I prigionieri palestinesi annichiliti dalle restrizioni israeliane sul coronavirus

Con le visite di familiari e avvocati sospese a causa del coronavirus, i palestinesi nelle carceri israeliane, compresi i minori, ora sono completamente tagliati fuori dal mondo esterno.
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Copertina: un prigioniere palestinese usa l’apparecchio telefonico nella prigione di  Gilboa a nord di israele –  February 28, 2013. (Moshe Shai/Flash90)

Di Oren Ziv – 22 Marzo 2020

Le nuove norme di emergenza emanate dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, per combattere il nuovo coronavirus, impediscono ai prigionieri politici palestinesi di incontrare i loro avvocati e ricevere visite familiari. La decisione, annunciata il 15 marzo, stabilisce che i prigionieri politici, a cui di solito viene negato il diritto di usare i telefoni in carcere, possono consultarsi telefonicamente con i loro avvocati solo in caso di un’udienza imminente. L’ordine è in vigore per un mese, ma può essere rinnovato, come richiesta, per intervalli di un mese alla volta.

Praticamente, questa decisione impedisce a migliaia di detenuti, compresi i bambini, di ricevere consulenza legale o di presentare petizioni e ricorsi contro i loro capi d’accusa. Con l’annullamento delle visite della famiglia, i prigionieri ora sono completamente isolati.

A febbraio, c’erano circa 5.000 palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, di cui 430 in detenzione amministrativa.

“Non si possono negare ai detenuti i loro diritti in modo assoluto solo a causa della paura di una pandemia”, ha dichiarato l’avvocato Abeer Baker, un avvocato penalista che rappresenta sia prigionieri comuni che prigionieri politici. “Sono completamente isolati e questa situazione può continuare per mesi.”

Mentre i prigionieri comuni possono usare regolarmente i telefoni pubblici nelle carceri, lo stesso non si può dire per i prigionieri politici. Incontrare gli avvocati è quindi uno degli unici modi in cui i detenuti, molti dei quali sono rinchiusi da anni, possono comunicare con l’esterno.

Gli incontri forniscono anche l’occasione, agli avvocati, di conoscere le condizioni di detenzione all’interno delle prigioni. “Non abbiamo idea di cosa stia succedendo nelle carceri. La situazione è molto preoccupante”, ha detto Sahar Francis, direttore di Addameer, un’organizzazione no profit che sostiene i prigionieri palestinesi. “In queste circostanze non possiamo ascoltare le loro testimonianze sullo stato di salute, maltrattamenti o torture.”

Diritti ancora più a rischio durante l’emergenza 

A partire dal 15 marzo, tutte le udienze giudiziarie sono state posticipate di uno o due mesi, ad eccezione delle detenzioni amministrative e delle udienze di custodia cautelare per indagati o detenuti senza accuse. Martedì, il governo ha emesso ulteriori restrizioni vietando ai detenuti di comparire alle loro udienze di condanna alle quali, ora, possono partecipare solo i loro avvocati.

“Tutti i prigionieri dovrebbero poter parlare al telefono con i loro avvocati ogni giorno e con le loro famiglie almeno una volta alla settimana, proprio come fanno i prigionieri comuni”, ha affermato Baker. “Il sistema non crollerà a causa di questo.” L’ufficio del difensore pubblico, i membri della Knesset e le organizzazioni per i diritti umani dovrebbero richiedere ispezioni in tutti i dipartimenti penitenziari, ha aggiunto, nonostante la loro chiusura ai sensi delle nuove restrizioni di sicurezza.

“Data la situazione attuale, tutti presumono che questa supervisione sia impossibile”, ha continuato Baker. “Ma non si possono rinchiudere delle persone senza alcun monitoraggio e senza dar loro la possibilità di presentare reclami. È delirante, perché non sembra una misura temporanea”.

Se un detenuto si rivolge all’amministrazione carceraria e chiede di contattare il proprio avvocato telefonicamente, per presentare un ricorso, per qualsiasi motivo, è probabile che la sua richiesta venga respinta perché la procedura non si applica ancora, ha spiegato Baker. “Anche nei giorni normali, a molti prigionieri vengono negate le visite dei familiari, e ci vuole tempo prima che se ne venga a conoscenza. Quando arrivo alla prigione per risolvere la questione è già troppo tardi.”

Anat Litvin, direttrice del dipartimento dei prigionieri e dei detenuti presso Physicians for Human Rights-Israel, ha affermato che l’accesso ai consulenti legali è un diritto che i detenuti dovrebbero avere in ogni momento. “I detenuti dovrebbero essere in grado di presentare denunce in merito al loro trattamento regolarmente, soprattutto in un momento difficile che apre alla possibile violazione dei loro diritti”, ha detto. “Le prigioni sono istituzioni chiuse gestite interamente dal servizio carcerario. Il rischio di violazioni dei diritti umani e costante, soprattutto durante un’emergenza”.

Litvin ha aggiunto che ai detenuti dovrebbe essere consentito liberamente di effettuare chiamate ai loro avvocati. A seguito dello sciopero dei prigionieri dell’anno scorso, ad alcuni detenuti è ora consentito effettuare ulteriori chiamate, ha detto. “Perché non estenderlo a tutte le prigioni?”

I più colpiti dai nuovi regolamenti sono i 180 minori palestinesi rinchiusi nelle prigioni Israeliane, spiega Moria Shlomot, avvocata e membro del movimento Parents Against Child Detention. “Anche nei giorni normali, i loro diritti sono estremamente limitati. Alcuni hanno solo 12 anni e sono già in una situazione di incertezza, che ora si sta aggravando”

“Siamo tutti in ansia per la pandemia”, ha continuato Shlomot, e i bambini prigionieri non hanno tutori con cui confidarsi, ora che le visite della famiglia e dell’avvocato sono state cancellate. Ha aggiunto che il servizio carcerario dovrebbe consentire ai minori di contattare i genitori per telefono o attraverso altri mezzi tecnologici che gli consentirebbero di sentire le loro famiglie.

Shlomot ha affermato di comprendere le preoccupazioni per la salute che stanno alla base dei regolamenti, “ma queste misure sono ancora disumane. Dei tutori dovrebbero essere autorizzati a fare un controllo sui bambini detenuti almeno saltuariamente.” Il gruppo dei “genitori contro la detenzione minorile” ha contattato il Servizio penitenziario israeliano e il Comitato speciale per i diritti dell’infanzia della Knesset.

“Israele dovrebbe prendere in considerazione la possibilità di rilasciare prigionieri”

Oltre che del totale isolamento dei prigionieri, le organizzazioni per i diritti umani sono preoccupate che le condizioni carcerarie possano portare a una grave epidemia di coronavirus all’interno delle strutture. Dopo che il tribunale di Israele decretò nel 2017 che le condizioni detentive in Israele dovevano essere migliorate, centinaia di prigionieri ottennero il rilascio amministrativo per ridurre il sovraffollamento. I prigionieri politici, tuttavia, devono ancora affrontare condizioni difficili.

Martedì il comitato pubblico contro la tortura in Israele (PCATI) ha contattato il servizio penitenziario, chiedendo che garantissero la salute e la sicurezza dei detenuti. “Le celle della prigione, nelle condizioni esistenti, ora consentono una distanza di 2 metri tra ciascun detenuto, secondo le linee guida del Ministero della Salute”, hanno scritto.

L’organizzazione ha messo in evidenza le sue preoccupazioni sull’isolamento sociale delle carceri e che i regolamenti di emergenza porterebbero a una grave violazione dei diritti dei detenuti in generale, ma in particolare dei prigionieri politici.

“I carcerati sono già ad alto rischio di contrarre la malattia, poiché molti di loro sono uomini anziani, soffrono di malattie croniche e sono detenuti in spazi sovraffollati”, afferma la lettera. PCATI ha chiesto un aumento della fornitura di prodotti sanitari ai detenuti, nonché l’accesso ad altri prodotti che potrebbero aiutarli a combattere il virus.

Il gruppo ha anche chiesto informazioni sulle condizioni di quarantena nelle carceri, in caso di necessità, e ha richiesto che la quarantena non fosse utilizzata come misura punitiva. Anche tra la popolazione civile, il periodo di quarantena di 14 giorni è una misura difficile ma necessaria per mantenere la salute pubblica; per i detenuti, questo requisito è ancora più rilevante, ha scritto PCATI.

“In quanto tale, è particolarmente importante che i servizi penitenziari adottino misure significative per garantire che i detenuti trascorrano del tempo in quarantena in caso di necessità. La protezione della salute fisica dei detenuti non è meno importante del mantenimento della loro salute mentale”, ha continuato la lettera.

La scorsa settimana Addameer ha anche contattato il servizio penitenziario, chiedendo chiarimenti in merito alle misure da adottare per garantire la sicurezza e l’igiene delle prigioni sovraffollate e per chiedere se ai detenuti fossero fornite informazioni su come affrontare la pandemia. Devono ancora ricevere una risposta.

L’associazione israeliana dei medici di sanità pubblica ha chiesto chiarezza nelle azioni delle autorità. Il gruppo ha affermato che “le decisioni devono essere prese su una base professionale e trasparente, informando le persone in modo corretto. La mancata presentazione dei dati che informano delle decisioni prese disattende le aspettative della collettività. La mancanza di un processo trasparente, inclusa la supervisione parlamentare, guasta la fiducia popolare e come tale anche il benestare pubblico”.

Secondo Litvin, lo stesso vale anche per i prigionieri. “Sarebbe stato fantastico se il servizio penitenziario avesse pubblicato linee guida dettagliate su come intendono contrastare la pandemia e i conseguenti sviluppi, per informare i detenuti e le loro famiglie”.

Nello stato dell’Ohio negli Stati Uniti e in Iran, i prigionieri vengono rilasciati per diminuire il sovraffollamento e prevenire la rapida diffusione del virus, con altri paesi che prendono in considerazione misure simili. In Israele, tuttavia, sembra che l’idea non sia affatto valutata. “Esistono molti prigionieri in detenzione amministrativa, persone trattenute come misura” preventiva”. Israele dovrebbe considerare il loro rilascio”, ha detto Litvin.

Il servizio penitenziario israeliano non ha risposto a una richiesta di commento.

Oren Ziv è fotoreporter, membro fondatore del collettivo di fotografia Activestills e scrittore dello staff di Local Call. Dal 2003, ha documentato una serie di questioni sociali e politiche in Israele e nei territori palestinesi occupati, con particolare attenzione alle comunità di attivisti e alle loro lotte. Il suo reportage si è concentrato sulle proteste popolari contro il muro e gli insediamenti, alloggi a prezzi accessibili e altre questioni socio-economiche, lotte contro il razzismo e la discriminazione e la lotta per liberare gli animali.

Trad: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

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