Perché non celebro la legge che vieta il commercio e l’uso delle pellicce in Israele.

Celebrare Israele per questa ed altre leggi che combattono maltrattamenti e abusi sugli animali non umani, è come riconoscere che le vite dei Palestinesi non hanno valore e negare la loro resistenza contro uno stato oppressore.

Grazia Parolari  – Invictapalestina –  11 giugno 2021

Immagine di copertina: Confezionati con le code di volpi e zibellini, gli shtreimels possono costare fino a 5000 dollari. (immagine da You Tube)

La recentissima approvazione in Israele della legge che vieta il commercio e l’utilizzo di pellicce animali potrebbe apparentemente non essere accolta che positivamente, soprattutto considerando che anche in Italia ci si sta battendo da anni per raggiungere un simile risultato.  A seguito di tale impegno per esempio,  grandi marchi di moda come Versace e Armani, e prossimamente Valentino, non utilizzano e non vendono più pellicce animali, così come, alla luce dei rischi di zoonosi evidenziati dal Covid 19 e dalle vicende riguardanti gli allevamenti di visoni, si sta ripetutamente chiedendo al Ministero della Sanità la chiusura definitiva di tali allevamenti.

Tuttavia la notizia, per quanto possa sembrare entusiasmante, non può esimere da alcune riflessioni, per le quali è necessario innanzitutto acquisire un panorama più ampio dell’iter di proposta e infine approvazione di tale legge.

Il disegno di legge è stato realizzato dall’International Anti-Fur Coalition (IAFC), un’organizzazione che riunisce 50 organizzazioni anti – pelliccia in tutto il mondo e la cui fondatrice è l’israeliana Jane Halevy. Proposto nel 2009, con il sostegno di Peta Israel (People for the Ethical Treatment of Animals), il disegno ha avuto un percorso lungo e complicato.

Approvato in prima lettura dalla Commissione Ministeriale, il disegno di legge, che necessitava di passare tre esami per poter essere presentato alla Knesset, venne in seguito sconfitto due volte dopo pesanti pressioni da parte delle industrie di pellicce canadesi e danesi (Israele non ha un’industria propria, tutta la pelliccia venduta nel Pease è importata, principalmente da Stati Uniti, Canada e Danimarca). Nel 2017 il Consiglio di sicurezza nazionale israeliano emise una nota mettendo in guardia sul pericolo che il disegno di legge, compromettendo i rapporti con Danimarca e Canada, avrebbe potuto mettere a repentaglio “la sicurezza di Israele”.

Il disegno di legge quindi, a differenza di quanto affermato da IAFC, ovvero che non rivestisse una questione politica, risultò interessato da una potente rete di interessi economici stranieri privati e di dinamiche di politica internazionale e, cosa non inaspettata, venne inoltre usato funzionalmente all’agenda e agli interessi nazionalisti di Israele.

Quando il progetto venne introdotto per la prima volta nel 2009-2010, il ministro dell’agricoltura laburista Shalo Simhon affermò: “Noi (Israele) dovremmo dare l’esempio al resto del mondo sulla questione”, riecheggiando con queste parole la rappresentazione dell’identità nazionale di Israele come eccezionale e come “faro di luce per le nazioni”, idea già radicata nei primi miti sionisti come la “dottrina della scelta divina” che conferisce agli ebrei una “missione morale unica”.

Ecco quindi che oggi puntualmente viene sbandierato lo status speciale di Israele come paese illuminato e progressista, presentando l’approvazione della legge come un risultato eccezionale e come esempio a cui gli altri Paesi devono guardare, perfetto strumento di quell’hasbara che cerca di distogliere l’attenzione  dall’abuso dei diritti umani verso i Palestinesi e dalla brutale politica di occupazione.

Il disegno di legge è stato anche sfruttato come strumento del cosiddetto “soft power” israeliano, presentato dalla stessa Jane Havely come “rara opportunità” per promuovere l’agenda di Israele tra le comunità che tradizionalmente criticano il Paese convincendo i liberali e i progressisti della sinistra occidentale, spesso schierati contro gli abusi sugli animali, che Israele non sia così “cattivo” come rappresentato dai media di sinistra.

Ma questa legge, è davvero così “illuminata” e “progressista”?

La modifica al regolamento del 1976 varata nell’ambito della Legge sulla protezione della fauna selvatica, firmata mercoledì dal ministro dell’ambiente Gila Gamliel, vieta il commercio e l’uso di pellicce, ma consente il rilascio di permessi da parte del direttore dell’Autorità israeliana per la natura e i parchi se le pelli devono essere utilizzate per “religione, tradizione religiosa, ricerca scientifica, educazione o insegnamento”. Questa scappatoia esenta quindi dal divieto gli ebrei ultra-ortodossi, che spesso indossano cappelli di zibellino, noti come shtreimels, durante lo Shabbat e nei giorni festivi. Realizzati con code di zibellini e di volpi, i cappelli possono costare fino a 5.000 dollari.

Con il suo caldo clima mediterraneo, in Israele gli ebrei ultra ortodossi sono praticamente gli unici utilizzatori diffusi di pellicce.

Nessun governo israeliano avrebbe mai il coraggio di vietare loro tale tradizione, cosa di cui sono perfettamente consapevoli anche gli interessati, che pure hanno criticato la legge: ”La bellezza e la maestria di uno shtreimel mostrano rispetto sia per lo Sabbath che per gli animali utilizzati per realizzarlo. L’abbigliamento in pelliccia è, infatti, un connubio tra la bellezza della natura e la creatività umana. Indossare la pelliccia dovrebbe ricordare a tutti noi la nostra dipendenza dalla natura e la nostra responsabilità di proteggerla. Se indossiamo la pelliccia con questa consapevolezza, diventa un atto morale. La cinica legge del ministro israeliano di vietare le pellicce sicuramente non lo è”. (lan Herscovici, Senior Researcher e scrittore). “Le pellicce provengono da Dio, sono parte della Bibbia” (Marc Kaufman).*

Risulta quindi evidente che l’impatto di questa legge sul commercio e sull’utilizzo di pellicce sarà minimo e che l’entusiasmo da essa suscitato non corrisponda a quella svolta epocale, a quel “faro di civiltà”, così ampiamente propagandati.

Di fronte alla dichiarazione del Ministro Gila Gamliel “L’industria delle pellicce provoca la morte di centinaia di milioni di animali in tutto il mondo e infligge crudeltà e sofferenze indescrivibili. Usare la pelle e il pelo della fauna selvatica per l’industria della moda è immorale e certamente non necessario. Le pellicce animali non possono coprire la brutale industria degli omicidi che le produce. La firma di questi regolamenti renderà il mercato della moda israeliano più rispettoso dell’ambiente e molto più gentile con gli animali” risulta inoltre  evidente che, se lo stato ebraico ha sentito la necessità di opporsi alla crudeltà, alle sofferenze  e alla morte inflitte a migliaia di animali non umani, lo stesso non accade riguardo ai Palestinesi, ai quali continua a infliggere sofferenza e morte senza alcun dilemma morale.

Celebrare Israele per questa ed altre leggi che combattono maltrattamenti e abusi sugli animali non umani, è come riconoscere che le vite dei Palestinesi non hanno valore e negare la loro resistenza contro uno stato oppressore.

Utilizzare gli animali per distogliere l’attenzione dai crimini perpetrati contro i Palestinesi, è oscurare i secondi e continuare a sfruttare i primi.

Non si tratta di considerare la sofferenza dell’una o dell’altra specie più importante o al di sopra dell’altra, posizione che sarebbe intrinsecamente specista, ma di accogliere la visione intersezionale, quella di una “sola battaglia, una sola lotta”,  condivisa dagli stessi (se pure numericamente pochi),  attivisti radicali animalisti e antispecisti israeliani e palestinesi, impegnati nel trovare dei punti di intervento efficaci che destabilizzino sia lo specismo che il colonialismo , cercando di trasformarli in un’agenda politica che  guardi a  una liberazione animale e umana in una Palestina decolonizzata e in un Israele libero dal suo “razzismo democratico”.

Al contrario di quanto celebrato dalla narrativa dominante, secondo la quale i Palestinesi sono “barbari” e “primitivi” e quindi necessitano di essere “civilizzati” da occupanti umani, compassionevoli, evoluti , “green” e persino più vegan di chiunque altro al mondo,  Israele è estremamente distruttivo verso gli animali, l’ambiente e le persone,  e non c’è propaganda che possa nascondere i suoi crimini .

Israele è uno stato di apartheid. Non si dovrebbe celebrare nessun suo “progresso” verso gli animali non umani fino a quando questi “progressi” non includeranno lo smantellamento della supremazia sionista e la fine dell’occupazione e della de-umanizzazione e oppressione dei Palestinesi.

Fino ad allora, non ho nulla da celebrare.

 

*Nota: per correttezza, riporto anche i pareri del rabbino ortodosso Shmuly Yankloviz, fondatore di “Shamayim: Jewish Animal Advocacy” e quello di “Jewish Veg”:

L’utilizzo dello shtreimel non è necessario per attualizzare la santità. Ciò che è richiesto, tuttavia, è la necessità di seguire la nozione di “tzar ba’aleim chaim” , non causando inutili sofferenze agli animali”

Il mandato del giudaismo è che trattiamo gli animali con sensibilità e compassione, e l’utilizzo delle pellicce viola questo mandato”.

Fonti:

https://blog.truthaboutfur.com/israels-proposed-fur-ban-is-immoral/

https://www.all-animals.org/articles/politics-animals-zionist-state.html

https://www.timesofisrael.com/peta-hails-israel-as-first-country-to-ban-fur-but-major-exceptions-remain/