Per mantenere il controllo demografico ebraico, Israele giustifica la legge sull’unificazione familiare per questioni di sicurezza

Amnesty International ha descritto “leggi e politiche discriminatorie che interrompono la vita familiare” come “guidate principalmente da considerazioni demografiche, piuttosto che sulla sicurezza, e mirate a ridurre al minimo la presenza palestinese all’interno della Linea Verde per mantenere una maggioranza ebraica”.

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Di Jessica Buxbaum – 25 febbraio 2022

Immagine di copertina:famiglia palestinese  a Gaza, 27 gennaio 2022. Hatem Moussa | AP

GERUSALEMME ORIENTALE OCCUPATA — Una legge controversa che vieta il ricongiungimento familiare tra israeliani e palestinesi nei territori occupati è decaduta la scorsa estate, ma i politici di destra stanno cercando di resuscitarla per vendetta. Questo mese, la Knesset (il Parlamento israeliano) ha approvato, nella prima delle tre votazioni, la legge sulla cittadinanza e l’ingresso in Israele, che impedisce ai palestinesi sposati con cittadini israeliani di ricevere i permessi per entrare nella Palestina occupata nel 1948 (o nell’odierna Israele).

“È una delle leggi più razziste e segregazioniste che siano mai state approvate al mondo”, ha detto Adi Mansour, avvocato di Adalah – Il Centro Legale per i Diritti delle Minoranze Arabe in Israele. “Non c’è nessun’altra legge che sia anche lontanamente vicina a questa legge negli effetti che ha sulla vita familiare”.

Noto come il divieto di riunificazione familiare, il disegno di legge è stato approvato nel 2003 ed è stato rinnovato ogni anno dal suo inizio, fino all’anno scorso. A luglio, la legge è stata respinta dopo che il partito Likud dell’ex Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha votato contro di essa per dividere la nuova coalizione di governo.

Ora, i membri di destra della Knesset sperano di dare nuova vita alla legislazione aggiungendo emendamenti più restrittivi a una legge che le organizzazioni per i diritti umani considerano già profondamente discriminatoria.

Rendere una legge crudele ancora più crudele

Il membro della Knesset Simcha Rothman del Partito Sionista Religioso di estrema destra ha negoziato con il Ministro dell’Interno Ayelet Shaked per aggiungere emendamenti più severi alla legge e riportarla all’ordine del giorno.

Gli emendamenti applicati da Rothman includono la fissazione di una quota massima annuale per coloro che possono ricevere la cittadinanza israeliana dalla Cisgiordania occupata, dalla Striscia di Gaza, dall’Iran, dalla Siria, dall’Iraq e dal Libano e la richiesta al Ministero dell’Interno di presentare un rapporto mensile sul numero di permessi concessi. Sebbene questa legge sia classificata come un’ordinanza temporanea, la versione più recente consente anche al governo di estenderne l’applicazione per più di un anno alla volta, il che significa che non dovrà essere rinnovata ogni anno.

“L’emendamento presentato dall’opposizione rivela la reale intenzione della legge: prevenire un presunto attacco alla maggioranza ebraica dello Stato”, ha detto Mansour. Rothman e il portavoce della Knesset non hanno risposto alle richieste di commento.

Nonostante la scadenza della legge, Shaked ha ordinato all’Autorità per la Popolazione e l’Immigrazione di applicare la legge alle richieste di ricongiungimento familiare. Le organizzazioni israeliane senza scopo di lucro HaMoked, l’Associazione per i Diritti Civili in Israele e Medici per i Diritti Umani-Israele, hanno presentato una petizione congiunta alla Corte Israeliana per gli Affari Amministrativi. Il caso è arrivato alla Corte Suprema, che ha chiesto al Ministero dell’Interno di istituire due procedure provvisorie. Una delle procedure, sostiene HaMoked, semplicemente “perpetua le disposizioni pertinenti della legge decaduta, sotto un nome diverso”.

Più che impedire il diritto al ritorno dei palestinesi 

HaMoked si oppone alla legge, ma Dani Shenhar, che dirige l’ufficio legale di HaMoked, ha affermato che se dovesse passare, ci sono diversi emendamenti che sostengono di aver allegato al disegno di legge per renderlo costituzionale. Questi includono: non applicare la legge alle donne di età superiore ai 50 anni, agli uomini di età superiore ai 55 anni e ai minori; fornire pieni benefici governativi a coloro che hanno ottenuto un permesso di ingresso; e dare residenza permanente o cittadinanza a coloro che ne fanno richiesta per motivi umanitari.

“Quando la legge non è stata approvata a luglio, molti politici hanno affermato che è molto importante tenere sotto controllo i dati demografici di Israele e non concedere documenti d’identità israeliani ai palestinesi”, ha detto Shenhar. “Questa è la vera preoccupazione dello Stato”.

I fautori della legge sostengono che sia necessario per motivi di sicurezza, sostenendo in particolare che le famiglie riunificate hanno maggiori probabilità di commettere atti di terrorismo. Shenhar ha spiegato, tuttavia, che il servizio di sicurezza interna israeliano, lo Shin Bet, ha affermato che dal 2001 al 2016 solo 104 individui provenienti da famiglie che hanno ottenuto la residenza o la cittadinanza attraverso il ricongiungimento familiare sono stati coinvolti in attività terroristiche. Dal suo punto di vista, questi numeri bassi suggeriscono che non ci sono problemi di sicurezza. “La sicurezza è un pretesto usato dallo Stato perché è più facile per il tribunale dare il via libera a questa legge quando c’è una motivazione di sicurezza per attuarla”, ha detto Shenhar. “È più difficile giustificare questo tipo di legge sulla base di dati demografici o profilazione razziali”.

Anche il Ministro dell’Interno Shaked ha suggerito che questa legge non è solo per motivi di sicurezza. In un’intervista al quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth, Shaked ha ammesso che la legge ha lo scopo di impedire il “diritto palestinese al ritorno”. “La legge vuole ridurre la motivazione all’immigrazione in Israele. Principalmente per motivi di sicurezza, e poi anche per motivi demografici”, ha affermato Shaked.

Mansour di Adalah ha affermato che il ricongiungimento familiare non riguarda il diritto al ritorno. “Vogliamo il diritto al ritorno, ma quando ci innamoriamo di una persona, non pensiamo: ‘Attuiamo il diritto al ritorno’. Questo non fa parte della razionalità dell’amore e delle relazioni”, ha detto.

Invece, Mansour sostiene che l’argomentazione secondo cui la legge riguarda il diritto al ritorno è semplicemente strategica, per persuadere meglio i media e il pubblico israeliani della necessità di una tale legge. “La motivazione di impedire il diritto al ritorno è pretestuosa”, ha detto, sottolineando che il proposito della legge è sionista e razzista. “Il vero motivo è impedire qualsiasi cambiamento demografico e impedire ai palestinesi di attuare il loro diritto alla vita familiare”.

“Per costruire e sostenere fondamentalmente un regime di apartheid”, ha aggiunto Mansour.

Negare il diritto alla vita familiare

All’inizio di questo mese Amensty International ha pubblicato un rapporto completo in cui dichiara Israele uno Stato di apartheid. L’analisi dell’organizzazione ha evidenziato il divieto di ricongiungimento familiare, definendolo un “chiaro esempio di come Israele frammenta e segrega i palestinesi attraverso un unico sistema”.

Amnesty International ha descritto “leggi e politiche discriminatorie che interrompono la vita familiare” come “guidate principalmente da considerazioni demografiche, piuttosto che di sicurezza, e mirate a ridurre al minimo la presenza palestinese all’interno della Linea Verde per mantenere una maggioranza ebraica”.

“Al contrario, la legge del 2003 non si applicava esplicitamente ai residenti degli insediamenti ebraici in Cisgiordania che desideravano sposarsi e vivere con il proprio coniuge all’interno di Israele, rendendola, e la politica in corso ne è alla base, palesemente discriminatoria”, ha scritto Amnesty. L’organizzazione ha inoltre osservato che le informazioni del Ministero dell’Interno indicavano il rigetto di circa il 43% delle domande di ricongiungimento familiare dal 2000 al 2013.

Le famiglie interessate dalla normativa non hanno potuto parlare a verbale, dato che il disegno di legge è ancora in discussione e votazione. Tuttavia, Amnesty ha raccolto testimonianze anonime su come questa legge abbia sconvolto la vita delle famiglie.

Un coniuge, che si trasferì dalla Cisgiordania alla Palestina occupata nel 1948, fece domanda per il ricongiungimento familiare ma, in attesa dell’approvazione e senza un’adeguata documentazione, visse in un perenne stato di ansietà. “C’era una paura costante nella mia vita. Avevo il terrore di ammalarmi, ad esempio, per il timore di dover andare in ospedale senza i documenti necessari, di essere scoperta dalle autorità israeliane e di dover pagare una cifra esorbitante per coprire qualsiasi tipo di procedura o trattamento medico”, ha raccontato ad Amnesty. Si era sposata nel 2003 quando aveva 18 anni ma, secondo la legge sulla cittadinanza, non poteva richiedere il ricongiungimento familiare fino al compimento dei 25 anni.

Un’altra donna è stata rifiutata mentre cercava di rinnovare la sua residenza permanente. Ora è confinata a Gerusalemme per paura di essere arrestata se attraversa i posti di blocco israeliani. Ha raccontato ad Amnesty International come la legge ha influenzato la sua vita:

“Dal 2008 non ho potuto vedere i miei figli quando volevo, perché non posso attraversare i posti di blocco militari israeliani. Posso vedere i miei figli e i miei nipoti solo attraverso le videochiamate. Ho passato 12 anni della mia vita cercando di risolvere questo problema, ma le autorità israeliane continuano a temporeggiare. Ho trascorso metà della mia vita presso gli uffici del Ministero dell’Interno o raccogliendo documenti per loro.  Questo è estenuante”.

Mansour di Adalah ha dettagliato i vari casi su cui ha lavorato in merito al ricongiungimento familiare e ha definito le loro esperienze “devastanti”. Un esempio che ha offerto:

“Durante la pandemia, una donna di Ramallah non poteva lasciare la città attraverso i posti di blocco perché era in corso il lockdown. Quindi ha dovuto vivere per almeno un mese lontano dai suoi figli e dalla sua famiglia perché non aveva la cittadinanza e non poteva tornare dove viveva la sua famiglia, e ha dovuto rimanere a Ramallah con i suoi genitori”.

In alcune situazioni, le persone potevano ottenere una patente di guida solo dopo 10 anni. In altri casi, gli individui non riuscivano a trovare lavoro nella Palestina occupata nel 1948 perché non avevano la cittadinanza.

Spesso i datori di lavoro non sono disposti ad assumere persone con il permesso di ricongiungimento familiare perché, poiché dura solo un anno, il loro status di residenza è visto come precario. Mansour ha riassunto:

“Le persone si innamorano e vivono insieme, si sposano e non pensano alle conseguenze. Ma alla fine quello che succede è che lasci il paese e vivi all’estero, che è una decisione che molte persone non vogliono prendere perché questa è la loro Patria. Dall’altra parte, ci sono persone che soffrono ogni giorno delle conseguenze di non poter riunificare la propria famiglia”.

Adalah ha lavorato con le famiglie su una potenziale prossima petizione contro la legislazione. Nel descrivere il disegno di legge, Mansour lo ha equiparato alle dottrine utilizzate dai regimi nazista tedesco e fascista italiano durante la Seconda Guerra Mondiale, in cui i governi discriminavano le persone a causa della loro nazionalità. “È una legge che attacca l’esistenza stessa dei palestinesi in quanto palestinesi”, ha detto.

Jessica Buxbaum è una giornalista con sede a Gerusalemme per MintPress News che si occupa di Palestina, Israele e Siria. Il suo lavoro è stato presentato in Middle East Eye, The New Arab e Gulf News.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org