I palestinesi sono nativi americani: è ora di correggere il linguaggio della storia

I palestinesi sono nativi americani, non nella loro presunta propensione a essere “spazzati via”, ma nel loro orgoglio, resilienza e continua ricerca di uguaglianza e giustizia.

Fonte: English version

Di Ramzy Baroud – 16 novembre 2022 

Immagine di copertina: Un murale dell’artista navajo Remy denuncia l’occupazione israeliana della Palestina. (Foto: in dotazione)

In una recente conferenza svoltasi a Istanbul che ha riunito molti studiosi e attivisti palestinesi per discutere la ricerca di una narrazione comune sulla Palestina, un membro palestinese del pubblico ha dichiarato, alla fine di un breve ma focoso intervento, “non siamo pellerossa”.

Il riferimento era relativamente vecchio. È stato attribuito all’ex leader palestinese Yasser Arafat durante un’intervista nel suo ufficio a Ramallah dove era stato confinato con la forza e circondato, due anni prima, dall’esercito israeliano che aveva nuovamente invaso la popolosa città palestinese. Nell’intervista, il capo dell’OLP e presidente dell’Autorità palestinese (AP) affermò che, nonostante il tentativo di Israele di sradicare il popolo palestinese, sarebbero rimasti saldi. Israele “non è riuscito a spazzarci via”, disse Arafat, aggiungendo, “non siamo pellerossa”.

Sebbene l’intenzione di Arafat non fosse quella di denigrare o insultare le comunità dei nativi americani, la dichiarazione, spesso estrapolata dal contesto, difficilmente riflette la profonda solidarietà tra i palestinesi e le lotte di liberazione nazionale, comprese le lotte indigene in tutto il mondo. Ironia della sorte, Arafat, più di ogni altro leader palestinese, strinse legami con numerose comunità nel Sud del mondo e, di fatto, in tutto il mondo. Una generazione di attivisti collegò Arafat alla loro prima presa di coscienza, poi al coinvolgimento nei movimenti di solidarietà con la Palestina.

Ciò che mi ha sorpreso è che il commento sul fatto che i palestinesi non sono ‘pellerossa’ è stato citato più volte e ha suscitato applausi da parte del pubblico, interrotti solo quando l’organizzatore della conferenza, un rispettato professore palestinese, ha dichiarato frustrato: “non sono né ‘rossi’ né indiani.” In effetti, non lo sono. In realtà, sono gli alleati naturali del popolo palestinese, come numerose comunità indigene che hanno sostenuto attivamente la lotta palestinese per la libertà.

L’apparentemente piccolo incidente o l’infelice scelta delle parole, tuttavia, rappresentano una sfida molto più grande per i palestinesi, mentre stanno cercando di ravvivare un nuovo discorso sulla liberazione palestinese che non sia più ostaggio del linguaggio egoista delle élite dell’Autorità Palestinese a Ramallah.

Da diversi anni, una nuova generazione di palestinesi combatte su due fronti diversi: contro l’occupazione militare e l’apartheid israeliani, da un lato, e contro la repressione dell’Autorità Palestinese, dall’altro. Affinché questa generazione riesca a rivendicare la lotta per la giustizia, deve anche rivendicare un discorso unificante, non solo per ricollegare le proprie comunità frammentate in tutta la Palestina storica, ma anche per ristabilire linee solidali di comunicazione in tutto il mondo.

Dico “ristabilire”, perché la Palestina è stata un denominatore comune di molte lotte nazionali e indigene nel Sud del mondo. Questo non fu un risultato casuale. Per tutti gli anni ’50, ’60 e ’70, feroci guerre di liberazione furono combattute in tutti i continenti, portando nella maggior parte dei casi alla sconfitta delle tradizionali potenze coloniali e, in alcuni casi come Cuba, Vietnam e Algeria, alla vera decolonizzazione. Essendo la Palestina un caso composto di imperialismo occidentale e colonialismo sionista, la causa palestinese fu abbracciata da numerose lotte nazionali. Era, e rimane, un crudo esempio di pulizia etnica, genocidio, apartheid e ipocrisia sostenuto dall’occidente, ma ha anche ispirato la resistenza indigena.

Fazioni, intellettuali e attivisti dell’OLP erano conosciuti e rispettati in tutto il mondo come ambasciatori della causa palestinese. Tre anni dopo il suo assassinio da parte del Mossad israeliano in un’autobomba a Beirut, il romanziere palestinese Ghassan Kanafani ricevette postumo il Premio annuale Lotus per la letteratura dall’Unione degli scrittori asiatici e africani come delineazione della lotta comune tra i popoli di entrambi i continenti. La Palestina non solo è servita da collegamento fisico tra l’Asia e l’Africa, ma è anche servita da collegamento intellettuale e di solidarietà.

I paesi arabi, che hanno anch’essi combattuto dolorose ma eroiche guerre di liberazione nazionale, hanno svolto un ruolo importante nella centralità della Palestina nei discorsi politici dei paesi africani e asiatici. Molti paesi non arabi hanno sostenuto cause arabe collettive, in particolare quella palestinese, alle Nazioni Unite, hanno spinto per l’isolamento di Israele, hanno sostenuto i boicottaggi arabi e hanno persino ospitato uffici e combattenti dell’OLP. Quando i governi arabi iniziarono a cambiare le loro priorità politiche, queste nazioni, tristemente ma non sorprendentemente, ne seguirono l’esempio.

I massicci cambiamenti geopolitici dopo la Guerra Fredda a favore del campo occidentale guidato dagli Stati Uniti, hanno avuto un impatto profondo e negativo sulle relazioni della Palestina con gli arabi e il resto del mondo. Ha anche diviso i palestinesi, localizzando la lotta palestinese in un processo che sembrava essere determinato principalmente solo da Israele. Gaza è stata posta sotto un assedio permanente, la Cisgiordania è stata frammentata da numerosi insediamenti ebraici illegali e posti di blocco militari, Gerusalemme è stata completamente inghiottita e i palestinesi in Israele sono diventati vittime di uno stato di polizia che si definiva principalmente su basi razziali.

Abbandonati dal mondo e dalla loro stessa leadership, oppressi da Israele e sconcertati da eventi straordinari al di fuori del loro controllo, alcuni palestinesi si sono rivoltati l’uno contro l’altro. Questa è stata l’era della faziosità.  La faziosità palestinese è più grande di Fatah e Hamas, Ramallah e Gaza. Altrettanto pericolosi per la politica egoista sono i numerosi discorsi provvisori che ha sposato, che non sono governati da alcuna strategia collettiva o narrativa nazionale inclusiva.

Quando l’OLP fu cacciata dal Libano in seguito all’invasione israeliana e alla guerra, la natura della lotta palestinese si trasformò. Con sede in Tunisia, l’OLP non era più in grado di presentarsi come leader di un movimento di liberazione in senso pratico. Gli Accordi di Oslo del 1993 furono il risultato di questo esilio politico e della successiva emarginazione.  Accentuarono anche una tendenza già esistente in cui una vera e propria guerra di liberazione si trasformò in una forma corporativa di liberazione, fame di fondi, falso status e, peggio, resa negoziata.

Questo è ormai familiare e riconosciuto da molti palestinesi. Meno discusso, tuttavia, è che quasi quarant’anni di questo processo hanno lasciato i palestinesi con un discorso politico diverso da quello presente per decenni prima di Oslo.

Indubbiamente, i palestinesi sono consapevoli della necessità di un nuovo linguaggio liberato. Questo non è un compito facile, né è un processo generato in modo casuale. L’indottrinamento derivante dalla cultura di Oslo, dal linguaggio delle fazioni, dal discorso politico provinciale delle varie comunità palestinesi, ha lasciato i palestinesi con strumenti limitati attraverso i quali esprimere le priorità della nuova era. L’unità non è un documento politico. Nemmeno la solidarietà internazionale. È un processo plasmato da un linguaggio che dovrebbe essere parlato collettivamente, inesorabilmente e con coraggio. In questa nuova lingua, i palestinesi sono nativi americani, non nella loro presunta propensione a essere “spazzati via”, ma nel loro orgoglio, resilienza e continua ricerca di uguaglianza e giustizia.

 

Ramzy Baroud è giornalista ed editore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, coeditato con Ilan Pappé, è “Our Vision for Liberation: Engaged Palestines Leaders and Intellectuals Speak out”. Il Dott. Baroud è Senior Research Fellow non residente presso il Center for Islam and Global Affairs (CIGA).

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” – Invictapalestina.org