Beirut: un giorno nella vita di una “città fantasma”

Le molteplici crisi del Libano hanno lasciato i suoi traumatizzati cittadini a lottare per sopravvivere, con i giovani che soffrono di più.

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Di Kareem Chehayeb, Rita Kabalan  – Beirut – 13 luglio 2021

Immagine di copertina: Fatima fa una pausa sul balcone di Hay el-Sellom, mentre suo figlio Ali dorme all’interno, 6 luglio (MEE/Rita Kabalan)

Fatima*  si fuma una sigaretta mentre guarda fuori dalla finestra nel suo appartamento di una sola camera da letto a Hay el-Sellom, a sud di Beirut, che condivide con suo marito, sua figlia e tre figli.

La 59enne racconta che la sua famiglia ha sempre vissuto modestamente, ma dallo scorso anno  è stata costretta a fare sacrifici che non avrebbe mai immaginato.

In questi giorni l’elettricità statale viene fornita solo per circa un’ora al giorno, dice. Per fortuna,  riescono a tenere le luci accese perché il suo fornitore privato le permette di pagare a rate.

‘Le persone possono a malapena permettersi il cibo, quindi non comprano spesso vestiti’- Michel, 45 anni, ex rivenditore

Il marito di Fatima, 63 anni, lavora in un magazzino, dove una volta guadagnava circa 667 dollari. Con la lira libanese che ha perso circa il 90% del suo valore, in una crisi finanziaria senza precedenti, il suo stipendio ora ammonta a poco più di 50 dollari. Nel frattempo, fa dei lavoretti per aiutare a coprire alcune spese.

“Un giorno ho lavorato e ho comprato un tappeto”, racconta a Middle East Eye. “Erano 140.000 lire (circa  7,22 dollari) e l’ho pagato a rate”.

Poiché il Libano sta vivendo una delle più alte inflazioni alimentari del mondo, Fatima e la sua famiglia non possono permettersi la carne come una volta. Ora vivono con una dieta principalmente a base di patate e lenticchie. A volte Fatima e suo marito restano senza cibo solo perché i loro figli possano averne di più.

Caffè preparato da Fatima nella sua casa di Hay el Sillom. Fatima ha detto che è l’unico lusso a cui non è disposta a rinunciare. 6 luglio 2021 (MEE/Rita Kabalan)

Oltre tre quarti della popolazione libanese non ha cibo adeguato, ha affermato l’Unicef ​​in un recente rapporto.

Il figlio più giovane di Fatima, Hussein, 17 anni, lavora per 10 ore in un negozio di succhi di frutta e gelati, cercando di racimolare tutti i soldi che può.

“Mangia una sola volta al giorno ed è dimagrito, è alto 1,80 e pesa 60 kg.”, dice Fatima.

Hussein non può tornare a casa tutte le sere dopo il lavoro, dice sua madre, perché di notte per le strade vagano teppisti e ci sono pochissimi mezzi  pubblici a causa della grave crisi del carburante, quindi sta spesso con sua zia, che vive da sola e non cucina molto spesso.

Il figlio ventenne di Fatima, Ali, è disabile e non può lavorare e il figlio maggiore, 32 anni, sta lottando per trovare un lavoro regolare, ma lei spera che sua figlia, ora fidanzata, possa presto vivere una vita migliore.

“Ho parlato oggi con Hussein e piangeva, dicendo che non ce la fa più e che vuole tornare a casa”, dice Fatima, cercando di trattenere le lacrime.

“Ha detto che se anche avessi cucinato dei sassi, li avrebbe mangiati”.

In un Libano economicamente in frantumi, la carenza di carburante è drammaticamente peggiorata, trasformando le soste alla stazione di servizio da un compito banale a pura ansia.

In una stazione di servizio a Furn el-Chebbak, in una mattina calda e umida si svolge una scena familiare. Alcune dozzine di autisti stanno aspettando da ore in una lunga coda il loro turno per rifornire le loro auto, quando improvvisamente gli addetti alla stazione  iniziano a mandarli via. Il generatore di elettricità si è rotto,  dicono , e poiché non c’è elettricità statale quel giorno, la stazione di servizio non può più  servirli.

“Bugiardi!” grida un autista, mentre sfreccia via. Un motociclista rimane fermo per un minuto, scioccato e immobile, prima di  andarsene via urlando: “Fanculo questo paese!”

Solo pochi giorni fa, in quella stessa stazione di servizio, una lite tra autisti aveva portato a scontri, con l’esplosione di alcuni colpi di arma da fuoco.

Le ferite ancora fresche dell’esplosione

Michel*, 45 anni, e Pascale*, 35 anni, siedono fuori dalla loro casa parzialmente restaurata dopo che era stata distrutta dall’esplosione del porto di Beirut quasi un anno fa. L’esplosione ha raso al suolo gran parte dell’area circostante, compresa la Karantina semi-industriale, distruggendo vite, case e attività commerciali.

Fa molto caldo all’interno della casa e possono permettersi di pagare solo l’elettricità necessaria per mantenere le luci accese e il frigorifero in funzione. Michel e Pascale sono cresciuti entrambi a Karantina, nel nord-est di Beirut, dove si sono incontrati, si sono innamorati e hanno messo su famiglia. Ora stanno facendo tutto il possibile per sostenere il figlio di cinque anni e la figlia di sei anni.

‘Perché dovrei andarmene e lasciare che i governanti continuino a rubare? Non me ne andrò. Anche se devo morire di fame’- Pascale, 35

“A volte vendiamo alcune cose, come i gioielli, per far andare avanti le cose”, dice Michel. “Si paga più della metà del proprio reddito per i generatori di elettricità.”

L’esplosione ha distrutto la loro casa e il negozio di abbigliamento di Michel, il suo principale mezzo di sostentamento.

“Passo le mie giornate dandomi da fare per cercare di sistemare la ricostruzione”, dice, anche se teme che riaprire il suo negozio sarà un enorme onere economico.

“Le persone sono a malapena in grado di permettersi il cibo, quindi non comprano spesso vestiti”, spiega Michel, proprio mentre la corrente se ne va.

“Se apriamo il negozio, dobbiamo tenere conto dei costi dell’elettricità, dell’affitto, dei dipendenti, ma come possiamo pagare se non vendiamo nulla?”

Pascale e suo marito Michel sulla terrazza della madre a Karantina (MEE/Rita Kabalan)

Pascale interviene quando suo marito dice che è disposto a vendere più gioielli e cimeli di famiglia per cercare di avviare un’attività, ma sta anche pensando di lasciare il paese.

“Ma perché dovrei andarmene e lasciare che i governanti continuino a rubare?” lei dice. “Non me ne andrò. Anche se devo morire di fame”.

La famiglia ha sofferto enormemente nell’esplosione. La sorella di Michel, Arlette, 63 anni, è stata coinvolta nell’esplosione e ha subito un trauma cranico: ha perso la capacità di parlare ed è ora curata dalle suore in un centro di cura. Michel ha detto che gli ospedali hanno fatto tutto il possibile per sua sorella e ora tocca a “mar Charbel” aiutarla, riferendosi a un santo locale. Tuttavia, le cure continue di Arlette rappresentano un onere finanziario per la famiglia.

Anche la madre di Michel ha perso la sua casa nell’esplosione e la farmacia di sua sorella è stata distrutta.

La lotta dei giovani

Pochi chilometri a ovest di Karantina, i residenti dell’ex vivace quartiere di Hamra affermano che l’area popolare è diventata un luogo tetro, pieno del suono dei generatori.

Jana Mawed, una palestinese di 25 anni, amava la vita frenetica di Hamra Street, dove ha studiato e ora lavora.

“Era la strada che non dormiva mai. Tutto era così accessibile”, dice.

Ora, aggiunge Mawed, non vede più volti familiari per le strade e non si sente più sicuro come una volta a uscire di notte, soprattutto con le interruzioni di corrente che fanno piombare l’area nell’oscurità.

Una luce  che indica che i generatori  dell’edificio stanno attualmente ricevendo energia tramite il fornitore del generatore e non l’elettricità fornita dal governo (MEE/Rita Kabalan)

Quando alla fine del 2019 la crisi valutaria è iniziata, Mawed ha aggiunto qualcosa di nuovo alla sua routine mattutina quotidiana: controllare il tasso di cambio su app e siti web.

“Ho continuato ossessivamente a controllare”, dice. “Speravo che le cose tornassero presto a stabilizzarsi”.

Mawed si sente fortunata ad avere un impiego in un momento in cui molte persone della sua età stanno lottando per assicurarsi un reddito e scelgono invece di emigrare. Tuttavia, la responsabilità di prendersi cura di sua madre, che vive nella città meridionale di Saida, dove è cresciuta, si è aggiunta alla pressione a cui è sottoposta.

“È come se stessi cercando di mantenere due famiglie”, dice Mawed.

La situazione è diventata così pesante, che entrambe non guardano più i telegiornali della sera come una volta, ma si distraggono con le serie televisive.

La paralizzante crisi finanziaria ha messo a dura prova i giovani libanesi, molti dei quali non sono riusciti a trovare lavoro mentre altri sono stati costretti a svolgerne  più di uno per riuscire a sbarcare il lunario. In un rapporto dello scorso anno, l’Unicef ​​ha affermato che il 34% dei giovani in Libano sono disoccupati.

A 24 anni, Yara non si sarebbe mai aspettata di dover destreggiarsi tra tre lavori, pur essendo cresciuta in una famiglia modesta.

Dopo essersi laureata l’anno scorso, i suoi piani di trasferirsi nel Golfo per fare l’insegnante non si sono avverati. Yara ora lavora almeno 13 ore al giorno, trovando a malapena il tempo per mangiare e dormire. Durante il fine settimana, si concentra sul suo negozio di usato online. Come innumerevoli altri, sta cercando di lasciare il Libano.

“È stato un disastro non essere in grado di ottenere il lavoro di insegnante”, dice. “Ma l’abbigliamento di seconda mano fa parte da tempo della mia vita, quindi ho pensato: perché non farne un business?”

Una città fantasma

La vita a Beirut è cambiata drasticamente, così come la maggior parte del paese. Passeggiando per le vie della capitale, il cambiamento di atmosfera intorno ai caffè, bar, pub e ristoranti che sono riusciti a rimanere aperti è tangibile, anche al di là dei prezzi gonfiati e delle continue interruzioni di corrente.

“Qual è il prezzo di uno yogurt oggi?” si sente qualcuno che chiede a un suo amico in un caffè di Hamra.

In un bar di Gemmayze, gli avventori si interrogano a vicenda per sapere se sono riusciti o meno a fare il pieno di benzina quella mattina.

Il Demo Bar funziona a lume di candela tra le interruzioni di corrente. 7 luglio 2021 (MEE/Rita Kabalan)

“Non abbiamo l’opportunità di parlare di cose positive: non possiamo non parlare della carenza di dollari, , carburante e medicine”, afferma Mawed.

“Purtroppo, queste sono ora le nostre conversazioni”.

Senza ripresa economica e soluzioni in vista, la facciata di Beirut riflette il morale basso che la maggior parte dei suoi residenti prova oggi.

“Beirut sembra una città fantasma”, dice Mawed. ” Sono costretta a rimanere qui.”

* I cognomi degli intervistati sono stati rimossi su richiesta

 

Trad: Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” – Invictapalestina.org