Il “cessate il fuoco temporaneo” significa rendersi conto di quanto abbiamo perso

Per la popolazione di Gaza, la tregua di quattro giorni ha solo offerto la possibilità di comprendere appieno ciò che ha passato: “Solo oggi ci siamo resi conto che se ne sono andati. Solo oggi qui sentiamo la presenza della morte”.

Fonte: English version

Tareq S.Hajjaj – 25 novembre 2023

Immagine di copertina: Palestinesi tornano nel distretto di Khuza’a, alla periferia orientale di Khan Younis, per ispezionare le loro case dopo settimane di bombardamenti israeliani, 24 novembre 2023 (Foto: Omar Ashtawy/APA Immagini)

Le strade si sono improvvisamente riempite. Le persone possono ora controllare gli edifici distrutti a Khan Younis, a Nuseirat, a Deir al-Balah e in altre città del sud, avendo la possibilità di avventurarsi più lontano dai loro rifugi per portare rifornimenti per le loro famiglie. Ora possono soprattutto controllare quali membri della loro famiglia sono ancora vivi, riallacciando quei contatti che erano stati interrotti dalla guerra.

Ora sono in grado di cercarsi a vicenda, di piangere insieme per ciò che hanno perso e per ciò che potrebbero ancora perdere.

Il “cessate il fuoco temporaneo”, così come viene chiamato, non significa la fine della guerra. Significa semplicemente che ci viene concesso più tempo per piangere e addolorarci.

Anche se i combattimenti immediatamente precedenti la tregua sono stati tra i più feroci dall’inizio della guerra, le persone speravano che il cessate il fuoco avrebbe consentito loro un passaggio sicuro verso nord, verso le loro case nella città di Gaza e a nord.

Ieri, di prima mattina, gli aerei da guerra israeliani hanno lanciato diversi volantini per le persone rimaste nel nord di Gaza, avvertendole di non uscire all’aperto. L’esercito israeliano ha anche chiamato a caso numeri di cellulare di residenti di Gaza City, avvertendoli di non tornare a nord. Sia i volantini che le telefonate trasmettevano lo stesso messaggio: la guerra non è finita e tornare a casa è tornare verso la morte.

Ma le famiglie che sono state dilaniate dal genocidio e hanno trascorso più di un mese sfollate, sono alla disperata ricerca di notizie sulla sorte dei loro cari rimasti. Molti desiderano anche tornare dove un tempo sorgevano le loro case, magari per recuperare ciò che possono dalle macerie, compresi rifornimenti, beni importanti e documenti.

Ahmad Lafi, 34 anni, del quartiere di Sheikh Radwan, è fuggito a sud, a Khan Younis, insieme alla moglie e ai due figli all’inizio della guerra, lasciando dietro di sé sua madre e suo padre, le sue due sorelle e i suoi due fratelli. Ha detto a Mondoweiss di aver perso i contatti con loro due settimane fa e di non avere idea se siano vivi. Né la Croce Rossa né nessun’altra organizzazione è stata in grado di aiutarlo nel suo tentativo di scoprire dove si trovassero.

Ieri ha cercato di andare a Gaza City con gruppi di altri rifugiati che cercavano di fare la stessa cosa. Quando hanno raggiunto il posto di blocco in via Salah al-Din, e prima di arrivare a meno di 100 metri dai veicoli corazzati israeliani, i soldati hanno iniziato a sparare in direzione della folla con le mitragliatrici montate sui carri armati.

Decine di persone sono cadute a terra, gravemente ferite, mentre altre sono state uccise dal fuoco delle mitragliatrici, ha detto Ahmad a Mondoweiss.  Le persone si sono voltate e hanno corso nella direzione opposta.

Durante la giornata, le autorità governative di Gaza hanno annunciato la morte di due martiri in seguito all’incidente e hanno riferito di oltre 15 persone ferite con proiettili veri alle gambe e al petto.

​I termini del cessate il fuoco consentivano il passaggio delle persone rimaste a nord verso il sud, ma lo stesso non vale per coloro che volevano andare nella direzione opposta. Gli analisti sostengono che la mancanza di tale clausola nei termini del cessate il fuoco significa che l’occupazione militare del nord di Gaza si è consolidata.

Shaher Abu Shirbi, 42 anni, è padre di sei figli ed è un rifugiato che vive in una scuola dell’UNRWA a Khan Younis. Sperava che la tregua gli avrebbe dato la possibilità di tornare a Beit Hanoun, nel nord.

“Anche se è pericoloso, voglio controllare la mia casa. Anche se è stata demolita, voglio dargli un’ultima occhiata”, ha detto Shaher a Mondoweiss.

Shaher dice che nella fretta di fuggire dal bombardamento, lui e sua moglie non erano riusciti a mettere in valigia solo poche  cose e avevano lasciato dietro di sé oggetti importanti come i loro documenti d’identità e i certificati di nascita dei loro figli. Inoltre, non hanno portato con sé abbastanza vestiti e con l’avvicinarsi dell’inverno faticano a trovare vestiti più caldi da indossare.

in mezzo alla morte e alla distruzione, forse per alcuni queste priorità non sembrano così essenziali. Ma una volta entrato in vigore, il cessate il fuoco, indipendentemente da ciò che la gente ne pensava, ha avuto l’effetto di dare ad alcune persone un briciolo di speranza. Alcune famiglie rimaste nel nord durante i combattimenti hanno scelto di rimanervi anche dopo la fine del cessate il fuoco. Ma quelle famiglie hanno  avuto poca tregua, perché l’accordo ha solo offerto loro la possibilità di comprendere appieno la portata di ciò che hanno perso.

Shahd Matar, che ha perso due dei suoi fratelli durante un attacco aereo nel campo profughi di Jabaliya, dove vive ancora con la sua famiglia, ha scritto su Facebook durante il cessate il fuoco:

“La tregua, per noi, ha trasformato la nostra casa in un’impresa di pompe funebri, poiché le persone hanno iniziato a venire per esprimere le loro condoglianze. Per la prima volta durante la guerra e dopo la morte dei miei due fratelli, i nostri vicini e i nostri amici sono accorsi per esprimere le loro condoglianze a me e a mia madre”, ha detto.

“Ma mia madre ha preso l’abitudine di sedersi in un angolo della casa e non riesce a smettere di piangere”, ha continuato Shahd. “Solo oggi ci siamo accorti che non ci sono più. Solo oggi sentiamo qui la presenza della morte”.

 

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org