L’obiettivo finale di Netanyahu e le ambizioni regionali dell’estrema destra israeliana

Gli eventi degli ultimi giorni suggeriscono che potremmo vedere prendere forma l’obiettivo finale di Israele. Gli obiettivi del governo di estrema destra di Netanyahu non si limitano a Gaza: vuole conquistare tutta la Palestina e iniziare una guerra anche con Hezbollah e l’Iran.

Fonte. English version

Di Mitchell Plitnick – 5 aprile 2024

Immagine di copertina: Un manifesto elettorale a Tel Aviv mostra, da sinistra, Itamar Ben-Gvir, Benjamin Netanyahu e Bezalel Smotrich. (Foto: Jamal Awad/Flash90)

Nonostante quello che dice in pubblico, il governo Netanyahu sa che Hamas non può essere eliminato con la forza e che il tentativo di farlo non farà altro che radicalizzare molte più persone, sia in Palestina che nel mondo, contro Israele. Queste persone agiranno, violentemente o meno, contro Israele negli anni a venire. Solo uno sciocco non lo capisce. E qualunque sia la dirigenza israeliana, non sono degli sprovveduti. Allora qual è il loro scopo finale?

Hanno chiarito che non danno priorità al rilascio degli ostaggi tenuti a Gaza. Se lo avessero fatto, avrebbero trovato da tempo una via per un cessate il fuoco per garantire il rilascio degli israeliani rapiti, una via che ha già dimostrato di essere efficace, mentre l’assalto di Israele ha già causato la morte di decine di ostaggi.

Quindi, se gli obiettivi dichiarati sono falsi, e chiaramente lo sono, resta da chiedersi quale sia realmente il fine ultimo di Israele. C’è qualche obiettivo nelle azioni israeliane che non viene dichiarato? Gli eventi degli ultimi giorni suggeriscono che potremmo vedere prendere forma il vero obiettivo.

Nel giro di pochi giorni, Israele è penetrato in profondità nel Libano per assassinare miratamente un comandante di Hezbollah; ha confiscato un vasto pezzo di terra palestinese nella Valle del Giordano; ha distrutto un consolato iraniano a Damasco, uccidendo sette consiglieri militari iraniani; e condotto una vasta operazione omicida contro i veicoli della World Central Kitchen (Centro di Cucina Mondiale), uccidendo sei operatori umanitari internazionali e un palestinese.

Questi possono sembrare eventi distinti, collegati solo dal fatto di essere stati perpetrati da un esercito israeliano che si è spinto troppo oltre, ma continua a godere del sostegno e dell’impunità da parte degli Stati Uniti e dell’Europa. Ma potrebbero esserci altri elementi che li collegano.

L’estrema destra israeliana coglie un’opportunità

È opinione diffusa, e corretta, che il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu abbia un forte incentivo a prolungare le operazioni a Gaza. C’è anche grande preoccupazione che Israele stia cercando di espandere il conflitto a Hezbollah, e forse anche all’Iran, un’allargamento dei combattimenti che potrebbe coinvolgere anche gli Stati Uniti.

I recenti eventi sembrerebbero indicare che Israele sta accelerando in quella direzione. Ed è qui che dobbiamo guardare all’ala destra israeliana, piuttosto che concentrarci sui meschini interessi personali di Netanyahu.

Per decenni, l’estrema destra israeliana ha risentito delle restrizioni sotto le quali deve operare a causa della dipendenza di Israele dal sostegno militare e politico degli Stati Uniti e dall’enorme quantità di scambi commerciali che intrattiene con l’Europa. In anni più recenti, Israele sotto Netanyahu ha lavorato per diversificare i suoi alleati commerciali e ha anche sancito maggiori accordi politici e militari con altri Paesi. Ma non è stato in grado di sostituire gli Stati Uniti e l’Europa come principali sostenitori di Israele.

Ma ora, l’estrema destra israeliana è in una posizione di potere a cui non è mai stata vicina prima. È all’apice della sua popolarità in Israele, soprattutto tra le giovani generazioni di israeliani. La Finestra di Overton* della politica israeliana si è spostata più che mai verso destra, tanto che un leader dei coloni radicali come Naftali Bennett veniva visto come un esponente del centro politico, anche se un po’ alla sua destra. (* La finestra di Overton è un approccio per identificare le idee che definiscono lo spettro di accettabilità di politiche governative. I politici possono agire soltanto all’interno dell’ambito dell’accettabile.)

Eppure prima del 7 ottobre, l’estrema destra non era ancora abbastanza potente in Israele per portare il Paese completamente nel campo estremista. Il suo tentativo di farlo è stato accolto con una reazione furiosa e implacabile in tutto il Paese, le manifestazioni regolari a cui tutti abbiamo assistito.

Ma l’attacco di Hamas ha cambiato radicalmente le cose. Per gli estremisti dei partiti Likud, Potere Ebraico e Sionismo Religioso si era presentata un’occasione d’oro.

Il Paese era pervaso dalla rabbia, dall’odio e dalla paura. I principali leader del governo hanno dovuto fare tutto il possibile per sviare la colpa dei risultati catastrofici dell’attacco di Hamas dalla propria incompetenza, che aveva una parte considerevole della responsabilità del sanguinoso successo ottenuto dagli aggressori. Avrebbero agito in ogni modo possibile per incanalare la rabbia e la sete di sangue del Paese verso Gaza, per evitare che questa si rivolgesse verso l’interno e vedesse gli israeliani chiedere conto per i fallimenti dei loro leader.

Netanyahu ovviamente sarebbe completamente d’accordo su qualsiasi cosa che possa non solo permettergli di rimanere in carica, ma anche dargli l’opportunità di riprendere la guida di Israele (sebbene sia riuscito a sprecare questa opportunità). Ma, per il gruppo più ampio di ideologi di estrema destra, hanno avuto l’opportunità di mettere finalmente alla prova la loro “soluzione” preferita ai problemi di sicurezza di Israele: violenza sfrenata e illimitata.

Questo pensiero è ciò che ha guidato l’assalto a Gaza. Rendere Gaza inabitabile, spazzare via le infrastrutture civili di Gaza e uccidere decine di migliaia di palestinesi a Gaza non è solo un’espressione di violenza o rabbia. È il tentativo della destra israeliana di “vincere” la guerra del 1948. È uno sforzo per “risolvere” il “problema palestinese” spazzando via il Movimento Nazionale Palestinese.

Per quanto Hamas possa essere lontano dall’avere il sostegno della maggioranza tra i palestinesi, è arrivato a rappresentare la Resistenza armata all’Occupazione israeliana, all’esproprio e allo sfollamento dei palestinesi. Come sempre, è importante ricordare al mondo che un popolo Occupato ha il diritto alla Resistenza armata, e se Hamas o altri gruppi abbiano sempre agito entro i confini di tale diritto è una questione separata. Gaza è dove risiede la parte più ostinata del Movimento Nazionale Palestinese, l’area dove, qualunque cosa Israele gli abbia scatenato contro nel corso dei decenni, la Fermezza palestinese rimane.

Distruggendo Gaza e rafforzando la presa, e, in seguito, intensificando la violenza, sulla Cisgiordania, l’estrema destra israeliana intende porre fine agli infiniti dibattiti su una Soluzione a Due Stati rendendo la questione indiscutibile. Questo è, ovviamente, ciò che l’espansione degli insediamenti e le varie “misure di sicurezza” stanno lentamente cercando di ottenere da anni, ma il 7 ottobre ha offerto l’opportunità di accelerare quel processo, come l’estrema destra ha sempre desiderato.

Le potenze mondiali guardano altrove

Israele ha avuto una mano insolitamente libera. C’era un Presidente americano che sosteneva pienamente gli sforzi in un modo che nessun presidente aveva mai fatto prima. La Russia è troppo impegnata in Ucraina per essere di aiuto ai palestinesi o anche al loro alleato siriano. L’Europa seguirà in gran parte l’esempio americano e sta già sperimentando divisioni riguardo al suo coinvolgimento con l’Ucraina. La Cina non è coinvolta così direttamente nei conflitti esteri. Tutto ciò ha contribuito a dare a Israele la migliore opportunità che avrebbe mai potuto avere per perseguire il suo obiettivo finale, con un’interferenza minima da parte delle potenze straniere.

La loro ambizione va ben oltre Gaza. Con una mossa di cui poco si parla, due settimane fa Israele ha rubato otto chilometri quadrati di terra palestinese nella Valle del Giordano, in Cisgiordania. L’operazione è stata condotta dal Ministro delle Finanze Bezalel Smotrich dichiarandola “terreno statale”. Ha compiuto questo furto proprio il giorno in cui il Segretario di Stato americano Antony Blinken è arrivato in Israele per colloqui con Netanyahu.

Il tempismo non è stato casuale. Smotrich voleva vedere se gli Stati Uniti avrebbero risposto. Non è stato così. Questo per quanto riguarda l’impegno di Biden per una “Soluzione a Due Stati”, poiché la terra annessa fa parte dell’area intorno all’insediamento di Ma’ale Adumim che divide in due la Cisgiordania, rendendo lì uno Stato palestinese ancora più impossibile di quanto non fosse già. Anche se in realtà la Soluzione dei Due Stati è morta da tempo, Biden l’ha mantenuta come una utile fantasia. Ora ha dimostrato ancora una volta quanto sia illusorio.

Il furto di terre va di pari passo con la crescente violenza di Israele, le incursioni regolari e l’impunità che garantisce ai coloni per i loro Pogrom nei villaggi palestinesi che hanno già causato l’abbandono di molti. Un’ulteriore recrudescenza in Cisgiordania è molto probabile dopo che Israele avrà finito con Gaza.

Opportunismo regionale israeliano

Ma la destra opportunista non si ferma alla Palestina. Le sue incursioni nelle profondità del Libano hanno suscitato notevole preoccupazione anche a Washington, che teme una conflagrazione regionale. Finora Hezbollah è stato disposto a evitare una grave progressione con Israele. Ma ha rifiutato di ridispiegarsi a Nord del fiume Litani, come è obbligato a fare dalla Risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dopo la guerra del 2006, e continua a lanciare razzi, soprattutto contro obiettivi militari, nel Nord di Israele, in solidarietà con Gaza. Tutto questo finirà non appena Israele interromperà la sua Campagna Genocida.

Ma poiché Israele uccide sempre più combattenti di Hezbollah e civili libanesi, Hezbollah potrebbe sentirsi obbligato a trascinare Israele in un conflitto più intenso. Le incursioni israeliane nelle zone Nord-orientali del Libano sembrano mirate a provocare Hezbollah proprio per causare un’azione del genere.

L’obiettivo finale di trascinare Hezbollah in uno scontro più diretto con Israele è duplice: primo, eliminare la capacità di Hezbollah di affrontare Israele, e secondo, trascinare finalmente l’Iran in un conflitto frontale. Questa era molto probabilmente l’idea dietro l’attacco al consolato iraniano a Damasco all’inizio di questa settimana.

Questo concetto non sembra essere sfuggita alla Casa Bianca. Sono stati insolitamente rapidi nel rinnegare qualsiasi conoscenza o coinvolgimento nell’attacco israeliano a Damasco, ma non sono stati così rapidi nel cercare di coprire Israele in questa faccenda.

Da parte dell’Iran, non sono disposti a lasciare gli Stati Uniti fuori dai guai così facilmente. Dopo tutto, Washington li incolpa regolarmente per le azioni dei loro alleati, indipendentemente dal fatto che Teheran abbia o meno a che fare con ciò. Allo stesso modo, l’Iran ritiene responsabili gli Stati Uniti e, ogni volta che rispondono, è possibile che colpiscano le forze statunitensi nella regione, i cittadini israeliani o i siti all’estero, o entrambi.

Israele doveva sapere che questo sarebbe stato il risultato dell’attacco a Damasco. La loro argomentazione per attaccare il consolato, che è stato usato per scopi militari, era debolissima. I consolati funzionano abitualmente come punti di passaggio per le figure militari e dei servizi, per fare affari, tenere riunioni e simili. Nessuno pensa che questo li renda obiettivi legittimi.

No, si trattava di una provocazione deliberata, intesa a suscitare una risposta iraniana e contribuire a spingere gli Stati Uniti a un maggiore coinvolgimento nell’aggressione contro l’Iran.

Alcuni potrebbero considerare inverosimile che l’estrema destra israeliana, che non ha mostrato grande competenza nel pensiero strategico, e nemmeno professionalità nel governo, possa elaborare tali schemi.

Sarebbe una valutazione accurata. Ma Israele non è arrivato a questo intenzionalmente, ma piuttosto sfruttando le opportunità che si sono presentate. Il 7 ottobre è stata la chiave, dando alla destra israeliana la possibilità che ha sempre desiderato: usare una forza schiacciante e smisurata per risolvere una volta per tutte il conflitto secolare tra sionismo e nazionalismo palestinese. Man mano che l’operazione procedeva, si è sviluppata e viene colta anche l’opportunità di affrontare la nemesi regionale, l’Iran, anche se in modo più graduale poiché Israele non ha il vantaggio di una forza schiacciante contro un nemico armato e non indifeso come a Gaza.

Anche se Joe Biden ha reagito con forza all’uccisione degli operatori umanitari della World Central Kitchen, si può sperare che lui, o coloro che lo consigliano, riconoscano il pericolo che Israele rappresenta con le sue altre azioni. La rapidità con cui Washington ha negato il coinvolgimento nell’attacco di Damasco potrebbe suggerire che qualcuno alla Casa Bianca vede cosa sta succedendo. La richiesta di Biden di un cessate il fuoco a Gaza potrebbe, si può sperare, anche indicare che sta cercando di contrastare gli sforzi di Israele per trascinare gli Stati Uniti in una guerra regionale.

Questo tentativo opportunistico di Netanyahu di innescare una guerra più ampia nella speranza di sconfiggere finalmente sia i palestinesi che l’Iran è un punto in cui gli altri leader israeliani si comporterebbero diversamente. Benny Gantz, Yair Lapid, persino una figura di estrema destra sulla Palestina come Gideon Sa’ar non sono certo disposti a rischiare un danno permanente e grave alle relazioni USA-Israele e ad una guerra regionale che Israele non è affatto sicuro di vincere.

Ma Biden ha anche colto un’opportunità cinica, anche se con uno scopo potenzialmente positivo, sfruttando il disgusto dell’opinione pubblica europea e americana per l’omicidio deliberato degli operatori umanitari da parte di Israele per minacciare finalmente Netanyahu. Ciò ha già costretto Israele ad accettare di ampliare le vie attraverso le quali gli aiuti umanitari possono entrare a Gaza (ci si chiede come Biden e Blinken conciliano questo accordo con le loro ridicole affermazioni secondo cui Israele non stava violando il Diritto Internazionale bloccando gli aiuti).

Resta da vedere se Biden è davvero disposto a salvaguardare gli interessi nazionali americani ed evitare di essere trascinato nella guerra regionale che l’attuale dirigenza israeliana vuole. È ragionevole sperare che Washington ne sia consapevole, il che ha motivato il passaggio, nelle ultime settimane, ad incolpare Netanyahu e a chiedere agli israeliani di cacciarlo, un appello che Benny Gantz ha chiaramente raccolto.

Biden ha chiarito che nessuna quantità di sofferenza palestinese significa nulla per lui. Ma quando vengono uccisi europei bianchi e canadesi-americani, non ha altra scelta che reagire. Si spera che si possa dire lo stesso riguardo al tenere gli Stati Uniti fuori da una guerra regionale che non può iniziare se non c’è speranza che Israele coinvolga gli Stati Uniti. L’unico modo per evitarla, però, è fermare il Genocidio a Gaza.

Mitchell Plitnick è il presidente di ReThinking Foreign Policy (Ripensare la Politica Estera). È coautore, insieme a Marc Lamont Hill, di Ad Eccezione dellla Palestina: I Limiti della Politica Progressista (Except for Palestine: The Limits of Progressive Politics). Le precedenti posizioni di Mitchell includono vicepresidente della Fondazione per la Pace in Medio Oriente, direttore dell’ufficio statunitense di B’Tselem e co-direttore di Jewish Voice for Peace.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

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