Si vive nella paura, se si vuole dire qualcosa su Israele

Personaggi filo-palestinesi affermano che l’affare Kamila Shamsie dimostra come in Germania il dissenso sia soffocato quando la critica è verso Israele.

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di Ruairi Casey, 23 settembre 2019

Copertina – Una donna regge un cartello con la scritta “Boicotta Israele” mentre partecipa a una manifestazione a sostegno della Palestina, a Berlino [File: Steffi Loos / Reuters]

 

Berlino, Germania – La decisione di una giuria tedesca di privare Kamila Shamsie, autrice britannico-pakistana, di un premio letterario a causa del suo attivismo filo-palestinese, sottolinea come l’ignorare i diritti dei palestinesi sia ormai la norma in Germania, secondo personaggi filo-palestinesi che vivono nel paese.

Il 18 settembre, pochi giorni dopo la sua precedente decisione, la giuria di otto membri del Premio Nelly Sachs, intitolato alla premio Nobel ebrea tedesca, poetessa e scrittrice teatrale, ha ritirato il suo premio di 16.000 dollari a causa del sostegno di Shamsie al movimento di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni ( BDS).

In un comunicato, hanno detto che il “boicottaggio culturale non trascende i confini, ma colpisce l’intera società israeliana a prescindere dalla sua effettiva eterogeneità politica e culturale.”

Il BDS è stato istituito nel 2005 da attivisti palestinesi per esercitare pressioni economiche e politiche su Israele affinché adempia ai suoi obblighi ai sensi del diritto internazionale ed è modellato su campagne simili, dal movimento per i diritti civili degli Stati Uniti alla lotta anti-apartheid contro il Sudafrica negli anni ’80.

“Se si parla di Israele o si scrive di Israele, si entra in una zona vietata o pericolosa”, ha detto ad Al Jazeera Iris Hefets, presidente di Jewish Voice for a Just Peace in the Middle East, un gruppo composto principalmente da israeliani, britannici e ebrei americani che vivono in Germania.

Quello che è successo a Shamsie fa parte di un tipo di censura, intimidazione e indebolimento di artisti e personaggi pubblici per le loro opinioni politiche, ha affermato Hefets.

La sua stessa organizzazione, a giugno, si è vista chiudere il conto in banca dopo le continue critiche da parte dei media israeliani e del Simon Wiesenthal Center, un’organizzazione ebraica per i diritti umani, per il suo sostegno al BDS.

“Si vive nella paura se si vuol dire qualcosa su Israele. Bisogna dire che Israele è grande se si vuole essere protetti e essere finanziati.”

 

 L’autrice Kamila Shamsie è stata privata del suo premio di 16.000 dollari a causa del suo sostegno al BDS [File: Tristan Fewings / Getty Images for DIAGEO]

Il Bundestag tedesco, a maggio, è diventato il primo parlamento europeo a denunciare il BDS come antisemita, quando ha approvato una risoluzione pluripartitica che lo ha paragonato alla campagna al boicottaggio nazista delle imprese ebraiche – affermando che “ricordava il capitolo più terribile della storia tedesca”.

Sebbene la mozione non sia giuridicamente vincolante, ha contribuito in Germania a dare più peso all’argomento secondo cui il BDS e la difesa dei diritti dei palestinesi sono simili all’antisemitismo.

Gli effetti sono sentiti in particolare dagli oltre 200.000 palestinesi che vivono in Germania, che sono oggetto di sospetto e censura, secondo Majed Abusalama, nato a Gaza, un organizzatore politico nella coalizione per i diritti umani Palestine Speaks.

“Il BDS chiede solo diritti fondamentali. Se chiedere libertà, giustizia, uguaglianza e dignità è radicale, la Germania non ha imparato nulla dalla sua storia”, ha detto Abusalama, che dovrà affrontare un processo a fianco di due attivisti israeliani per avere interrotto un discorso del membro della Knesset Aliza Lavie all’Università Humboldt di Berlino nel 2017.

“Questa censura è una vergogna e sono arrabbiato per il fatto che i palestinesi debbano lottare per parlare in un paese che afferma di essere una democrazia”, ha aggiunto.

Ma la mozione del parlamento potrebbe dover affrontare un test legale.

La scorsa settimana, un tribunale tedesco ha stabilito che la decisione della città di Bonn di escludere un gruppo di donne palestinesi filo-BDS da un festival culturale ha costituito una “disparità di trattamento” e violato la Convenzione europea dei diritti umani, che protegge la libertà di boicottaggio.

 

 In una manifestazione a Berlino una donna regge un cartello che dice “Boicotto Israele, ma non gli ebrei!” [File: Sean Gallup / Getty Images]

Lunedì, un portavoce del dipartimento della cultura del senato di Berlino ha detto ad Al Jazeera: “Le richieste di boicottaggio culturale contro Israele [sono] politicamente sbagliate ed effettivamente antisemite”.

Hanno detto che il senato ha difeso l’annuale festival Pop Kultur di Berlino, che è stato oggetto di una campagna di boicottaggio per la sua collaborazione con l’ambasciata israeliana, e “difenderà anche la libertà artistica di altre istituzioni e progetti culturali che potrebbero essere influenzati da una simile chiamata al boicottaggio.”

Il parlamento della capitale ha approvato l’ordinanza dello scorso anno respingendo “tutte le campagne di boicottaggio antisemita”, oltre a promettere di non sostenere gruppi o individui che “delegittimano l’esistenza di Israele come stato ebraico o che agiscono in altro modo antisemita”.

A giugno, Peter Schafer, direttore del Jewish Museum di Berlino, ha rassegnato le dimissioni dopo che l’account Twitter del museo aveva citato un articolo su accademici israeliani critici verso la risoluzione del parlamento in un post condannato da diversi gruppi ebraici e dall’ambasciatore israeliano.

Il museo era stato precedentemente criticato da Israele in una lettera alla cancelliera Angela Merkel per una mostra che esprimeva una “visione palestinese-musulmana di Gerusalemme”.

La lettera accusava anche un certo numero di altre ONG e istituzioni di intervenire negli affari interni di Israele o di promuovere attività anti-israeliane, tra cui il festival del cinema della Berlinale e la Heinrich Boll Foundation, che sostiene finanziariamente 972 Magazine della estrema sinistra israeliana.

Lo stesso mese, il festival Open Source di Dusseldorf ha annullato un’esibizione del rapper americano Talib Kweli dopo che si era rifiutato di negare il suo sostegno al BDS.

“Tutte le amministrazioni di regioni o città, così come i rappresentanti di istituzioni pubbliche, sono invitati a non dare alcuna sala o piattaforma al BDS”, ha scritto Philipp Maiburg, direttore artistico del festival, a Kweli in una e-mail citando la risoluzione del parlamento.

“Dato che stiamo lavorando anche con finanziamenti pubblici, non abbiamo altra scelta che chiederti una dichiarazione ufficiale relativa alla tua posizione nei confronti del BDS.”

Kweli ha risposto con una dichiarazione sulla sua pagina Facebook, scrivendo: “Mi piacerebbe esibirmi in Germania ma non ne ho bisogno. Preferisco essere un essere umano decente e difendere ciò che è giusto piuttosto che censurarmi e mentire sul BDS per uno chèque.”

Più di 100 importanti personalità culturali e politiche hanno firmato una lettera pubblica di sostegno a Kweli, notando una “vergognosa tendenza alla censura” in Germania contro voci filo-palestinesi.

Ma Hefets ha anche rammentato che mentre gli artisti internazionali parlano chiaro, figure culturali in Germania rimangono in gran parte intimidite o silenziose, con il timore che criticare Israele possa mettere a rischio la loro reputazione, carriera o entrate in termini di finanziamenti.

“È molto difficile perché [artisti tedeschi] vivono di denaro proveniente dal governo e progetti tedeschi. Non è come per noi attivisti che siamo abbastanza indipendenti.”

La battaglia ha persino raggiunto la scena dei club orgogliosamente di sinistra della Germania.

L’anno scorso, il collettivo di DJ Room 4 Resistance è stato bandito dal famoso club berlinese About Blank per il supporto al BDS, che il membro Jason Zuzak ha dichiarato far parte di un modello più ampio di annullamenti e ritiri di inviti in tutto il paese.

“Gli incidenti si sono verificati, per la maggior parte, in luoghi che avresti sicuramente identificato come di sinistra e anticapitalisti, che in generale sostengono i diritti delle donne, i diritti degli omosessuali, e che di solito si occupano di migranti”, ha detto ad Al Jazeera.

La campagna palestinese per il boicottaggio accademico e culturale di Israele (PACBI), lanciata a Ramallah nel 2004, da quel momento ha chiesto il boicottaggio del club di Berlino, così come di altri due ad Amburgo e Lipsia, per “lampante e persistente razzismo anti-palestinese e anti-arabo”, facendo notare che uno aveva pubblicato sul suo sito web una richiesta di reclutamento nell’esercito israeliano.

In definitiva, secondo Abusalama, il dibattito sul fatto che il BDS sia antisemita oscura gli effetti brutali dell’apartheid israeliano in aree come Gaza, dove la sua famiglia vive sotto blocco totale.

“I palestinesi si rifiutano di pagare per i peccati della Germania”, ha detto. “La Germania dovrebbe invece ascoltare i palestinesi e i valori dei diritti umani e del diritto internazionale”.

 

Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina.org

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