Israele: è l’inizio della fine dell’apartheid?

Israele ha già esaurito da tempo i principali argomenti legali e morali ed è in procinto di finire anche l’argomentazione politica.

Fonte: english version

Di Richard Falk – 18 Maggio 2021

Foto di copertina: Un soldato israeliano passa davanti a un obice semovente da 155 mm ea  munizioni lungo il confine con la Striscia di Gaza, il 16 maggio 2021 (AFP)

L’attuale crisi Palestina-Israele si aggrava e si allarga: le vittime aumentano, il fumo degli edifici distrutti annerisce il cielo sopra Gaza, ci sono disordini per le strade di molte città israeliane e della Cisgiordania; la polizia israeliana aggredisce i fedeli nella moschea di Al-Aqsa mentre protegge i coloni ebrei estremisti che gridano slogan genocidi, “morte agli arabi”, in marce infiammate attraverso i quartieri palestinesi.

Alla base di tutto questo scoppio di tensioni tra oppressore e oppressi sono stati gli ingiusti sfratti legalizzati di sei famiglie palestinesi residenti da tempo nel quartiere di Sheikh Jarrah nella Gerusalemme Est occupata. Questi sfratti incarnano il lungo calvario palestinese della persecuzione e dell’esilio in quella che rimane la loro patria.

Mentre questo caos continua, l’ONU rimane scandalosamente in silenzio. I leader occidentali chiedono pateticamente la calma da entrambe le parti come se entrambe le parti condividessero la stessa colpa, mentre affermano perversamente l’unilateralità del “diritto di Israele a difendersi”, il che presuppone che Israele sia stato improvvisamente attaccato.

Questo è solo un altro ciclo di violenza che mostra lo scontro irrisolvibile tra un popolo nativo sopraffatto da un intruso coloniale incoraggiato da un solo religiosamente radicato senso del diritto colonizzatore?

O stiamo assistendo all’inizio della fine della lotta secolare del popolo palestinese per difendere la propria patria contro il progetto sionista in corso che ha rubato la loro terra, calpestato la loro dignità e reso i palestinesi vittime di stranieri in quella che era stata la loro patria nazionale per secoli?

Solo il futuro può svelare completamente questa inquietante incertezza. Nel frattempo, possiamo aspettarci altri spargimenti di sangue, morte, indignazione, dolore, ingiustizia, e continue interferenze geopolitiche.

Lo spirito di resistenza

Gli eventi della scorsa settimana hanno chiarito che i palestinesi resistono a una prolungata oppressione con il loro spirito di resistenza intatto e rifiutano di essere pacificati, indipendentemente dalla gravità delle difficoltà imposte.

Ci viene anche fatto capire che la leadership israeliana e la maggior parte del suo popolo non sono più  disposti  nemmeno a fingere di essere ricettivi a un’alternativa pacifica al completamento della loro impresa coloniale di occupazione,ciò nonostante la sua dipendenza da una versione militarizzata del governo dell’apartheid.

Per gli israeliani e gran parte dell’Occidente, la narrazione centrale continua ad essere la violenza di un’organizzazione “terrorista”, Hamas, che sfida il pacifico stato di Israele con intenti distruttivi, facendo sembrare ragionevole la risposta israeliana. Si tratta quindi non solo di una risposta ai razzi di Hamas, ma anche di una dura lezione punitiva per il popolo di Gaza, progettata per scoraggiare futuri attacchi.

I missili e i droni israeliani sono considerati “difensivi” mentre i razzi sono atti di “terrorismo”, anche se vengono raramente colpiti obiettivi umani israeliani, e nonostante il fatto che siano le armi israeliane a causare il 95% della morte e della distruzione tra gli oltre due milioni di civili palestinesi a Gaza. Sono oltretutto vittime di un devastante blocco illegale che dal 2007 ha portato gravi sofferenze all’enclave impoverita, affollata e traumatizzata, con livelli di disoccupazione superiori al 50%.

Nell’attuale confronto, il controllo israeliano del dibattito internazionale è riuscito a decontestualizzare la sequenza temporale della violenza, portando così coloro che hanno poca conoscenza di ciò che ha indotto la raffica di razzi di Hamas verso Israele, a credere falsamente che la distruzione a Gaza sia stata una reazione di rappresaglia israeliana alle centinaia di razzi lanciati da gruppi armati di Hamas e Gaza.

Una bambina palestinese, fuggita dalla sua casa a causa degli attacchi aerei e dell’artiglieria israeliani, gioca in una scuola che ospita rifugiati a Gaza City, il 14 maggio 2021 (AFP)

Con equilibrismi linguistici che potrebbero persino sorprendere Orwell, il terrorismo di Stato israeliano è stato nascosto al mondo, insieme al rifiuto della diplomazia di pace di Hamas che negli ultimi 15 anni ha ripetutamente cercato un cessate il fuoco permanente e una coesistenza pacifica.

Vittorie simboliche

Per i palestinesi e per coloro che sono solidali con la loro lotta, Israele ha deliberatamente inflitto alla popolazione oppressa della Gerusalemme Est occupata una serie di angosciose umiliazioni durante il periodo sacro delle osservanze religiose musulmane nel Ramadan, spargendo sale sulle ferite recentemente aperte dagli sfratti di Sheikh Jarrar. Ciò ha avuto l’inevitabile effetto di richiamare i ricordi palestinesi delle loro distintive esperienze di pulizia etnica giorni prima della commemorazione annuale della Nakba, il 15 maggio.

Questo ha equivalso a una metaforica rievocazione di quel grave crimine di pulizia etnica seguito da una espulsione di massa che accompagnò la fondazione di Israele nel 1948 e che culminò con la distruzione di diverse centinaia di villaggi palestinesi, fatto indicativo di una ferma intenzione israeliana di rendere permanente l’esilio.

A differenza del Sudafrica, che non ha mai preteso di essere una democrazia, Israele si è legittimato presentandosi come una democrazia costituzionale. Questa decisione di essere una democrazia è costata molto in termini di inganno e autoinganno, rendendo necessario fino ad oggi un impegno costante per far funzionare l’ingranaggio dell’apartheid e garantire la supremazia ebraica nascondendo l’oppressione  palestinese.

Per decenni, Israele è riuscito a nascondere al mondo queste caratteristiche razziste, perché l’eredità dell’Olocausto ha dato credito acritico alla narrativa sionista di fornire rifugio ai sopravvissuti del peggior Genocidio noto all’umanità.

Inoltre, la presenza ebraica “stava facendo fiorire il deserto”, mentre allo stesso tempo praticamente cancellava le proteste della Palestina, ulteriormente sminuite dalla rappresentazione di arretratezza palestinese della propaganda Hasbara, in contrasto con l’abilità modernizzante israeliana, e in seguito affiancando una caricatura politica dei due popoli, raffigurante l’adesione ebraica ai valori occidentali in contrapposizione all’abbraccio palestinese al terrorismo.

I recenti sviluppi nei domini simbolici della politica che controllano l’esito di “Guerre di Legittimità” hanno segnato diverse vittorie per la lotta palestinese. La Corte Penale Internazionale ha autorizzato le indagini sui crimini israeliani nella Palestina occupata a partire dal 2015 nonostante la tenace opposizione dei vertici del governo israeliano, pienamente sostenuta dagli Stati Uniti. L’indagine all’Aja, pur procedendo nel diligente rispetto delle legittimità delle parti coinvolte, non è stata  chiaramente accolta da Israele, ma bensì immediatamente denunciata dal Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu come “mero antisemitismo”.

Oltre a ciò, le accuse di apartheid israeliano sono state confermate inequivocabilmente in un rapporto accademico commissionato dall’ONU, concludendo che le politiche e le pratiche israeliane erano progettate per garantire la sottomissione palestinese e la dominazione ebraica. Anche questo è stato rifiutato  in modo simile dai leader israeliani.

Negli ultimi mesi sia B’Tselem, la principale ONG israeliana per i diritti umani, sia Human Rights Watch, hanno pubblicato studi accuratamente documentati che giungono alla stessa sorprendente conclusione: Israele amministra effettivamente un regime di apartheid all’interno dell’intera Palestina storica, cioè i Territori Palestinesi Occupati oltre allo stesso Israele.

Sebbene questi due sviluppi non allevino la sofferenza palestinese o gli effetti comportamentali della continua negazione dei diritti fondamentali, sono vittorie simboliche significative che rafforzano il morale della resistenza palestinese e i legami di solidarietà globale. Dal 1945,  l’analisi  delle lotte contro il colonialismo  ha portato alla deduzione che la parte che vince una guerra di legittimità alla fine controllerà il risultato politico, nonostante sia più debole militarmente e diplomaticamente.

‘Alla fine la vittoria’

La fine del regime di apartheid sudafricano rafforza questa rivalutazione del mutevole equilibrio delle forze nella lotta palestinese. Nonostante avesse quello che sembrava essere un controllo efficace e stabile della popolazione a maggioranza africana attraverso l’implementazione di brutali strutture segregazioniste, il regime razzista è imploso sotto il peso combinato della resistenza interna e della pressione internazionale.

Le pressioni esterne includevano una campagna BDS ampiamente condivisa che godeva del sostegno delle Nazioni Unite e delle battute d’arresto militari in Angola contro le forze cubane e di liberazione. Israele non è il Sud Africa in una serie di aspetti chiave, ma la combinazione di resistenza e solidarietà è aumentata notevolmente la scorsa settimana.

Israele ha già esaurito da tempo i principali argomenti legali e morali, quasi riconoscendo questa interpretazione con il loro modo provocatorio di deviare la discussione con accuse sconsiderate di antisemitismo, ed è in procinto di perdere l’argomento politico.

Il senso di vulnerabilità di Israele nei confronti di uno scenario sudafricano è stato esposto dalla tendenza crescente a bollare i sostenitori del BDS e i critici severi come “antisemiti”, il che sembra, nel contesto dell’attuale sviluppo, meglio definirsi come “un attacco di panico geopolitico”.

Trovo appropriato ricordare la famosa osservazione di Gandhi in proposito: “Prima ti ignorano, poi ti insultano, poi ti combattono, poi vinci”.

 

Richard Falk è uno studioso di diritto internazionale e relazioni internazionali che ha insegnato all’Università di Princeton per quarant’anni. Nel 2008 è stato anche nominato dalle Nazioni Unite per un mandato di sei anni come Relatore Speciale sui diritti umani palestinesi.

 

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org