà ancora più solida durante questo anniversario. Non stai facendo chissà quale profezia.

Finkelstein: Non mi faccio illusioni su Israele prima del ’67. Ma sarebbe sbagliato negare che il Paese è cambiato in peggio. Mentre prima il Paese praticava un’uguaglianza spartana, oggi la disguaglianza di reddito in Israele è fra le piu’ elevate fra i Paesi dell’OCSE. Un altro indizio rivelatore: Yitzhak Rabin fu costretto a dimettersi nel 1977 solo perché sua moglie aveva aperto un conto in banca negli Stati Uniti. Fai un confronto con quello che accade oggi, ogni settimana c’è un membro dell’elite politica israeliana coinvolto in un grande scandalo finanziario. E’ difficile negare che è un posto diverso.

North: Entrambi potreste aver ragione. Phil ha ragione nell’aver capito che Israele non era quello che le persone pensavano che fosse, è in continua espansione. Ma questo potrebbe non emergere durante la commemorazione dei 50 anni.

Finkelstein: Non abbocco al concetto del “peccato originale” inevitabile. Cose terribili accaddero nel 1948. Ma Israele non è diventato ciò che è a causa di un destino teleologico. Sono state fatte delle scelte lungo il percorso. Senza dubbio le scelte furono condizionate da fattori ideologici e materiali. Ma comunque furono scelte.

Noi americani abbiamo i nostri peccati originali. L’espulsione e lo sterminio della popolazione indigena praticamente non si possono dimenticare. Ma il rapimento e la resa in schiavitù degli africani americani, bè, la situazione attuale è lungi dall’essere perfetta – la scala di Jacob ha molti gradini – ma, anche se questo può sembrare un cliché, c’è stato un miglioramento.

C’è una parola tedesca, aufgebung. Hegeliani e Marxisti l’hanno usata. La parola viene tradotta allo stesso tempo in “abolire”, “preservare” e “superare”. Come tutti gli altri paesi, Israele avrebbe potuto abolire, preservare e superare il suo peccato originale. Ma dopo il ’67, Israele si è lasciato prendere la mano, si è lasciato inebriare dalla sete di potere. Ora è un posto folle.

Se non a livello qualitativo, c’è stata perlomeno una trasformazione a livello quantitiativo nel 1967. Tuttavia, forse non è ancora troppo tardi per Israele per riparare alcuni dei danni compiuti contro la popolazione locale e contro se stesso. Guardiamo alla Germania e al Giappone. Nella prima metà del Ventesimo secolo, erano forse gli stati più razzisti ed espansionisti del Pianeta. Ora, i sondaggi d’opinione li collocano ai primi posti della classifica degli Stati più pacifici. O guardiamo all’improvviso cambiamento di rotta del Sud Africa.

North: Direi lo stesso del Sud Africa. Ho lasciato il Sud Africa nel 1982. Nessuno avrebbe scommesso che nel giro di dieci anni Mandela sarebbe uscito di prigione. Tutti avevamo pensato che in qualche modo avremmo vinto. Ma pensavano di metterci almeno il doppio degli anni. E che sarebbero morte più persone. Tutti pensavamo che Mandela sarebbe morto in carcere, solo perché il regime era davvero forte. C’erano diversi fattori, Cuba, l’Africa Sud Occidentale. Ma sì, il fatto che io fossi lì quando Mandela uscì dal carcere nel 1990 fu qualcosa di sorprendente per me.

Weiss: Mi ricordo che quando era alla sesta classe, JR Krevans corse verso di me per dirmi che avevano messo a tappeto le forze aree egiziane. Ora è un medico, le questioni ebraiche non gli importano più, ma ebbe un senso di solidarietà reale.

Finkelstein: Fino al ’67, l’immagine che avevamo di noi stessi era scarna, da sfigati, quella dei tipici personaggi alla Woody Allen insomma. Ma dopo la guerra, gli ebrei potevano farsi vanto delle loro prodezze marziali.

North: “Porta Bring Moshe Dayan qui, mandala in Vietnam e conduci la nostra guerra lì”. Fu il grande eroe.

Finkelstein: Dayan portava una benda ed era un donnaiolo. Un ebreo che era mezzo pirata e mezzo Casanova! Era eccitante.

Immagine di un soldato israeliano durante la guerra dei Sei Giorni sulla rivista Life.

Weiss: Un mio amico bianco anglosassone protestante considerò eccitante anche l’immagine dei soldati ebrei abbronzati nel deserto riportata in copertina dalla rivista Life. L’esatto contrario dell’immagine degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale; e tutti se ne innamorarono.

Finkelstein: E’ vero. Si tende a dimenticare che per la mia generazione era quasi un marchio di vergogna essere un sopravvissuto all’Olocausto. Il mantra era che gli ebrei si comportarono come pecore al macello.

North: Anche se non e’ vero.

Finkelstein: Ma questo è come la cosa veniva vissuta. Gli ebrei si sentivano in imbarazzo, provavano vergogna. Erano dei deboli, dei codardi.

Ho detto prima che mia madre testimoniò in un processo contro le guardie naziste del campo di concetramento di Majdanek. L’accompagnai. Mia madre fu scioccata quando vide le guardie camminare a piede libero nel tribunale. Cominciò a strillare: “Perché non sono nelle gabbie? Sono animali!”.

Una notte, mentre stavamo uscendo dal tribunale, la guardia più feroce, Birgitta, mi sorpassò da un lato mentre mia madre camminava sull’altro lato. Fui sorpreso, stupito, sconcertato…

Aspettai che Birgitta fosse lontana almeno 100 passi da noi. Poi chiesi a mia madre: “Sai chi è quella?”

Strizzò gli occhi e cominciò a tremare in tutto il corpo: “Birgitta?”

“Sì! Cosa vuoi che faccia?”

“Prendila! Prendila! Pensano che siamo pecore! Prendila!” (Norman Finkelstein gesticola verso James North, riproponendo i movimenti che sua madre fece quando vide Birgitta. 2 maggio 2017).

Mia madre era la classica madre ebrea super protettiva. Ma in quel momento, non gliene importò un bel niente di quello che mi sarebbe potuto accadere. Pensava solo a strillare “Prendila! Prendila! Pensano che siamo pecore! Prendila!”

E’ una terribile ironia che dopo la guerra del ’67, gli ebrei americani si strinsero in difesa di Israele come a voler dar prova di virilità e coraggio e vendicarono il proprio onore colpendo indirettamente arabi per lo piu’ indifesi.

 

trad. Rossella Tisci – Invictapalestina

Fonte: http://mondoweiss.net/2017/06/six-day-war-finkelstein/

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