Far fiorire il deserto? Come Israele sta facendo greenwashing con il furto di terre nel Negev

Per decenni, il Jewish National Fund (Fondo Nazionale Ebraico) ha utilizzato iniziative ambientali come copertura per impadronirsi della terra palestinese. Ora, i beduini palestinesi nel Negev stanno combattendo contro il colonialismo verde di Israele.

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Di Jessica Buxbaum – 1 febbraio 2022

Questo mese, i beduini nel Naqab (Negev) hanno affrontato i bulldozer mandati dallo Stato israeliano che tentavano  di impossessarsi della loro terra. La linea ufficiale dello Stato israeliano è che sta preparando la terra per progetti di “forestazione”, ma la gente del posto sostiene che l’iniziativa del governo per piantare alberi è semplicemente uno stratagemma per confiscare la terra alla popolazione nativa.

“Non siamo contrari a piantare alberi, ma non in questo modo”, ha detto Khalil Alamour, un attivista beduino. “Perché la forestazione qui è uno strumento colonialista, non per aiutare le persone”.

Alamour ha descritto come il Jewish National Fund (JNF), l’organizzazione sionista che guida gli sforzi di forestazione, ha spianato i campi di grano e orzo seminati dagli abitanti del villaggio.

“Non è per ‘far fiorire il deserto’ come hanno sempre affermato. È solo per sradicare i nostri alberi”, ha detto Alamour, sottolineando come nelle ultime settimane il JNF ha raso al suolo ulivi e fichi per fare spazio alle sue piantine di pino.

Attivisti beduini e gruppi per i diritti umani affermano che lo slogan simbolico del movimento sionista: “far fiorire il deserto”, è un inganno e le attività del JNF stanno effettivamente facendo il contrario.

L’anno scorso, l’organizzazione ambientale israeliana, la Società per la Protezione della Natura in Israele, ha portato il JNF davanti alla Corte Suprema dello Stato, sostenendo che la piantumazione di alberi danneggerebbe la biodiversità del Naqab. La Società ha perso.

Ma le foreste del JNF non sconvolgono solo l’ecosistema, ma anche l’economia locale.

“Storicamente il Naqab stava fiorendo. Milioni di dunam/km2 (più di 25.000 acri) sono stati coltivati ​​dalla comunità beduina”, ha detto Amir Abu Koider, un attivista beduino.

“In una società che si basa sull’agricoltura, l’allevamento e il pascolo, si stanno effettivamente spogliando della loro risorsa principale: la terra”.

La storia del “greenwashing” del JNF

Il JNF ha svolto un ruolo significativo nella colonizzazione sionista della Palestina. L’organizzazione è stata fondata durante il Congresso Sionista del 1901 in Svizzera e ha il compito di acquistare terreni in Palestina per l’insediamento ebraico. Il processo di acquisto veniva generalmente effettuato tramite proprietari assenti.

Negli anni ’20, tuttavia, i palestinesi erano estremamente consapevoli degli sforzi di colonizzazione del JNF e si rifiutarono di vendere la loro terra all’organizzazione. Questa circostanza  portò   il JNF a ricorrere a metodi più insidiosi per acquisire terreni, come reclutare palestinesi per acquistare appezzamenti per il JNF.

Per facilitare queste procedure, il JNF iniziò a tenere archivi dettagliati dei villaggi palestinesi destinati a futuri sfollamenti. Questi registri dei villaggi  furono  poi utilizzati dalle milizie sioniste quando con la forza  deportarono in massa i palestinesi dal 1947 al 1948 in quella che è conosciuta come la Nakba, o “Catastrofe” in arabo.

Dopo la Nakba , e da quando Israele fu ufficialmente istituito come Stato nel maggio 1948, il JNF ha sequestrato più del 70% della terra palestinese.

Per settimane, i manifestanti beduini hanno organizzato manifestazioni contro un progetto di riforestazione del Jewish National Fund (JNF) nel villaggio di Sawe al-Atrash, nel sud dell’Israele, nel deserto del Negev. (Getty)

Come ha spiegato Koider, il JNF ha poi lavorato per mascherare il suo furto di terreni attraverso pretesti ambientali.

“Il JNF è stato coinvolto nella pulizia etnica e nell’occultamento delle conseguenze della Nakba piantando i propri alberi sulle macerie dei villaggi arabi distrutti”, ha detto Koider.

Più di due terzi delle foreste del JNF si trovano sulle rovine dei villaggi palestinesi. Persino Michal Kortoza, che era responsabile della segnaletica del JNF, ha ammesso che “molti dei parchi del JNF – KKL si trovano su un terreno dove un tempo sorgevano i villaggi palestinesi; le foreste sono lì per nascondere questo”.

Oggi, la forestazione del JNF non serve solo a nascondere le catastrofi del passato, ma anche per sostenere gli sforzi espansionisti in quella che gli attivisti considerano una forma di colonialismo verde.

“Un meccanismo è quello di piantare alberi su terreni confiscati al fine di fermare l’espansione della comunità beduina”, ha detto Koider. “E l’altro meccanismo è spostare le comunità beduine e rimuoverle dalle loro terre”. Ha spiegato come diverse comunità beduine furono espulse in modo che la Foresta degli Ambasciatori del JNF potesse essere piantata al posto dei villaggi.

Elianne Kremer, coordinatrice delle relazioni internazionali e della ricerca alla Conferenza sulla Coesistenza del Negev per l’Uguaglianza Civile, ha sottolineato che ciò che sta accadendo ora nel Naqab non è insolito. Infatti, il JNF è regolarmente operativo nel deserto.

“Stanno piantando alberi tra i villaggi beduini nel Naqab e quindi quando fanno questi piani di forestazione, le persone si spostano. Ed è un modo per impedire loro di tornare nella loro terra originaria”, ha detto Kremer. “Il chiaro obiettivo qui è lo sfollamento dei beduini palestinesi”.

Le tattiche di espropriazione del JNF non avvengono solo nel Naqab, ma anche in Israele e nei Territori Palestinesi Occupati. Attraverso la sua controllata, Himanuta, il JNF ha acquistato terreni di proprietà palestinese per i coloni ebrei nella Cisgiordania occupata e nella Gerusalemme Est occupata attraverso accordi segreti.

Lotta per il diritto al riconoscimento

Durante la Nakba, circa 90.000 beduini palestinesi furono espulsi dal Naqab e spinti a Gaza, in Cisgiordania o fuori dalla Palestina. Il restante 10% dei beduini era concentrato in una piccola landa di terra (l’8% del Naqab) chiamata al-Siyaj.

Oggi, circa 40 villaggi beduini nel Naqab sono considerati “non riconosciuti” dallo Stato di Israele. Ciò significa che nonostante i beduini siano cittadini israeliani, non possono ricevere servizi di base per le loro comunità come acqua ed elettricità. Vivere in un villaggio non riconosciuto significa anche che non possono ottenere permessi di costruzione, rendendo le loro case illegali.

“L’80% dei beduini del Naqab vive sotto la soglia di povertà. Quindi il mancato riconoscimento da parte dello Stato crea questa situazione di indigenza”, dice Kremer. “Finché lo Stato non li riconoscerà, continueranno a vivere in questo modo”.

Ma il continuo sfollamento nel Naqab per mano del JNF sta solo allontanando il riconoscimento della proprietà beduina.

“Lo Stato li incoraggia costantemente e li costringe a trasferirsi in località riconosciute e ad abbandonare la loro terra storica”, ha detto Kremer.

“La difficile situazione dei beduini deve essere riconosciuta, ma lo Stato impedisce che ciò accada”.

Jessica Buxbaum è una giornalista di Gerusalemme che si occupa di Palestina e Israele. Il suo lavoro è apparso su Middle East Eye, The National e Gulf News.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org