I palestinesi criticano la censura dei social media su Sheikh Jarrah

Gli utenti dei social media che condividono contenuti su Sheikh Jarrah lamentano che i loro account sono stati censurati, bloccati o chiusi.

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Linah Alsaafin  – 7 maggio 2021

Immagine di copertina: un giovane palestinese viene bloccato dalla polizia israeliana durante una protesta contro lo sgombero forzato delle famiglie palestinesi [Maya Alleruzzo / AP]

I palestinesi criticano le società dei social media per aver chiuso i loro account personali e censurato i contenuti sugli attacchi ai residenti e agli attivisti da parte delle forze israeliane e dei coloni nel quartiere di Sheikh Jarrah occupato, a Gerusalemme est.

Durante la scorsa settimana, i residenti di Sheikh Jarrah, così come attivisti palestinesi e di solidarietà internazionale, hanno partecipato alle veglie notturne per sostenere le famiglie palestinesi minacciate di sfollamento forzato.

La polizia e le forze di frontiera israeliane hanno attaccato i sit-in usando acqua puzzolente, gas lacrimogeni, proiettili rivestiti di gomma e granate d’urto. Decine di palestinesi sono stati arrestati.

Gli utenti dei social media , in Palestina e in tutto il mondo, hanno caricato e condiviso contenuti video e immagini sugli attacchi, utilizzando l’hashtag in inglese e arabo #SaveSheikhJarrah.

Eppure molti si sono lamentati del fatto che i loro account siano stati censurati, bloccati o chiusi del tutto.

“Le società di social media stanno zittendo le voci palestinesi mentre combattono sul campo per la loro sopravvivenza “, ha detto ad Al Jazeera Marwa Fatafta, un membro politico del think tank Al Shabaka.

“Questo non è un incidente una tantum, è il seguito di una sistematica censura più ampia  e di una discriminazione che prende di mira principalmente coloro che sono emarginati e oppressi, spesso per volere di regimi oppressivi”.

Fatafta ha invitato Facebook a “fermare immediatamente questa carneficina di contenuti” e  a spiegare ai suoi utenti e al pubblico  il motivo per cui ha rimosso i contenuti.

Giovedì notte almeno 30 persone sono rimaste ferite e 15 sono state arrestate. Sono emersi video che mostrano i coloni israeliani mentre provocano deliberatamente dei palestinesi durante il pranzo dell’Iftar allestito fuori da una delle case, compreso l’uso di spray al peperoncino. I palestinesi hanno risposto ai coloni lanciando sedie.

Più tardi, il vice sindaco di Gerusalemme, Arieh King, viene registrato mentre si rivolge a un uomo palestinese fisicamente disabile.

“Ti hanno tolto il proiettile dal culo?” dice, in piedi accanto al membro israeliano di estrema destra della Knesset Itamar Ben Gvir. “È un peccato che non sia entrato qui”, aggiunge, indicandosi la fronte.

Collusione dei social media

La complicità tra Israele e le società di social media nel regolamentare e censurare i contenuti e gli account palestinesi è ben documentata. In seguito a una visita di una delegazione di Facebook nel 2016, il ministro della giustizia israeliano all’epoca aveva dichiarato che Facebook, Google e YouTube stavano “rispettando fino al 95 per cento  le richieste israeliane di eliminare contenuti” – (quasi tutti palestinesi).

I palestinesi hanno anche sottolineato che oltre a reprimere la libertà di espressione, l’acquiescenza di queste società di social media alle richieste del governo israeliano  nel rivelare i dati degli utenti ha portato negli ultimi anni all’arresto di centinaia di palestinesi, principalmente per i loro post su Facebook. Al contrario, gli israeliani non devono affrontare lo stesso trattamento.

Nel 2017 7amleh, il Centro arabo per lo sviluppo dei social media,  pubblicò uno studio che  rilevava come ogni 46 secondi gli israeliani pubblicano un commento razzista o di incitamento all’odio contro palestinesi e arabi. Eppure sono state intraprese poche azioni contro questi account.

7amleh si è anche offerta di aiutare gli utenti i cui account sono stati attenzionati  e ha sollevato la questione alle società di social media, riuscendo a ripristinare alcuni dei contenuti online.

Sada Social, un’organizzazione palestinese per i diritti digitali, ha condannato l’amministrazione di Twitter per aver chiuso dozzine di account di attivisti.

“Sada Social considera la chiusura di questi account come una punizione per gli attivisti e una collusione tra l’amministrazione Twitter e i servizi di sicurezza israeliani, al fine di ridurre il sostegno  alla causa di Sheikh Jarrah”, si legge in un comunicato.

Sada Social ha chiesto di riattivare gli account sospesi e di  fornire uno spazio gratuito a tutti gli utenti del web  nel quale poter esprimere le proprie opinioni senza discriminazioni.

Espulsione delle famiglie palestinesi

La causa di Sheikh Jarrah si è intensificata nell’ultima settimana, nonostante il problema sia in corso da decenni.

Negli anni ’70 lorganizzazioni di coloni ebrei intentarono una causa sostenendo che l’area apparteneva originariamente a degli ebrei e chiedendo l’espulsione delle famiglie palestinesi che vi risiedono dal 1956.

Queste famiglie, rifugiate dalla Nakba del 1948, si stabilirono a Sheikh Jarrah in base a un accordo tra la Giordania e l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati.

Il tribunale distrettuale israeliano ha stabilito che quattro famiglie – al-Kurd, Iskafi, Qassim e Jaouni – devono lasciare le loro case a favore dei coloni, o raggiungere un accordo con queste organizzazioni di coloni pagando l’affitto e riconoscendole come proprietari.

Le famiglie hanno rifiutato e il tribunale ha rinviato il verdetto finale al 10 maggio.

Diversi legislatori statunitensi, tra cui Rashida Tlaib, Cori Bush e Marie Newman, si sono espressi contro gli attacchi e l’imminente sfollamento forzato a Sheikh Jarrah.

Trad: Grazia Parolari “Tutti gli esseri viventi sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org