‘Non vogliamo che ciò che è accaduto nel 1948, accada anche a noi”

Un’intervista con i membri dell’iconico gruppo hip-hop palestinese DAM,  dopo i giorni di terrore vissuti nella loro città natale, Lydd.

Fonte: english version

Di Mahmood Jrere, Tamer Nafar e Udi Aloni – 26 maggio  2021

Immagine di copertina: Mahmood Jrere, Maysa Daw e Tamer Nafar del gruppo hip hop palestinese DAM. (Chris Hazou)

La mattina del 13 maggio, un appello è stato lanciato dalla comunità palestinese di Lydd, con la richiesta di “protezione internazionale per i cittadini palestinesi dai pogrom sanciti dallo Stato israeliano”.  Ideato dai membri del pionieristico gruppo hip-hop palestinese DAM, l’appello  è stato lanciato dopo i giorni di danneggiamenti e violenza e alle molte notti di terrore, poiché i palestinesi con cittadinanza israeliana “hanno dovuto affrontare molteplici pogrom e tentativi di linciaggio perpetrati da gruppi di ebrei israeliani”.

Mentre gli eventi di quelle notti scuotevano le città da Acri a Ramle, da Haifa a Gerusalemme, a Lydd (o Lod, in ebraico), una piccola città della classe operaia nel centro della Palestina-Israele, la situazione è stata particolarmente difficile. Lydd è stata spesso considerata un modello di “coesistenza” all’interno di Israele, ma una realtà molto più oppressiva bolliva sotto la superficie, in particolare negli ultimi anni, quando nazionalisti ebrei di destra vi si sono trasferiti in massa per “giudaizzare” la città. Durante la settimana del 10 maggio, quella realtà ha rotto gli argini e la folla di estremisti ebrei ha dilagato  per la città, sostenuta dalle forze di polizia militarizzate, mentre  i palestinesi hanno dovuto difendersi. Un palestinese, Musa Hassuna, di 33 anni, è morto, così come un ebreo di 56 anni, Yigal Yehoshua.

Alla fine della scorsa settimana, Mahmood Jrere e Tamer Nafar, due dei membri fondatori del DAM, si sono seduti con il loro caro amico, regista e scrittore Udi Aloni, per parlare dell’appello che hanno lanciato e della realtà della vita a Lydd. L’intervista è stata modificata per lunghezza, chiarezza e fluidità

UDI ALONI:  Innanzitutto, puoi dirci cos’è DAM?

MAHMOOD JRERE: DAM è stata fondata tra la fine del 1999 e l’inizio del 2000. Tutti i membri di DAM sono palestinesi che vivono all’interno di Israele, il che ci fa portatori delle idee dei palestinesi che vivono in Israele. Abbiamo creato molte canzoni e album. Una delle canzoni che abbiamo composto è stata “Who Is a Terrorist?”, all’inizio della Seconda Intifada. Abbiamo pubblicato tre album ufficiali. Siamo di Lydd, la città nel centro di Israele. È una città mista che è stata occupata nel 1948 da bande sioniste – Questo in breve.

ALONI: Perché avete lanciato un appello chiedendo alla comunità internazionale di intervenire per proteggere i cittadini palestinesi di Israele?

JRERE: Beh, come palestinesi, anche prima di quello che è successo e di quello che sta succedendo ora, sappiamo che non siamo protetti. Lo sappiamo perché vediamo che non siamo uguali di fronte al sistema. Non siamo uguali in nulla: nella legge, ma nemmeno nell’alloggio, nel lavoro, nelle opportunità di lavoro. Non siamo uguali. E questo è qualcosa che fa parte della vita quotidiana dal 1948. Ma ciò che ci ha fatto lanciare  l’appello è perché soffriamo del trauma collettivo che ci è successo nel 1948. Abbiamo tutti sentito le storie delle nostre nonne e dei nostri nonni su come sono stati massacrati, come sono stati espulsi, su come sono stati cacciati dalle loro case e le loro case sono state rubate. È una storia catastrofica e tragica che mia nonna mi racconta ogni anno.

Così improvvisamente, vedendo i coloni israeliani, l’ala di estrema destra con un’ideologia estremista, venire in autobus e taxi  nella nostra  città e marciare per le strade di notte ,mentre gli arabi palestinesi  erano sotto coprifuoco – e hanno marciato liberamente, protetti dalla polizia e commettendo attacchi contro case e auto e individui palestinesi,  con calci, lancio di pietre,  incendiando  le loro auto e le loro case beh, questo ha creato la sensazione che tu non sia un cittadino uguale, che tu possa essere ucciso, anzi che puoi essere ucciso, e nessuno ti aiuterà. Tu paghi le tasse e la polizia non ti aiuterà. Tamer ha chiamato la polizia, ma la polizia non l’ha aiutato. Altre famiglie palestinesi a Lydd, hanno detto “Abbiamo chiamato la polizia e la polizia ha risposto ‘Sì, siete arabi, dovete morire tutti'”. Questo è ciò che la polizia ha risposto alla gente di Lydd negli ultimi sei, sette giorni.

Quindi, è molto traumatico per noi. Fa paura. Abbiamo dei figli e delle famiglie. E non vogliamo che quello che è successo nel 1948 accada di nuovo. E non ci aspettiamo che la comunità internazionale venga ora ad aiutarci, perché abbiamo una cattiva esperienza con la comunità internazionale riguardo alla causa palestinese in generale. Ma vogliamo esporre la verità di ciò che sta accadendo, perché le nostre nonne e i nostri nonni non avevano voce nemmeno per parlare del loro dolore o di quello che è successo loro.

ALONI: Siete d’accordo sul fatto che, anche se cercate di dire che Palestina è una sola, Israele ha convinto molte persone che ognuna ha un’identità diversa? E che parte della vostra missione, come DAM, già da quando eravate bambini, era dire a tutti, “No, siamo una nazione anche se ci hanno fatto a pezzi”?

JRERE: Beh, sì, in primo luogo, fa parte della politica israeliana separare il popolo palestinese. Anche in Cisgiordania, i villaggi sono, in un certo senso, separati dalle principali città come Ramallah o Betlemme o l’occupata Gerusalemme est. Per noi, ogni palestinese vive in un modo diverso. A Lydd, le nostre identità non ci sono chiare, perché andiamo nelle scuole israeliane, e quello che ci è stato insegnato non è la nostra storia. Ci è proibito essere istruiti sulla nostra storia.

ALONI: Puoi spiegare cosa intendi con proibito?

JRERE: Non possiamo conoscere Mahmoud Darwish, per esempio, che è il poeta più importante della Palestina. Possiamo conoscere Herzl. Possiamo conoscere i nostri occupanti, ma non possiamo conoscere i nostri poeti e leader.

ALONI: E per legge, non ti è permesso avere un ricordo pubblico della Nakba, della tua catastrofe ?

JRERE: Sì, non ci è stata insegnato nelle scuole. Non è menzionata. È qualcosa che condividiamo, e ricordiamo dai nostri nonni e dalle nostre nonne. Sono loro che ci raccontano le storie della Nakba.

Siamo stati sistematicamente disconnessi dalla nostra nazionalità, dalla nostra nazionalità palestinese. E Lydd è una delle città più difficili, una delle città che hanno davvero sofferto questo tipo di separazione dall’identità palestinese. La differenza di quando ho vissuto a Lydd e di quando ho vissuto a Ramallah, è che Ramallah è una città palestinese dove i palestinesi possono costruire la loro identità, per imparare la storia, per imparare chi sono come palestinesi e come arabi.

ALONI: Pensi che Israele sia riuscito a far dimenticare a molti cittadini palestinesi di Israele la loro origine palestinese?

JRERE: Penso di sì, per una parte dei palestinesi che vivono all’interno di Israele, sì. Perché c’è un intero sistema che sta lavorando per farlo, dal 1948 ad oggi. Ci sono libri che sono stati pubblicati su come lo Shin Bet ha imposto i presidi nelle scuole arabe. Sono stati nominati dallo Shin Bet israeliano. Il governo e il sistema israeliano stanno quindi facendo uno sforzo molto grande per separarci dalla nostra identità, per spezzare la nostra identità, in realtà. Per molto tempo, durante la crescita, non abbiamo avuto consapevolezza della nostra identità palestinese. È qualcosa di cui noi stessi, in un certo senso, ci siamo auto-educati dopo la Seconda Intifada. Ed è qualcosa che è successo a molti palestinesi che vivono all’interno di Israele.

ALONI: Pensi che i recenti eventi abbiano cambiato questo? Che stanno facendo capire a molti più giovani che sono palestinesi?

TAMER NAFAR: L’ultima rivolta in realtà è il risultato di quella conoscenza, non l’inizio della conoscenza. E penso che la conoscenza e l’identità palestinese all’interno di Israele sia il risultato di diverse circostanze, ma dirò quale secondo me è la più grande: è il risultato di Internet. Ora le persone possono comunicare. La Seconda Intifada ha portato tutto questo. Non è che Israele abbia detto, “Ok, abbiamo preso la Palestina e ora sarà Israele.” Era: “Abbiamo preso la Palestina, e non potrete entrare se non farete parte di Israele.” Si tratta di Israele che fa il massimo per escluderti, e questo ciò che rende le persone …

ALONI: Ora voglio chiederti, Tamer, di parlare un po’ con te della parola “violenza”. Non sono stati solo gli ebrei arrivati in città, che sono stati violenti. Per strada ci sono stati anche Palestinesi violenti, e un ebreo è stato ucciso. Allora, puoi descrivermi la violenza di entrambe le parti? Dove vedi la differenza? Cosa condanni? Con cosa sei d’accordo?

NAFAR: Odio la violenza, punto. In generale, non credo che ci siano persone, almeno persone che conosco, che vedendo un atto di violenza  lo approvino , o vogliano vederlo. Pensi che mi piaccia vedere giovani arabi lanciare pietre? Preferirei vederli scrivere poesie o avere un lavoro. Questo è quello che voglio per i miei figli.

Ma ancora una volta, non si può paragonare la violenza dell’oppressore e la violenza degli oppressi. Non si può fare un confronto tra le due. Se si vuole confrontare con numeri e percentuali, la violenza degli israeliani è molto più grande.  Ci sono stati linciaggi. Ma la violenza inizia con l’attaccare i nostri ulivi negli insediamenti. Inizia con la brutalità della polizia. Inizia con le demolizioni di case, con i bulldozer che uccidono persone a Gaza, e l’esercito è una delle forze israeliane più violente . La nostra violenza è sempre una reazione. La violenza palestinese è sempre una reazione. Come ci ha insegnato Walter Benjamin, il filosofo ebreo, c’è una differenza fondamentale tra la violenza degli oppressi, spontanea, e la violenza dei governanti, che è organizzata e pianificata.

ALONI: Confrontando la prima Intifada con quello che sta succedendo ora nelle città di Haifa e Jaffa, ho notato che in questa rivolta c’è una voce molto forte da parte delle donne che non c’è invece in Hamas, per esempio, e che appare quando c’è una rivolta popolare che nasce dalla strada.  E’ vero, o sto solo romanticizzando?

JRERE: Oh, le donne hanno fatto parte della lotta palestinese da sempre, dal 1948. Voglio dire, una delle foto più famose della Prima Intifada era di una donna che lanciava pietre a Betlemme, lanciava pietre contro carri armati a Betlemme. Ed era vestita con un abito da sposa. Quindi, le donne hanno sempre fatto parte della lotta palestinese e ne sono una parte forte. Anche le donne sono vittime dell’occupazione. Ora è molto conveniente per Israele e per i media occidentali mettere Hamas di fronte alla nostra lotta, perché allora possono giustificare tutti i crimini di guerra che stanno accadendo in Palestina. Ma voi potete vedere, quando  guardate musicisti e influencer, quanto sia attivo il ruolo delle donne palestinesi.

ALONI: Ma questo non è molto menzionato, credo.

NAFAR: Non menzionato dove? Nei media israeliani? Nei media mondiali? Dove? L’ultima cosa che Israele vuole mostrare sono le donne palestinesi che combattono la loro occupazione, perché in tal modo verrebbe smascherato il loro : “Stiamo aiutando i diritti delle donne, stiamo aiutando i diritti degli omosessuali, le stiamo salvando da sè stesse/i”.

JRERE: Non si adatta alla loro strategia di disumanizzazione del popolo palestinese. Questo è il motivo per cui non lo mostrano.

ALONI: Ho notato che molti, moltissimi degli artisti palestinesi sono sul fronte della lotta. Hai ricevuto qualche sostegno alla tua lotta da parte di artisti israeliani?

NAFAR: Ce ne sono alcuni. Sono pochi. Israele continua a parlare di coesistenza. Quindi, sto pensando di promuovere un nuovo termine che si chiama “co-resistenza” e non coesistenza. E quando ne parlo, sto parlando di quegli ebrei che sono simili ai bianchi che marciano con Black Lives Matters. Non stanno cercando di dire loro “Tutte le vite contano”. Stanno dicendo “No, tu sei ciò che conta ora”. Si tratta di persone che hanno bisogno di noi nella loro lotta. E quindi, penso che noi, i palestinesi e gli ebrei anti-apartheid, in particolare, dovremmo iniziare a formare una cosa nuova chiamata co-resistenza.

ALONI: Li stai accogliendo?

JRERE: Alcuni di loro parlano e hanno voci forti. Vengono attaccati anche dalla destra israeliana. Anche loro si trovano in una brutta situazione. Voglio dire, al giorno d’oggi non è facile all’interno di Israele parlare dei diritti umani palestinesi. In un certo senso, stanno affrontando gli stessi attacchi, gli attacchi verbali che anche gli artisti palestinesi devono affrontare, perché Israele non vuole sentir parlare della lotta palestinese o dei nostri diritti umani.

ALONI: Pensi che il movimento Black Lives Matter aiuti il mondo a comprendere meglio le vostre narrazioni?

NAFAR: Non posso dirlo. È troppo presto per parlare. Ma, come persona cresciuta nell’hip hop, direi che personalmente devo molto alla cultura afroamericana. Durante la questione delle BLM, dicevo, “Il modo in cui è organizzato è così stimolante.” Quindi, per me personalmente, direi di sì.

Vuoi sapere una cosa? Ho conosciuto Malcolm X e Martin Luther King molto prima di conoscere Darwish, a causa dell’hip hop.

ALONI: Fammi una dichiarazione finale.

NAFAR: La mia dichiarazione è che ho smesso di indossare i kafkafim [infradito], come Gandhi. Perché ogni volta che esco di casa, penso “Potrei dover affrontare un linciaggio, e forse è meglio indossare le mie scarpe da corsa.”

ALONI: E… Mahmood, pensi davvero che i cittadini palestinesi di Israele abbiano bisogno dell’intervento internazionale  che li protegga dallo Stato di Israele?

JRERE: C’è un intero sistema che funziona contro di noi, compresi i media, dove c’è gente in onda che dice, “Dovremmo uccidere tutti gli arabi.” Questa sta diventando una realtà spaventosa in cui vivere. Ma la nostra richiesta non è solo di protezione. Il nostro invito è di chiamare le Nazioni Unite a indagare sull’apartheid israeliano e ad esaminare la relazione pubblicata da Human Rights Watch. Viviamo  continue discriminazioni, discriminazioni quotidiane. Ora che c’è un cessate il fuoco, le persone andranno avanti con i loro affari, ma noi viviamo ancora qui, dove non abbiamo gli stessi diritti dei cittadini ebrei.

Nota dell’editore: Nei giorni successivi all’uscita dell’invito all’azione di DAM a Lydd, più di 1.000 musicisti, scrittori e attivisti hanno firmato l’appello, tra cui Lauryn Hill. In segno di gratitudine per il sostegno, Rasha Nahas e Maysa Daw, artisti palestinesi di Haifa (e, nel caso di Daw, un membro del DAM), hanno scritto a Hill per ringraziarla “per aver dimostrato solidarietà nello stare insieme a noi per la nostra sicurezza e libertà”. E hanno continuato: “Ad essere completamente onesti, anche se siamo fiduciosi, al momento ci sentiamo estremamente disorientati. Abbiamo difficoltà a scrivere e a spiegare la realtà che noi e la nostra comunità abbiamo vissuto nelle ultime settimane.

“La nostra città, così come molte città abitate da palestinesi, sono state brutalmente attaccate dagli estremisti sionisti, che hanno vandalizzato le nostre proprietà, entrando nelle nostre case, terrorizzando i nostri quartieri, attaccandoci fisicamente, segnando le nostre porte e case per futuri attacchi e cantando “morte agli arabi” per le strade e in televisione, senza alcuna conseguenza legale.” Hanno concluso: “Ora più che mai, non ci sentiamo al sicuro”…

Mahmood Jrere è membro fondatore del gruppo hip hop palestinese DAM. Nato e cresciuto a Lydd, è anche un artista indipendente, imprenditore musicale e cofondatore del Palestine Music Expo.

Tamer Nafar è musicista, attore, sceneggiatore e attivista sociale. Nato nella città di Lydd, ha scoperto l’hip hop da adolescente ed è diventato il primo rapper palestinese al mondo, formando il rivoluzionario gruppo hip hop DAM nel 2000.

Udi Aloni è regista, scrittore e artista noto per i suoi film “Junction 48”, “Local Angel” e “Forgiveness” tra gli altri. È anche l’autore di “What Does a Jew Want? On  Binationalism  and  Other  Specters”,  pubblicato nel 2011.

 

Trad: Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org