Nel mezzo del blocco israeliano su Gaza, la flotta peschereccia arranca

Il blocco israeliano che limita il movimento degli abitanti di Gaza fuori dalla striscia e ostacola le importazioni, o le vieta completamente, è stato devastante per l’industria della pesca dell’enclave.

Fonte: English version

Di Raja Abdulrahim – 27 novembre 2022

Immagine di copertina: Un pescatore palestinese trasporta il suo pescato dopo un’uscita in mare lungo la Striscia di Gaza. Credito. Samar Abu Elouf per il New York Times

GAZA CITY, Gaza — Non lontano dal porto, nella Striscia di Gaza, si trova il  cimitero delle barche: due file di pescherecci spiaggiati che nemmeno l’ingegnosità di Gaza riesce a salvare.

Motori ed eliche sono stati smontati. Su più di due dozzine di barche da pesca la vernice blu, verde e gialla, un tempo brillante,si sta staccando.  Su alcune la fibra di vetro  sembra come se fosse stata grattata via.

Le barche hanno cominciato ad accumularsi a Gaza 15 anni fa dopo che Israele, aiutato dall’Egitto, impose nel 2007 un blocco terrestre, aereo e marittimo alla piccola enclave costiera palestinese . Il blocco limita gravemente il movimento degli abitanti di Gaza fuori dalla striscia e ostacola le importazioni o le impedisce completamente, comprese le attrezzature mediche e il materiale da costruzione.

Per i pescatori di Gaza, il blocco ha impedito di acquistare motori, eliche, fibra di vetro e molti altri elementi necessari per riparare le barche e mantenere una flotta peschereccia funzionante. Ha danneggiato una parte vitale anche se in contrazione dell’economia della Striscia, limitando al contempo l’offerta di una parte importante ma sempre più fuori portata dell’alimentazione locale.

Le riparazioni e la manutenzione che una volta erano facili e convenienti sono diventate troppo costose o scarse, costringendo alcuni pescatori a rinunciare e abbandonare nel cimitero le loro irrecuperabili imbarcazioni .

“Questa è una guerra contro i nostri mezzi di sussistenza”, ha detto Miflih Abu Rial, pescatore e funzionario del sindacato dei pescatori, in piedi sulla prua di una delle barche della sua famiglia, che è nel cimitero da anni.

Miflih Abu Rial al cimitero delle barche nel porto di Gaza. Credito. Samar Abu Elouf per il New York Times

Funzionari di Gaza e dell’industria ittica avvertono che se le restrizioni israeliane non verranno allentate, il settore della pesca della Striscia potrebbe collassare completamente nei prossimi anni, poiché sempre più imbarcazioni verranno rottamate.

Israele afferma che il blocco e le restrizioni sono per la sua sicurezza e hanno lo scopo di impedire ad Hamas, che controlla Gaza, e ad altri gruppi militanti di importare oggetti “a doppio uso”, prodotti che secondo Israele possono essere utilizzati sia per scopi civili che militari.

“Alcuni articoli che servono l’industria della pesca sono definiti come materiali a duplice uso”, ha affermato in una nota l’Amministrazione Civile, il ramo civile dell’occupazione militare israeliana nei Territori Occupati.

Il blocco di Israele ha devastato l’economia di Gaza, in cui la povertà è diffusa e la disoccupazione si aggira intorno al 50%. Funzionari palestinesi e gruppi per i diritti umani sostengono da tempo che il blocco equivale a una punizione collettiva dei due milioni di abitanti di Gaza nell’enclave densamente popolata.

“Il settore della pesca ora lavora al 50% della capacità e diminuisce ogni giorno”, ha affermato Jehad Salah, capo della direzione della pesca a Gaza. “Quando vietano le attrezzature necessarie per la manutenzione, costringono le persone ad abbandonare questo settore”.

Il mercato del pesce al porto di Gaza. Credito. Samar Abu Elouf per il New York Times

Un funzionario dell’ONU ha affermato che un programma avviato dalle Nazioni Unite per consentire l’invio di materiali di manutenzione e riparazione è stato finalmente messo in atto dopo mesi di negoziati.

L’accordo consente ai singoli pescatori di richiedere ordini di materiali a duplice uso necessari per riparare le loro barche. Ogni richiesta deve essere approvata sia dalla parte palestinese che da quella israeliana. Una volta approvato, i pescatori possono effettuare l’ordine e l’importazione e la distribuzione dei materiali sarà supervisionata dalle Nazioni Unite.

Finora solo poche decine di pescatori hanno avuto l’approvazione dei loro ordini.

Il 13 novembre, il primo lotto di materiali è entrato a Gaza, il primo dal 2007, una spedizione che includeva 500 libbre (227 kg) di fibra di vetro, 1.100 libbre (500 kg) di resina poliestere e un totale di 70 libbre (32 kg) di vernice blu, bianca e gialla.

Il mese prossimo, saranno ammessi anche i motori, ha detto Salah, aggiungendo che si riservava il giudizio sul successo del programma.

L’Amministrazione Civile israeliana ha detto che i materiali saranno consegnati sotto stretta sicurezza e sorveglianza.

Per i pescatori di Gaza, l’effetto negativo del blocco è multiplo. Oltre ai limiti all’ingresso di merci, il blocco navale limita la distanza che i pescatori possono raggiungere nel Mediterraneo e quindi la quantità e il tipo di pesce che possono pescare.

I pescatori rischiano di essere colpiti dalla guardia costiera israeliana e di essere detenuti o che le loro barche vengano confiscate da Israele se si avvicinano troppo ai confini delle zone di pesca consentite. Secondo le Nazioni Unite, quest’anno ci sono stati più di 300 attacchi armati della guardia costiera israeliana, con 14 pescatori feriti. Almeno 47 sono stati arrestati.

pescatori scaricano il pescato per la vendita al porto di Gaza. Credito. Samar Abu Elouf per il New York Times

Con scarso sollievo dal blocco, i pescatori di Gaza arrancano, mantenendo le loro imbarcazioni semifunzionanti grazie a una combinazione di parti usate recuperate da altre navi, parti modificate di auto e camion che non sono fatte per resistere al mare salato e occasionalmente ricambi di contrabbando. Ma il mercato nero si è per lo più interrotto dopo che il Presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi ha distrutto i tunnel di contrabbando tra il suo paese e Gaza.

Nel giugno 2016, i fratelli di Abu Rial, il pescatore, erano su una delle otto barche di proprietà della loro famiglia quando questa è stata sequestrata in mare dalle forze israeliane. La barca fu restituita loro quasi due anni dopo, ma necessitava di ampie riparazioni per renderla nuovamente navigabile. La famiglia non aveva i soldi, né poteva trovare le parti necessarie, quindi la barca fu abbandonata nel cimitero.

Ora Abu Rial, 44 anni e pescatore di terza generazione, usa un’altra vecchia barca con un motore che è rimasto fermo negli ultimi due anni. A volte il meccanico deve ripararlo tre volte a settimana. Altre volte, Abu Rial passa settimane senza pescare perché il motore non funziona.

Recentemente, ha dovuto vendere alcuni dei gioielli della moglie per fare fronte alle spese.

“Dopo aver riparato il motore, prego solo che duri una settimana o anche un giorno”, ha detto, in piedi fuori dal magazzino della sua famiglia al porto. All’interno, le pareti sono ricoperte di graffiti scarabocchiati dai loro figli, che ogni tanto visitano il porto per iniziare ad imparare il mestiere di famiglia. Un frigorifero arrugginito appoggiato sul retro è pieno di pezzi di ricambio di vecchie barche.

 

Jamal Tolba, un meccanico, a sinistra, cerca di riparare il motore di un peschereccio della famiglia Rial nel porto di Gaza. Credito. Samar Abu Elouf per il New York Times

Più in basso nel porto, lungo un frangiflutti costruito con le macerie delle precedenti guerre a Gaza tra Hamas e Israele, la barca di Methat Redwan Bakir è rimasta ferma per anni.

“Gli israeliani l’hanno tenuta sotto sequestro per tre anni restituiendocela senza reti, senza motore e senza luci”, ha detto. “Non si è mossa da quando ci è stata restituita”.

Il fratello di Bakir e altri 11 pescatori erano sulla barca nel 2016 lungo il confine di pesca settentrionale quando futono attaccati dalla guardia costiera israeliana, che  sparò  con cannoni ad acqua contro la barca, ha detto. La barca  fu  confiscata e tutti i 12 membri dell’equipaggio furono arrestati. Dieci di loro  furono  rilasciati il ​​giorno dopo e il fratello di Bakir è stato detenuto per 18 giorni prima di essere rilasciato. Un altro uomo è stato imprigionato per cinque anni.

Per decenni, la barca ha sostentato cinque famiglie con le quali potevano guadagnare fino a 1.000 dollari/euro al giorno dalla pesca.

Sarebbe costata a Bakir, 57 anni, padre di quattro figlie, diverse migliaia di dollari per aggiustarla. Decise di dismetterla.

Nelle verdi acque torbide nelle vicinanze, Bakir ha visto un gruppo di giovani imparare il mestiere, lavorando per dipanare le reti da pesca e preparandosi ad andare in mare aperto. Ma non è chiaro per quanto tempo questo settore possa ancora sopravvivere.

Pescatori rammendano le reti prima di salpare. Credito. Samar Abu Elouf per il New York Times

Ora, Bakir pesca su una barca a fondo piatto lunga sei metri con un motore di 20 anni che si guasta tutte le volte che esce in mare. E invece di usare le reti, si affida a un rudimentale insieme di attrezzature: canne da pesca, bottiglie di plastica ed esche multiple.

Nella sabbia accanto alla sua barca c’è un piccolo striscione di una passata protesta di solidarietà: “Viva la Palestina”, si legge, e: “Fine all’Occupazione”.

Con un numero sempre minore di motori funzionanti a Gaza, un numero crescente di pescatori sta utilizzando barchini a remi per continuare la loro attività. In qualsiasi mattina, si possono vedere uomini in piedi su barchini per due persone, carichi di reti, che escono in mare.

“I barchini sono una cosa nuova, ma è molto pericoloso”, ha affermato Salah, direttore della pesca.

Ashraf Al-Aawoo, 47 anni, usa un barchino da mesi dopo che la sua imbarcazione è diventata inutilizzabile.

Ma un giorno di primavera, lui e un compagno trovarono pesce in abbondanza. La rete si riempiva di pesce ma il piccolo barchino non poteva sopportare il peso pesante e affondò.

Un pescatore su un barchino a remi all’alba all’interno del porto di Gaza. Credito. Samar Abu Elouf per il New York Times

Ashraf Al-Aawoo, profondamente abbronzato da una vita in mare e sotto il sole, ha dovuto nuotare per più di un miglio per tornare a riva con i suoi compagni di pesca.

La guardia costiera di Gaza ha recuperato il barchino.

Anche se avesse i soldi per ripararlo, a Gaza non c’è nessuna fibra di vetro da comprare, ha detto Al-Aawoo.

Per la frustrazione, ha trascinato il barchino dalla spiaggia sabbiosa all’ingresso del porto e lo ha lasciata sul ciglio della strada come testimonianza, come una continuazione del cimitero per un’altra barca di Gaza.

Raja Abdulrahim è corrispondente da Gerusalemme per il New York Times, e scrive della Cisgiordania occupata, di Gaza e di Israele con particolare attenzione agli affari palestinesi. In precedenza è stata corrispondente da Londra e Beirut e ha collaborato da Siria, Libia ed Egitto per il Wall Street Journal e il Los Angeles Times.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org