L’azione della Corte Penale Internazionale è un momento di orgoglio per il Sud del Mondo

I palestinesi cercano da più di 15 anni di ottenere l’aiuto della Corte Penale Internazionale per ritenere Israele responsabile.

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Di Ramzy Baroud – 27 maggio 2024

Persino il più ottimista degli analisti politici non si aspettava che il Procuratore della Corte Penale Internazionale (CPI) pronunciasse queste parole: “Ho fondati motivi per credere che Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant siano responsabili penalmente di Crimini di Guerra e Crimini contro l’Umanità”.

Oltre ai due israeliani, Karim Khan ha incluso anche tre palestinesi nella sua richiesta di mandato d’arresto presso la Camera Preliminare della Corte Penale Internazionale. Questo è importante, ma dobbiamo ricordare che, secondo il pensiero occidentale, i palestinesi sono sempre stati i colpevoli. La prova di questa affermazione è che l’Occidente ha a lungo ritratto Israele come un Paese in guerra per legittima difesa. Di conseguenza, i palestinesi, nonostante siano occupati, espropriati e diseredati, sono gli aggressori. Questa logica bizzarra non è strana se vista all’interno del più ampio modello di potere che ha definito il rapporto dell’Occidente con la Palestina e, per estensione, con il Sud del Mondo.
Ad esempio, su 54 individui incriminati dalla CPI sin dalla sua creazione nel 2002, 47 sono africani, un fatto che giustamente agita da molti anni governi, società civili e intellettuali in tutto il Sud del Mondo. Sulla doppiezza dell’Occidente, Aimé Césaire, intellettuale e politico martinicano, scrisse: “Hanno tollerato il nazismo prima che gli fosse inflitto, lo hanno assolto, gli hanno chiuso gli occhi, lo hanno legittimato, perché fino ad allora era stato applicato solo a popoli non europei”. La Seconda Guerra Mondiale ha ispirato un nuovo pensiero da parte dell’Occidente. La Corte Internazionale di Giustizia e la CPI, tra gli altri, furono il risultato diretto di quella terribile guerra occidentale. Era il modo in cui l’Occidente cercava di proteggere il nuovo status quo stabilito dai vincitori.

Il Sud del Mondo si è comunque unito. “L’Africa ha avuto un interesse particolare nell’istituzione della Corte, poiché i suoi popoli sono stati vittime di violazioni su larga scala dei diritti umani nel corso dei secoli”, ha detto a Roma, luogo di nascita della CPI di, un rappresentante dell’Organizzazione per l’Unità Africana, il luogo di nascita dello Statuto di Roma, nel 1998.

Prevedibilmente, tuttavia, la CPI si trasformò in una piattaforma in cui gli ex padroni coloniali esprimevano giudizi sul mondo non europeo. In questo senso difficilmente è stata fatta giustizia.
Come sempre, la Palestina è servita, e continua a servire, da prova inconfutabile dell’ordine internazionale. Per più di 15 anni, i palestinesi hanno cercato di ottenere l’aiuto della CPI per ritenere Israele responsabile della sua Occupazione Militare e di vari Crimini in Palestina.

I palestinesi lo hanno fatto semplicemente perché ogni tentativo di istituire un meccanismo pratico per porre fine all’Occupazione Israeliana attraverso le Nazioni Unite si è scontrato con un crudele veto americano. Mentre l’Occupazione Israeliana diventa permanente e l’Apartheid  Razziale allarga i suoi tentacoli fino a coprire ogni centimetro della Palestina, il sostegno degli Stati Uniti a Israele è diventato la prima linea di difesa contro qualsiasi critica internazionale, per non parlare di azioni volte a tenere a freno Israele. Anche se gli Stati Uniti hanno rifiutato di aderire alla CPI, continuano ad avere una grande influenza sull’organizzazione, sia attraverso le sanzioni che attraverso le pressioni imposte dai suoi alleati membri della Corte.

Pertanto, la CPI ha procrastinato. Le decisioni che avrebbero dovuto richiedere solo mesi hanno richiesto anni. L’istituzione, creata per garantire una giustizia rapida, è diventata un apparato burocratico legale che ha fatto tutto ciò che era in suo potere per sottrarsi alle proprie responsabilità nei confronti dei palestinesi. Tuttavia, la perseveranza dei palestinesi e la massiccia solidarietà che hanno ottenuto dai Paesi di tutto il Sud del Mondo alla fine hanno dato i loro frutti. Nel 2009, i palestinesi hanno presentato la loro prima domanda di adesione alla CPI. Ci sono voluti più di tre anni perché l’allora Procuratore Luis Moreno Ocampo arrivasse alla decisione, nel 2012, di negare loro l’adesione urgente a causa del loro status giuridico di semplici osservatori presso le Nazioni Unite.
Il resto del mondo si schierò nuovamente a sostegno della Palestina e, più tardi quello stesso anno, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite concesse alla Palestina lo status di “Stato Osservatore non membro”.
Ci sono voluti altri tre anni perché la Palestina entrasse ufficialmente nella CPI. Poi, nel 2019, il Procuratore Fatou Bensouda ha dichiarato che i cosiddetti criteri statutari necessari per avviare un’indagine in Palestina erano soddisfatti. Tuttavia, invece di aprire un’indagine, Bensouda ha rinviato la questione alla Camera Preliminare per conferma.

Un’indagine ufficiale non è stata aperta fino a marzo 2021, ma si è interrotta quando Khan ha sostituito Bensouda nello stesso anno.
Allora, cosa è successo tra marzo 2021 e il 20 maggio 2024, che ha permesso al sempre riluttante Khan di arrivare a richiedere mandati di arresto?
Primo, il Genocidio israeliano a Gaza, dove il numero delle vittime ammonta a decine di migliaia.
Secondo, era in gioco la credibilità del sistema giuridico sancito dall’Occidente che governa il mondo dal 1945. Ciò spiega l’enfasi posta da Khan nella sua dichiarazione del 20 maggio: “Se non dimostriamo la nostra volontà di applicare la legge in modo equo creeremo le condizioni per il suo fallimento”.
Terzo, la solidarietà del Sud del Mondo, che è servita da colonna portante di tutti gli sforzi palestinesi presso le istituzioni giuridiche internazionali.
Dopo decenni di approccio unilaterale ai conflitti globali, il pendolo si sta finalmente spostando. Infatti, quando diciamo che Gaza sta cambiando il mondo, lo intendiamo sul serio.

Ramzy Baroud è un giornalista e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “La Nostra Visione per la Liberazione: Leader Palestinesi Coinvolti e Intellettuali Parlano”. Ramzy Baroud è un ricercatore senior non di ruolo presso il Centro per l’Islam e gli Affari Globali (CIGA), dell’Università Zaim di Istanbul (IZU).

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org