Il mondo sotto controllo – Terza parte

(Copertina) Benjamin Netanyahu e Donald Trump, all’epoca in cui erano primo ministro d’Israele e presidente degli Stati Uniti, con i ministri degli esteri del Bahrein e degli Emirati. Washington (Stati Uniti, 15 settembre 2020)

Ronen Bergman e Mark Mazzetti, The New York Times Magazine, Stati Uniti

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Opportunità e rischi

Era una vittoria anche per Israele. Il Messico è una delle principali potenze in America Latina, una regione in cui Israele ha combattuto per anni una specie di guerra di trincea diplomatica contro i gruppi anti- israeliani sostenuti dai suoi avversari in Medio Oriente. Non ci sono prove dirette che i contratti del Messico con l’Nso abbiano fatto cambiare la politica estera del paese nei confronti d’Israele, ma c’è sicuramente una correlazione. Dopo una lunga tradizione di voti contrari a Israele alle conferenze dell’Onu, il Messico ha cominciato ad astenersi. Nel 2016 Enrique Peña Nieto, subentrato a Calderón nel 2012, è andato in Israele, che non riceveva una visita ufficiale da un presidente messicano dal 2000. L’anno dopo Netanyahu è andato a Città del Messico, la prima volta di un premier israeliano. Poco dopo il Messico ha annunciato che si sarebbe astenuto su varie risoluzioni a favore della Palestina esaminate dall’Onu.

In una dichiarazione il portavoce di Netanyahu ha precisato che l’ex primo ministro non ha mai cercato contropartite dai paesi che avevano comprato Pegasus. L’esempio del Messico mette in luce le opportunità e i rischi di lavorare con l’Nso. Nel 2017 i ricercatori di Citizen Lab, un gruppo che si occupa di sicurezza informatica e diritti umani all’università di Toronto, in Canada, hanno rivelato che le autorità messicane, impegnate in una campagna contro gli attivisti, i movimenti e i giornalisti di opposizione, avevano usato Pegasus per violare gli account dei promotori di una tassa sulle bevande gassate. Cosa ancora più inquietante, alcuni funzionari del governo avrebbero usato Pegasus per spiare gli avvocati che indagavano sull’uccisione di 43 studenti avvenuta a Iguala nel 2014.

Tomás Zerón de Lucio, il capo dell’agenzia messicana per la sicurezza interna, è stato tra gli autori dell’inchiesta del governo sul massacro, che ne attribuisce la responsabilità a una gang locale. Nel 2016, però, Zerón è stato indagato perché sospettato di aver coperto il coinvolgimento del governo nella vicenda. Per farlo si sarebbe servito di Pegasus: uno dei suoi compiti, infatti, era autorizzare l’acquisto di armi informatiche e altri materiali. Nel marzo 2019, poco dopo la vittoria del progressista Andrés Manuel López Obrador alle elezioni presidenziali, gli inquirenti hanno accusato Zerón di tortura, sequestro e inquinamento delle prove in relazione al massacro di Iguala. Zerón è scappato in Canada e poi in Israele, dov’è entrato con un visto turistico e ancora risiede nonostante la richiesta di estradizione del Messico, che ora lo accusa anche di appropriazione indebita.

Cordialità e alleanze

L’Nso ha raddoppiato i ricavi ogni anno: quindici milioni di dollari, trenta milioni, sessanta milioni. Questa crescita ha attirato l’attenzione degli investitori. Nel 2014 la Francisco Partners, una società internazionale di investimenti con sede negli Stati Uniti, ha comprato il 70 per cento delle azioni dell’Nso per 130 milioni di dollari e poi ha permesso la fusione con un’altra azienda di armi informatiche israeliana chiamata Circles. Fondata da un ex alto funzionario dell’Aman, la Circles produceva un software capace d’identificare la posizione di qualsiasi telefono nel mondo, sfruttando un punto debole scoperto dieci anni prima dall’intelligence israeliana. Dopo la fusione, quindi, l’azienda era in grado di offrire una gamma di servizi ancora più grande a un numero sempre maggiore di clienti.

Attraverso una serie di nuovi accordi commerciali, Pegasus ha contribuito a unire una nuova generazione di leader di destra in tutto il mondo.

Nel luglio 2017 Narendra Modi, eletto in India sulla base di un programma nazionalista hindu, è stato il primo capo di governo indiano a visitare Israele. Per decenni l’India aveva avuto una politica di sostegno alla causa palestinese e i rapporti con Israele erano gelidi. La visita di Modi, invece, è stata particolarmente cordialecordiale, con tanto di passeggiata sulla spiaggia con Netanyahu a favore di telecamera. Dietro alla gentilezza c’era un motivo. I due paesi avevano appena concluso un accordo per la vendita di un pacchetto di armi e sistemi d’intelligence per un valore di circa due miliardi di dollari, il cui pezzo forte erano Pegasus e un sistema missilistico. Qualche mese dopo Netanyahu è andato in India per una rara visita di stato. Nel giugno 2019 l’India ha votato per la prima volta a sostegno d’Israele al consiglio economico e sociale dell’Onu, negando lo status di osservatore a un’organizzazione palestinese per i diritti umani.

Il ministero della difesa israeliano ha concesso all’Nso la licenza per vendere Pegasus anche in Ungheria, nonostante la campagna del primo ministro Viktor Orbán contro gli oppositori politici. Nel 2020 l’Ungheria è stata tra i pochi paesi a non condannare pubblicamente il piano israeliano di annessione unilaterale di parti della Cisgiordania. Nel maggio di quell’anno i ministri degli esteri dell’Unione europea hanno provato a raggiungere l’unanimità su un cessate il fuoco tra Israele e il gruppo islamico palestinese Hamas, e su un aumento degli aiuti umanitari a Gaza. L’Ungheria si è rifiutata di allinearsi agli altri ventisei paesi.

Probabilmente, però, le alleanze più preziose favorite da Pegasus sono state quelle tra Israele e i vicini arabi. Tel Aviv ha autorizzato la vendita del sistema agli Emirati Arabi Uniti come una sorta di ramoscello di ulivo dopo che nel 2010 il Mossad aveva avvelenato un dirigente di Hamas in un albergo a Dubai. Nel 2013 è stata offerta a Mohammed bin Zayed, il principe ereditario e leader di fatto del paese, detto Mbz, l’opportunità di comprare Pegasus. Mbz ha subito accettato. Gli Emirati non hanno esitato a usarlo contro i nemici interni.

Ahmed Mansoor, un blogger critico verso il governo, si è lamentato pubblicamente dopo che Citizen Lab aveva accertato che Pegasus era stato usato per violare il suo telefono. La sua email era stata violata, i suoi spostamenti sorvegliati. Inoltre, gli avevano ritirato il passaporto e rubato la macchina e 140mila dollari dal conto in banca, era stato licenziato e picchiato varie volte da sconosciuti per strada. “Cominci a pensare di essere osservato appena ti muovi”, ha detto all’epoca. “Anche i tuoi familiari vanno nel panico”. Nel 2018 Mansoor è stato condannato a dieci anni di carcere per dei post pubblicati su Facebook e Twitter.

Dietro le quinte

Israele e gli Emirati si stavano avvicinando da anni. Le ostilità storiche tra Tel Aviv e il mondo arabo, che avevano influenzato a lungo la politica mediorientale, avevano ceduto il passo a una nuova precaria alleanza nella regione: Israele e gli stati sunniti del Golfo si erano allineati contro il loro acerrimo nemico, l’Iran a maggioranza sciita.

Nessun leader rappresenta meglio questa situazione di Mohammed bin Salman, detto Mbs, principe ereditario dell’Arabia Saudita, figlio del re Salman bin Abdulaziz e sovrano di fatto del regno. Nel 2017 le autorità israeliane hanno deciso di autorizzare la vendita di Pegasus a un servizio di sicurezza sotto la supervisione del principe. Un gruppo ristretto di alti funzionari della difesa israeliana, in contatto diretto con Netanyahu, ha assunto un ruolo chiave negli scambi con i sauditi, “prendendo molte precauzioni”, secondo un esponente del governo israeliano coinvolto nella vicenda. L’obiettivo era assicurarsi il sostegno e la gratitudine del principe. Il contratto, che prevedeva una commissione iniziale per l’installazione di 55 milioni di dollari, è stato firmato nel 2017.

Anni prima, l’Nso aveva istituito un comitato etico composto da un gruppo bipartisan di ex funzionari del ministero degli esteri degli Stati Uniti incaricati di fare verifiche sui potenziali clienti. Dopo l’omicidio di Khashoggi nel 2018, il comitato si è riunito d’urgenza per decidere come rispondere alle voci di un coinvolgimento dell’Nso. Hulio ha negato che Pegasus fosse stato usato per spiare l’editorialista del Washington Post. I sistemi di Pegasus tengono traccia di tutte le operazioni nel caso in cui ci sia un reclamo e l’Nso, con il consenso del cliente, può esaminarle. Hulio sostiene che il suo personale ha analizzato i registri sauditi e ha riscontrato che nessun prodotto della Nso è stato usato contro Khashoggi. Su indicazione del comitato, l’azienda ha comunque deciso di bloccare il sistema Pegasus in Arabia Saudita. Successivamente il governo israeliano ne ha chiesto la riattivazione, ma l’Nso, sempre su indicazione del comitato, l’ha negata.

Nel 2019, però, l’azienda è tornata sui suoi passi. D’accordo con Hulio, il fondo d’investimento privato britannico Novalpina ha rilevato le quote della Nso in possesso della Francisco Partners per un miliardo di dollari, una cifra cinque volte più grande di quella pagata dal fondo statunitense nel 2014. All’inizio del 2019 l’Nso ha accettato di riattivare il sistema Pegasus in Arabia Saudita. Accontentare i sauditi era importante per Netanyahu. Il primo ministro stava conducendo un’iniziativa diplomatica segreta che avrebbe dovuto rafforzare la sua immagine di statista: un riavvicinamento ufficiale tra Israele e diversi stati arabi. Nel settembre 2020 Netanyhau, Donald Trump (all’epoca presidente degli Stati Uniti) e i ministri degli esteri degli Emirati e del Bahrein hanno sottoscritto gli accordi di Abramo, salutati da tutti i firmatari come l’inizio di una nuova epoca di pace nella regione.

Dietro le quinte, però, c’era un bazar delle armi. L’amministrazione Trump aveva accettato di ribaltare le precedenti strategie politiche statunitensi e vendere caccia F-35 e droni armati Reaper agli Emirati e da settimane cercava di rassicurare Israele, preoccupato di non essere più l’unico stato dotato di F-35 nella regione. In un’intervista successiva, Mike Pompeo ha definito l’accordo sugli aerei da guerra “cruciale” per ottenere il consenso di Mbz. Al momento dell’annuncio degli accordi, Israele aveva già concesso la licenza per vendere Pegasus in quasi tutti i paesi firmatari. Un mese dopo c’è stato il primo intoppo: la licenza per l’esportazione in Arabia Saudita era scaduta e il ministero della difesa israeliano doveva decidere se rinnovarla. Citando l’uso improprio di Pegasus, il governo ha deciso di no. Senza la licenza, l’Nso non poteva più garantire la manutenzione ordinaria del software e il sistema si stava inceppando. Una serie di chiamate tra i collaboratori di Mbs, i dirigenti dell’Nso, il Mossad e il ministero della difesa israeliano non ha risolto il problema.

Allora Mbs ha chiesto di poter parlare al telefono con Netanyahu, dicono persone vicine alla vicenda. Mbs aveva argomenti convincenti. Suo padre, re Salman, non aveva firmato ufficialmente gli accordi di Abramo, ma aveva dato la tacita benedizione agli altri firmatari. Aveva anche acconsentito a una parte cruciale dell’accordo: l’uso dello spazio aereo saudita, per la prima volta nella storia, agli aerei israeliani diretti a est verso il golfo Persico. Se i sauditi avessero cambiato idea su questo punto, una parte fondamentale dell’accordo rischiava di saltare.

Netanyahu, a quanto pare, non era stato aggiornato sulla crisi in corso, ma dopo la conversazione con Mbs il suo ufficio ha subito ordinato al ministero della difesa di risolvere il problema. Quella sera un funzionario del ministero ha chiamato la sala operativa dell’Nso chiedendo di riattivare il sistema saudita, ma in mancanza di una licenza firmata, il responsabile ha respinto la richiesta. Saputo che l’ordine arrivava da Netanyahu, il dipendente dell’Nso si è fatto bastare un’email del ministero della difesa. Poco dopo Pegasus è tornato in funzione. La mattina seguente un corriere del ministero è andato alla sede dell’Nso per consegnare una licenza con timbro e sigillo.

Nel dicembre 2021, quando l’Nso era da poco finita sulla lista nera statunitense, il consigliere per la sicurezza nazionale statunitense Jake Sullivan è arrivato in Israele per un incontro con le autorità su una delle grandi priorità della politica estera dell’amministrazione Biden: un nuovo patto sul nucleare con l’Iran a tre anni dal ritiro dall’accordo deciso da Trump. C’era però un’altra questione di cui le autorità israeliane – compresi il premier, il ministro della difesa e quello degli esteri – volevano discutere: il futuro dell’Nso. Gli israeliani hanno chiesto a Sullivan quali fossero i motivi della decisione di mettere l’azienda nella lista nera. L’hanno anche avvertito che in caso di fallimento dell’Nso, la Russia e la Cina avrebbero riempito il vuoto per aumentare la loro influenza, vendendo i loro sistemi di hackeraggio ai paesi che non potevano più comprare da Israele.

Yigal Unna, ex capo della direzione nazionale informatica di Israele, è convinto che il provvedimento contro le aziende israeliane, seguito da uno simile preso da Facebook, sia parte di un piano per neutralizzare il vantaggio di Israele sulle armi informatiche: “Dobbiamo prepararci a una battaglia per difendere il buon nome che ci siamo guadagnati onestamente”. I funzionari dell’amministrazione Biden smentiscono questa ipotesi complottistica, spiegando che la decisione sull’Nso è stata presa unicamente per tenere a freno un’azienda ritenuta pericolosa e non ha niente a che fare con le relazioni tra Stati Uniti e Israele. Nell’alleanza decennale tra i due paesi, dicono, ci sono in ballo cose più importanti delle sorti di un’azienda informatica.