Guerra a Gaza: la Corte Penale Internazionale deve cogliere questo momento per ritenere Israele responsabile

A lungo criticata per i suoi doppi criteri e l’inazione, la Corte ora ha una reale opportunità di richiamare Netanyahu all’ordine.

Fonte: English version

Di Richard Falk – 6 maggio 2024

Immagine di copertina: Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu parla durante una conferenza stampa congiunta a Gerusalemme il 17 marzo 2024 (AFP)

Sin dalla sua istituzione nel 2002, la Corte Penale Internazionale (CPI) ha lottato per trovare una via verso la legittimità.

La sua creazione è stata un trionfo per il Sud del Mondo nell’estendere la portata potenziale del Diritto Penale Internazionale, sebbene sia stata limitata fin dall’inizio dalla sua esistenza al di fuori del quadro formale delle Nazioni Unite e dalla mancata adesione dei “tre grandi” colossi geopolitici: Stati Uniti, Cina e Russia. In relazione alle preoccupazioni attuali, essa è anche limitata dal rifiuto di Israele di aderire alla CPI.

Nonostante la sua ampia rappresentanza, che comprende 124 Stati membri, la Corte Penale Internazionale ha lottato per ottenere riconoscimento, autorità e legittimità.

Nei suoi primi anni, è stata accusata di aver concentrato le sue attività sulle presunte malefatte dei capi di Stato africani, suggerendo un pregiudizio razzista.

Successivamente, in relazione ai presunti Crimini degli Stati Uniti in Afghanistan e di Israele nella Palestina Occupata, la Corte si è bloccata su fascicoli contenenti abbondanti prove che giustificavano, come minimo, indagini accurate per determinare se le accuse e i procedimenti penali fossero legalmente giustificati.

Poiché la Corte non ha fatto nulla, si è creata l’impressione che la CPI fosse troppo debole per resistere alle pressioni occidentali. La sua inazione è stata in parte attribuita al radicale ultranazionalismo della presidenza Trump, che ha avuto l’ardire di imporre sanzioni al suo Procuratore nel tentativo di impedire indagini su Stati Uniti e Israele.

La storia continua, ma con colpi di scena. Quando la Russia attaccò l’Ucraina nel 2022, la Corte Penale Internazionale fu chiamata dalla NATO ad agire con una rapidità insolita. Ha obbligato, accelerando le sue procedure, ad andare avanti con una decisione sull’opportunità o meno di incriminare il Presidente russo Vladimir Putin per Crimini di Guerra, che ancora una volta sembra servire gli interessi dell’Occidente, e ha rapidamente emesso un mandato di arresto.

Reputazione di debolezza

Tale fretta non è stata evidente nella risposta della Corte Penale all’iniziativa legale di Cile e Messico sulla catastrofe umanitaria in corso a Gaza, con i due governi che chiedevano alla Corte di indagare sulle violazioni di Israele contro i civili.

Finora la Corte non ha risposto a questa iniziativa urgente, anche se si ritiene che sia sul punto di farlo. Il Procuratore Karim Khan, sospettato di simpatie occidentali, è sotto crescente pressione affinché agisca di fronte alla sempre più grave catastrofe umanitaria di Gaza.

Questa differenza nella risposta della Corte ha rafforzato l’impressione di doppi criteri nel trattamento da parte del tribunale delle accuse di Crimini internazionali.

La Corte Penale Internazionale è ampiamente considerata un’istituzione debole, soprattutto perché non ha ottenuto fin dall’inizio la partecipazione o la cooperazione degli stati chiave. A questo proposito è stata paragonata sfavorevolmente alla Corte Internazionale di Giustizia, di cui tutti i membri delle Nazioni Unite sono automaticamente parti.

La Corte Internazionale di Giustizia è ampiamente rispettata per il suo mantenimento di un elevato livello di professionalità nella valutazione del merito delle controversie legali sottoposte a giudizio. Questa reputazione positiva è stata notevolmente rafforzata dai suoi ordini provvisori quasi unanimi di gennaio e marzo, che hanno concesso diverse misure provvisorie richieste dal Sudafrica per impedire il “Genocidio plausibile” di Israele a Gaza.

A Israele è stato giuridicamente ordinato di consentire che gli aiuti umanitari raggiungano i civili palestinesi senza interferenze, almeno fino a quando la Corte Internazionale di Giustizia non avrà raggiunto un giudizio finale sul merito della questione del Genocidio, in un processo che dovrebbe durare diversi anni, riducendo in larga misura la rilevanza del suo giudizio.

Oltre alla conclusione della Corte Internazionale di Giustizia secondo cui Israele potrebbe plausibilmente commettere un Genocidio a Gaza, la Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sulla Palestina, Francesca Albanese, ha recentemente pubblicato un rapporto: “Anatomia di un Genocidio”.

Eppure, nonostante gli ordini legali che impongono a Israele di smettere di impegnarsi in Comportamenti Genocidi, la prospettiva di una sua continuazione sanguinosa è promessa quotidianamente dai leader israeliani, che sono pronti a ordinare un attacco a Rafah e a dare gli ultimi ritocchi al loro attacco contro la sensibilità morale dell’Umanità, e le prospettive di sopravvivenza dei palestinesi.

Tentazione politica

Se me lo avessero chiesto anche solo una settimana fa, avrei detto che il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sarebbe stato l’ultima persona a venire in soccorso istituzionale della Corte Penale Internazionale, anche se in modo ambiguo. Ma si è affrettato a rispondere dopo che alcune voci trapelate suggerivano che la Corte fosse sul punto di emettere mandati di arresto contro Netanyahu, il Ministro della Difesa Yoav Gallant e il Capo di Stato Maggiore dell’esercito Herzi Halevi.

Netanyahu è passato all’offensiva. Vale la pena guardare il suo video di quattro minuti contro la Corte, anche solo per avere un’idea di quanto potenzialmente formidabile potrebbe diventare la CPI se funzionasse come dovrebbe. Se prendesse in carico Netanyahu, la Corte farebbe finalmente il suo lavoro.

In questo contesto, la Corte ha l’opportunità di agire in conformità con il suo mandato e riscattare la sua reputazione di essere impotente. È senza dubbio politicamente allettante per il Procuratore della Corte deludere queste aspettative limitando l’azione della Corte contro i leader israeliani e di Hamas ai loro presunti Crimini precedenti al 7 ottobre.

Una tale elusione sarebbe una doppia delusione per coloro che cercano di aumentare la pressione su Israele affinché accetti un cessate il fuoco, seguito da direttive su responsabilità, riparazioni e ricostruzione.

Resta il mistero del perché la CPI, con la sua bassa stima istituzionale, viene apparentemente vista come molto più minacciosa per Israele rispetto alle direttive mirate della ben più consolidata Corte Internazionale di Giustizia. Potrebbe essere che la natura personale dei possibili mandati di arresto abbia suscitato più di una reazione emotiva?

Netanyahu ha affermato che i mandati di arresto rappresenterebbero una minaccia mortale al diritto delle democrazie di difendersi dai loro malvagi nemici, riferendosi all’Iran. Ma ormai dovremmo tutti sapere che Israele non ha intenzione di rispettare il Diritto Internazionale, indipendentemente dalla fonte dell’autorità.

In questo senso, l’importanza della Corte Internazionale di Giustizia, e potenzialmente della Corte Penale Internazionale, è quella di rafforzare la crescente ondata di sostegno ai diritti dei palestinesi in tutto il mondo, insieme a un consenso emergente del tipo che contribuì alla sconfitta americana in Vietnam e condannò il Regime di Apartheid in Sudafrica. Se il popolo palestinese riuscirà finalmente a realizzare i propri diritti fondamentali, sarà grazie alla Resistenza delle vittime, rafforzata dall’attivismo transnazionale di persone ovunque.

Di particolare incoraggiamento è il dilagare delle proteste filo-palestinesi e la loro frequente e controversa repressione negli Stati Uniti e nei principali Paesi europei, indicando un maggiore impegno della società civile nella lotta per un cessate il fuoco e un diverso approccio nei confronti di Israele da parte delle democrazie liberali occidentali.

Richard Falk è Professore Emerito di Diritto Internazionale della Fondazione Albert G. Milbank presso l’Università di Princeton, detentore di una Cattedra di Diritto Globale presso l’Università Queen Mary di Londra e Ricercatore Associato del Centro di Studi Globali di Orfalea, UCSB. Nel 1965 ha agito come difensore dell’Etiopia e della Liberia nei casi dell’Africa sudoccidentale davanti alla Corte Internazionale di Giustizia. Un recente libro (Re)Immaginare una Dirigenza Globale Umana ([Re]Imagining Humane Global Governance – 2014) propone una valutazione orientata al valore dell’ordine mondiale e delle tendenze future. I suoi libri più recenti sono: Intervento Umanitario e Guerre di Legittimità (Humanitarian Intervention and Legitimacy Wars – 2014) Palestina: La Legittimità Della Speranza ( Palestine: The Legitimacy of Hope – 2014) e Caos e Controrivoluzione: Dopo la Primavera Araba (Chaos and Counterrevolution: After the Arab Spring – 2015). Nel 2001 ha fatto parte di una Commissione d’inchiesta sui diritti umani per i Territori della Palestina composta da tre persone, nominata dalle Nazioni Unite e, in precedenza, membro della Commissione Internazionale Indipendente sul Kosovo. Tra il 2008 e il 2014 Falk è stato Relatore Speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nella Palestina occupata. Tra i suoi primi libri ci sono Religione e Dirigenza Umana Globale (Religion and Humane Global Governance – 2001); Orizzonti dei Diritti Umani (Human Rights Horizons – 2000); Sulla Dirigenza Umana: Verso Una Nuova Politica Globale (On Humane Governance: Toward a New Global Politics – 1995); Esplorazioni ai Confini del Tempo (Explorations at the Edge of Time – 1993) Rivoluzionari e Funzionari (Revolutionaries and Functionaries – 1988); La promessa dell’Ordine Mondiale (The Promise of World Order – 1988); Armi Indifendibili (Indefensible Weapons – 1983); Diritti Umani e Sovranità Statale (Human Rights and State Sovereignty – 1981); Uno Studio sui Mondi Futuri (A Study of Future Worlds – 1975); Questo Pianeta in Via di Estinzione (This Endangered Planet – 1973); e coeditore di Crimini di Guerra (Crimes of War – 2006). Attualmente dirige presso l’UCSB un progetto sui cambiamenti climatici, la sicurezza umana e la democrazia e ricopre il ruolo di vicepresidente senior del consiglio di amministrazione della Fondazione per la Pace nell’Era Nucleare (Nuclear Age Peace Foundation).

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org