Fauda: una serie israeliana di Netflix che rende sexy l’oppressione

I drammi TV ben fatti creano dipendenza e “Fauda” non fa eccezione. Tuttavia, faremmo tutti bene a ricordare che fa parte della ben oliata macchina di pubbliche relazioni di Israele, che sa come trasformare la brutalità israeliana in immagini sexy ed eroiche. Copertina: Immagine promozionale Netflix per “Fauda”.

di Miko Peled – 12 gennaio 2018

GERUSALEMME (Opinione) – La resistenza palestinese è legittima e riconosciuta secondo il diritto inalienabile che tutti i popoli oppressi hanno di opporre resistenza ai loro oppressori e occupanti, anche con l’uso delle armi. La violenza israeliana è una crudele e incontrollata brutalità che ha il fine di impedire ai palestinesi di alzare la testa. Ma il giudizio convenzionale è che la resistenza palestinese è terrorismo e la violenza israeliana è antiterrorismo.

Di volta in volta viene tracciata l’equivalenza tra le due, sottolineando che entrambe le parti sono “umane”. Anche se può essere interpretato erroneamente come “evoluzione”, in realtà è un insulto alla causa della giustizia perché non esiste un’equivalenza tra oppressore/occupante e coloro che lottano per la loro libertà.

All’inizio del 2017 un amico mi ha chiesto se avevo visto la serie  Netflix di “Fauda”. Ho detto di no, e questo è stato l’inizio di diverse settimane di persuasione alla fine delle quali ho ceduto. “Fauda” è una serie prodotta in Israele e ha come protagonista un’unità paramilitare israeliana chiamata in ebraico “Mista’arvim”. La parola “Mista’arvim” è un incrocio tra la parola ebraica e araba per indicare “camuffamento”.

Mentre i soldati regolari sul campo indossano  uniformi e  si mimetizzano in modo da non essere individuati dalle forze nemiche, queste sono unità armate e sotto copertura che indossano abiti civili ma si vestono e parlano come gli arabi.

The “Mista’arvim”

Un poliziotto israeliano di un’unità Mista’arvim travestito da  manifestante palestinese solleva una pistola in aria mentre arresta un manifestante palestinese durante le proteste contro la decisione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele, nella città di Ramallah, nella West Bank, 13 dicembre 2017. (AP / Nasser Shiyoukhi)

Sebbene unità analoghe fossero state operative sin dagli anni ’50, l’unità “Mista’arvim” era nata da un’idea di uno dei più noti assassini di Israele – un uomo con la discutibile distinzione di essere il soldato più decorato d’Israele, che detiene anche il record per il più breve periodo come primo ministro di Israele: Ehud Barak.

Verso la fine degli anni ’80, durante il suo mandato come comandante del Comando centrale dell’IDF, l’allora generale Barak – lui stesso nelle file delle famigerate unità speciali israeliane e partecipe di innumerevoli assassini di palestinesi – pensò che sarebbe stato utile avere un’unità militare in cui i soldati prendessero sembianze arabe. Ciò avrebbe consentito loro di infiltrarsi nelle comunità palestinesi, raccogliere informazioni, arrestare e uccidere senza essere scoperti.

Dal momento che la maggior parte degli israeliani proviene in realtà da un contesto arabo non fu difficile da realizzare. L’unità fu stranamente chiamata “Duvdevan” – “cherry” in ebraico. Oggi l’IDF, la polizia di frontiera – nota come Maga – lo Shabbak o la polizia segreta e anche il sistema carcerario, tutte hanno  unità “Mista’arvim”.

Stranamente, sebbene il loro lavoro sia segreto, sono note per essere attive durante proteste.

Spesso gli amici palestinesi li identificano quando si presentano, anche se vestiti come i locali. A un certo punto tolgono  i loro passamontagna, tirano fuori le armi e arrestano i giovani palestinesi che partecipano alle dimostrazioni. Sono anche noti per provocare una violenza che viene poi usata per giustificare la violenza perpetrata dalle forze israeliane contro i manifestanti palestinesi. In “Fauda”, che in arabo significa caos, sono rappresentati come combattenti di alto livello contro il  terrorismo .

Una visione distorta in cerca di valutazioni

In un’intervista rilasciata durante la prima della seconda stagione della serie di Los Angeles, Lior Raz (noto come Doron), star del telefilm e uno dei suoi creatori, sostiene che ritrae gli israeliani in un modo “realistico”. Poi continua dicendo, in un modo che può solo essere descritto come condiscendente, che lo spettacolo “umanizza”  l’altra parte – l'”altra parte” sono terroristi e kamikaze, ma anche loro hanno famiglie e sentimenti.

Bene, vale la pena notare che oggi gli attentatori suicidi palestinesi esistono solo come entità fittizie in spettacoli come “Fauda”, dove la violenza israeliana è inevitabile e giustificata e la resistenza palestinese è terrorismo. Gli attacchi suicidi dei palestinesi si sono interrotti più di un decennio fa, nonostante l’errata idea popolare, ma per come è rappresentata nella serie e espressa nell’intervista con Raz, si vorrebbe farci credere che sono ancora un evento attuale e rappresentino una minaccia imminente per gli israeliani.

Le missioni suicide sono state un capitolo tragico nella vita della Palestina. Purtroppo, sembra che in “Fauda” vengano usate per demonizzare i palestinesi come assassini irrazionali. Avendo provato in prima persona l’impatto delle missioni suicide con la morte della mia nipotina tredicenne, trovo irresponsabile nella migliore delle ipotesi e, nel peggiore dei casi deplorevolmente cinico, usarle per aspetti politici.

Quando gli storici guardano indietro a questo periodo della storia della Palestina, un periodo iniziato dopo il massacro del 1994 alla Moschea di Ibrahimi a Hebron, se sono onesti lo descriveranno come un tempo in cui un popolo oppresso usava qualsiasi mezzo avesse – mezzi necessari per combattere i loro oppressori. Ricorderanno anche che sulla questione di colpire i civili, ci sono state diverse occasioni in cui i leader palestinesi come Ahmed Yassin hanno offerto alle autorità israeliane un accordo in base al quale entrambe le parti avrebbero potuto collaborare per far sì che ciò non accadesse. Gli israeliani non hanno risposto a queste offerte.

Gli arci-terroristi palestinesi possono anche essere buoni per le classifiche, ma non sono altro che frutto dell’immaginazione. La resistenza palestinese è e continua ad essere fortemente sentita eppure per lo più disarmata.

Per decenni scrittori prolifici come l’acclamato romanziere Ibrahim Nasrallah e giovani scrittori meno noti di Gaza che pubblicano online o che riescono a far stampare i libri – poeti come Samih al-Qasim e Fadwa Tuqan, drammaturghi come Dalia Taha, personaggi politici e intellettuali come i vignettisti Naji Al-Ali e Mohammad Sabaaneh – hanno usato le loro penne e le loro voci per ispirare le persone a resistere e a chiedere giustizia.

Da oltre un decennio, l’appello palestinese per  imporre il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) a Israele  è ben  attivo e la resistenza popolare, che opera con proteste non armate e campagne nelle città e nei villaggi in tutta la Palestina, ha guadagnato importanza e rispetto. Tutti questi hanno mostrato dedizione a una lotta senza compromessi, ma disarmata.

Rispecchiando l’adorazione generale di cui i gruppi militari e paramilitari israeliani godono negli Stati Uniti, in “Fauda” questi “combattenti”, se così si possono chiamare, sono ritratti come eroi sexy e robusti e anche stranamente “umani”. Nel primo episodio della prima stagione viene tracciata un’equivalenza tra l’arcinemico Abu Hassan, un palestinese di cui ci viene detto che “ha le mani sporche del sangue di 116 israeliani” e Doron, un comandante in pensione all’interno dell’unità, che ritorna in servizio per ucciderlo. Ad un certo punto entrambi sono presentati mentre si preparano per un possibile incontro. Vengono mostrati con barba colorata e con una Kuffiya per nascondere le loro identità.

Screenshot del primo episodio della serie Netflix ‘Fauda’.

Entrambi sono mostrati all’interno delle complicate realtà delle loro vite personali – complicazioni che sono il risultato della loro vita di combattenti ossessionati dalla loro causa. Tuttavia, non c’è simmetria. Doron è ossessionato dall’uccidere; Abu-Hassan è ossessionato dalla lotta per la liberazione della sua gente.

Un’altra scena in cui la somiglianza tra le due parti è più evidente è quando Doron torna al quartier generale e viene salutato dalla sua squadra. Si salutano parlando in arabo; si baciano a vicenda sulle guance come fanno gli uomini arabi; e, quando hanno un momento di relax, suonano musica araba e ballano danze arabe.

C’è uno strano fenomeno qui prevalente e caratteristico della società israeliana: quasi tutto ciò che è “cool” è in qualche modo arabo. Quando gli israeliani usano il gergo, usano parole arabe; quando suonano, è principalmente musica araba o israeliana con forti sfumature arabe; il cibo più popolare è il cibo “orientale” e i ristoranti più popolari sono “orientali”, che è una parola comunemente usata per sostituire la parola meno favorevole “araba”.

Un’altra svolta interessante è che i creatori dello spettacolo hanno deciso di promuovere lo spettacolo pubblicando cartelloni pubblicitari in Israele con la scrittura araba. Questo è inaudito in Israele, poiché la maggior parte degli israeliani non legge l’arabo e la lingua è associata al terrorismo. I cartelloni pubblicitari hanno spaventato gli israeliani che si sono lamentati con varie autorità cittadine, e in alcuni casi i cartelli sono stati effettivamente rimossi.

La facciata: una pubblicità in lingua araba della serie “Fouda” sarà rimossa da un ponte nella città di Nesher su richiesta del membro del consiglio Shlomi Zino.

Guardando in prospettiva

I drammi TV ben fatti creano dipendenza e “Fauda” non fa eccezione. Tuttavia, faremmo tutti bene a ricordare che fa parte della macchina ben oliata di pubbliche relazioni di Israele, che sa come trasformare la brutalità israeliana in immagini sexy ed eroiche. Come la pagina Facebook di IDF Women e gli auguri “Shabbat Shalom” e “Happy New Year” delle truppe IDF che il portavoce dell’IDF su Twitter pubblica regolarmente. Non diversamente da “Fauda”, questi sono tentativi per nascondere il fatto che questi soldati lavorano duramente mantenendo un violento regime razzista e brutalizzando la popolazione della Palestina.

In un pezzo del New Yorker, “Fauda” è paragonato ad altre serie drammatiche israeliane che pretendevano di ritrarre il palestinese come “umano” o la saga palestinese da una prospettiva leggermente palestinese. Il pezzo risale a uno spettacolo teatrale chiamato Khirbet Khizeh, che descrive l’evacuazione forzata di un villaggio palestinese nel 1948 da parte delle forze sioniste pre-statali. Diversi decenni dopo è stato trasformato in un film che ricordo guardavo ai tempi del liceo. C’era molta rabbia per il fatto che le forze sioniste erano mostrate sotto una luce negativa.

Tuttavia, anche in questo film l’evacuazione forzata è descritta come un singolo incidente, “mele marce” se  vuoi, e mai come parte della campagna di pulizia etnica ben pianificata e condotta metodicamente. Allo stesso modo, “Fauda” dice di mostrare i “terroristi” sotto una luce umana, ma perpetua invece l’idea che la resistenza palestinese sia terrorismo e la violenza israeliana antiterrorismo.

Mentre il finto terrorista palestinese di Fauda “Abu-Ahmad” può aver ucciso 116 israeliani, lo stato di Israele ha ucciso migliaia e migliaia di palestinesi disarmati e indifesi lungo un periodo di settant’anni – e non sembra di poterne vedere la fine. Che si sia d’accordo con i metodi della resistenza palestinese o no, questo è il risultato di una reazione al colonialismo di brutale insediamento israeliano. Nessuna profusione di sesso, violenza o drammi sentimentali può coprire il fatto che “Fauda” è semplicemente un altro mezzo per glorificare la brutalità e il terrorismo israeliani.

 

Trad. Invictapalestina.org

Fonte: http://www.mintpressnews.com/fauda-an-israeli-netflix-series-that-makes-oppression-sexy/236251/

 

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