Per i media occidentali contano solo le vite degli israeliani

Nei principali media anglo-americani l’uccisione dei palestinesi è considerata normale. Sono solo le vite israeliane che contano.

Fonte: English version

Di Des Freedman – 1 febbraio 2024Immagine di copertina: Distruzione dell’attacco aereo israeliano nella Striscia di Gaza, 17 ottobre 2023. (Fars Media Corporation, Wikimedia Commons, CC BY 4.0)

Ventiquattro soldati israeliani sono stati uccisi in due distinti incidenti a Gaza il 22 gennaio. I principali media di tutto il mondo hanno reagito all’unisono: questo è stato il “giorno più mortale” per Israele dal 7 ottobre.

Questa esatta frase è stata usata nei titoli del 23 gennaio riportati da agenzie di stampa come Reuters e AFP e da importanti emittenti tra cui BBC, CBS, NBC, CNN, ABC e ITV News.

La stessa identica frase è stata usata anche da importanti testate giornalistiche tra cui: New York Times, Washington Post, Wall Street Journal, Time Magazine, Daily Telegraph, Sun, Jerusalem Post, Guardian, London’s Evening Standard, Financial Times, L’Independent e Yahoo News.

Lo stesso giorno, le forze israeliane hanno ucciso quasi 200 palestinesi a Gaza, di cui almeno 65 solo a Khan Younis.

Queste morti non hanno ricevuto titoli sui giornali di cui sopra. Dove sono stati segnalati, sono stati elencati come parte del regolare resoconto quotidiano degli eventi di un Genocidio in corso che ha visto più di 26.000 persone uccise a Gaza.

Come è possibile che i media di tutto il mondo possano utilizzare esattamente la stessa frase in relazione alle vittime israeliane, ma ignorare in gran parte l’entità del numero molto più elevato di palestinesi uccisi?

Perché il 22 gennaio dovrebbe essere descritto come “mortale” per un gruppo di persone ma non per un altro?

Iniquità

Ci si potrebbe aspettare che gli editori abbiano preso la frase “il giorno più mortale” dalle dichiarazioni alla stampa del governo o dell’esercito israeliano.

Eppure il Portavoce delle Forze di Difesa Israeliane (IDF) Daniel Hagari non ha usato questa frase nella sua dichiarazione e nemmeno il Capo di Stato Maggiore dell’esercito Herzi Halevi, che invece l’ha semplicemente definita una “giornata difficile”.

Anche il Primo Ministro Benjamin Netanhayu lo ha descritto come “uno dei giorni più difficili”, mentre il Presidente israeliano Isaac Herzog ha parlato di “una mattinata insopportabilmente difficile”. Hanno usato lo stesso linguaggio sia il presidente della Knesset Amir Ohana che il Ministro Benny Gantz, entrambi i quali hanno parlato di una “mattinata dolorosa”.

Naturalmente, è possibile che la frase sia stata usata in comunicati privati ​​e informali alla stampa la mattina del 23 gennaio. È, tuttavia, altrettanto concepibile che si trattasse di una ricorrenza derivata “naturalmente” da un’idea profondamente radicata nei media occidentali che le vite di israeliani e palestinesi non hanno lo stesso valore.

E, quindi, la misurazione della “mortalità” di un particolare giorno dovrebbe essere fatta solo per gli israeliani (dove ogni vita conta) e non per i palestinesi (le cui vite sembrano chiaramente contare di meno).

“Il giorno più mortale”

Infatti, una ricerca nella banca dati Nexis delle notizie nazionali e locali del Regno Unito (compresi i bollettini trasmessi dalla BBC) rivela che ci sono stati 856 usi della frase “il giorno più mortale” dal 7 ottobre 2023 al 25 gennaio, nessuno dei quali si riferiva direttamente al numero delle vittime palestinesi a Gaza.

L’unica eccezione a ciò sono stati alcuni bollettini della BBC del 25 ottobre che recitavano: “I palestinesi hanno denunciato il giorno più mortale a Gaza”.

Altrimenti, durante questo periodo, nei media britannici non c’è stato un solo riferimento al “giorno più mortale per i palestinesi” o “per la popolazione di Gaza”.

Gli altri circa 850 riferimenti riguardano direttamente solo le vittime israeliane. Circa il 28% di loro si è concentrato sull’uccisione dei soldati dell’IDF il 22 gennaio.

La stragrande maggioranza si riferiva agli eventi del 7 ottobre, descrivendoli come “il giorno più mortale per gli ebrei” o “il giorno più mortale per il popolo ebraico”, che rappresentava circa il 25% di tutti i riferimenti.

Molte di queste storie erano incentrate sulle parole del Presidente americano Joe Biden che, in un discorso molto pubblicizzato ai leader ebrei alla Casa Bianca, descrisse l’attacco di Hamas del 7 ottobre come “il giorno più mortale per gli ebrei dai tempi dell’Olocausto”.

Le sole parole di Biden costituiscono il 20% di tutti i riferimenti al ricorrente “giorno più mortale”.

Forse le parole di Biden erano nella mente degli editori di tutto il mondo mentre ascoltavano i portavoce israeliani la mattina del 23 gennaio e che la morte di 24 soldati dell’IDF meritava una frase del genere quando si parlava delle vite israeliane.

Inquadrare la guerra

Ma perché l’espressione non è stata usata in relazione ai palestinesi e, anzi, perché c’è così poca preoccupazione per i giorni in cui vengono uccisi un numero particolarmente elevato di abitanti di Gaza?

Proprio perché la guerra non è strutturata in modo tale da riconoscere lo stesso valore di tutte le persone colpite, in altre parole, una situazione in cui ogni caso di significative vittime palestinesi meriterebbe un titolo di prima pagina, è difficile essere certi di quali siano stati i giorni più mortali per la popolazione di Gaza.

Tuttavia, è chiaro che il periodo immediatamente successivo al cessate il fuoco temporaneo dell’ultima settimana di novembre ha visto attacchi aerei particolarmente intensi e che, secondo Al Jazeera, solo il 2 dicembre sono stati uccisi almeno 700 palestinesi.

Eppure non c’era alcuna menzione nei media britannici che questo sarebbe stato il “giorno più mortale” per i palestinesi. Invece, il Guardian titolava semplicemente: “Israele dice che le sue forze di terra stanno operando in tutta Gaza” mentre il Sunday Times titolava: “Timori per gli ostaggi mentre gli abitanti di Gaza lamentano che i bombardamenti sono più intensi che mai”.

Il Mail Online scriveva: “Israele dice che sta ampliando le sue operazioni di terra contro le roccaforti di Hamas in tutta la Striscia di Gaza mentre l’IDF continua a bombardare il territorio dopo che i terroristi hanno rotto la fragile tregua”.

I notiziari televisivi della BBC del 3 dicembre riportavano filmati angoscianti di vittime, ma contenevano anche una citazione di un consigliere di Netanyahu che affermava che “Israele stava facendo il ‘massimo sforzo’ per evitare di uccidere civili” senza fornire una confutazione immediata di questa affermazione oltraggiosa.

In altre parole, nonostante il fatto che il 2 dicembre siano stati uccisi 30 volte più palestinesi rispetto a quando i 24 soldati dell’IDF furono uccisi il 22 gennaio, non vi è stato alcun riconoscimento della “mortalità” tra i palestinesi di quel giorno.

Invece, l’inquadramento era incentrato sui piani strategici dell’esercito israeliano piuttosto che sul massacro di massa dei palestinesi.

“Bombardamenti a tappeto”

Il 26 dicembre altre 241 persone furono uccise dalle bombe israeliane. Il “giornale di riferimento” britannico, il Times, ha risposto con il titolo: “Guerra Israele-Gaza: I palestinesi colpiti da massicci bombardamenti” con un sottotitolo: “Israele lancia l’attacco più intenso dall’attacco di Hamas del 7 ottobre”.

Si potrebbe essere perdonati per aver pensato che non c’era nulla di mortale in questo episodio perché, dopo tutto, i palestinesi venivano solo “colpiti” invece di essere brutalmente uccisi.

Ma questo non è stato certo un giorno eccezionale dato che Oxfam aveva riferito all’inizio di quest’anno che l’esercito israeliano stava uccidendo palestinesi ad un ritmo medio di 250 persone al giorno, una cifra che secondo Oxfam superava il bilancio delle vittime giornaliere di qualsiasi altro grande conflitto degli ultimi anni.

C’è chiaramente una politica brutale nel contare i morti. Il New York Times ha pubblicato un articolo il 22 gennaio intitolato: “Il calo delle vittime a Gaza”, sostenendo che i decessi giornalieri medi in un periodo di 30 giorni sono ora scesi al di sotto di 150.

Per il New York Times, è “plausibile che tra i civili ci sia una percentuale inferiore di morti ora che gli attacchi di Israele sono diventati più mirati e il bilancio medio giornaliero è diminuito”.

Non solo, tuttavia, ci sono poche prove che l’IDF sia in qualche modo contrario all’uccisione di civili, ma l’idea che le vittime stiano diminuendo in un momento in cui probabilmente arriveremo presto ad una cifra di 30.000 morti palestinesi è profondamente scioccante.

Qualsiasi rallentamento nel tasso di uccisioni non è certo una consolazione per i milioni di persone che ancora vivono nella paura delle incursioni e dei bombardamenti dell’IDF.

Concordanza dei media

Il concordare dei media secondo cui solo gli israeliani sono le vittime dei “giorni più mortali” nella regione e non i palestinesi, nonostante questi ultimi rappresentino il 95% delle morti dal 7 ottobre, è uno dei tanti esempi della copertura ineguale e profondamente distorta di questa guerra.

Fino a quando il governo sudafricano non ha presentato la sua richiesta, parzialmente accolta, alla Corte Internazionale di Giustizia, le testate giornalistiche non erano disposte nemmeno a indagare sul linguaggio genocida dei leader politici e militari israeliani.

I media usano abitualmente anche un linguaggio disumanizzante e differenziale in cui gli israeliani vengono “massacrati” mentre i palestinesi semplicemente “muoiono”. Ciò illustra il terribile ruolo dei media tradizionali nel spianare la strada alla Pulizia Etnica a cui stiamo assistendo attualmente.

La vera ragione per cui non si vedono né sentono i media parlare di un “giorno mortale” per i palestinesi è che ogni giorno è mortale quando si vive a Gaza.

Des Freedman è professore di media e comunicazione presso l’Università Goldsmiths di Londra e membro fondatore della Media Reform Coalition (Unione per la Riforma dei Media).

Traduzione di Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org