Il mondo unito per le sanzioni alla Russia. Perché non può fare lo stesso per i palestinesi?

Ciò che i palestinesi hanno chiesto negli ultimi 50 anni, azioni internazionali per fermare un occupante aggressivo, è stato attuato per gli ucraini in soli sette giorni. Una richiesta parallela di tali azioni a beneficio dei palestinesi suona come uno scherzo stantio.

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Di Jack Khoury – 4 marzo 2022

Immagine di copertina: Gaza City, lo scorso maggio. Qualsiasi richiesta di condanna o sanzioni contro Israele incontra grida di antisemitismo o “un premio per il terrore”. (Credit: Emmanuel Dunand / AFP )

I leader palestinesi seguono gli sviluppi in Ucraina e si mordono le labbra. “Questo è il momento di rimanere in silenzio”, mi ha detto un alto funzionario palestinese. “Qualsiasi dichiarazione o presa di posizione ci costerà cara. Perché infastidire gli Stati Uniti e l’Occidente? Abbiamo un disperato bisogno del loro aiuto. E perché aprire un fronte contro i russi e Putin?”

Ma nonostante il silenzio, né Ramallah né Gaza nascondono la loro frustrazione e delusione visti i diversi messaggi provenienti dalla comunità internazionale. L’argomento secondo cui gli Stati Uniti e l’Europa hanno doppi standard non è nuovo. Sorge ogni volta che c’è una crisi internazionale in cui l’ “Occidente” interviene contro l’aggressione tirannica. Ma il caso ucraino mette ulteriormente a fuoco la lotta palestinese contro l’occupazione israeliana.

Ciò che i palestinesi hanno chiesto a gran voce negli ultimi 50 anni è stato rapidamente interiorizzato dall’Occidente in Ucraina. Le decisioni di mobilitarsi per fermare un occupante aggressivo, imporre sanzioni economiche, chiudere lo spazio aereo e boicottare eventi sportivi e culturali sono state attuate in soli sette giorni. Gli ucraini riceveranno armi, munizioni, supporto strategico e tecnologia che potrebbero logorare Vladimir Putin e i russi.

Una richiesta parallela di attuare risoluzioni da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e della più ampia comunità internazionale a beneficio dei palestinesi suona come uno scherzo stantio. Il diritto internazionale va bene per le lezioni. Qualsiasi iniziativa per fare un passo significativo alle Nazioni Unite, principalmente al Consiglio di Sicurezza, incontra il veto americano. Qualsiasi richiesta di condanna o sanzioni incontra grida di antisemitismo o “un premio per il terrorismo”, con l’accusa che ciò minerà gli sforzi per una soluzione a due Stati.

Molti palestinesi si schierano con Putin non perché sostengano la tirannia o abbiano sentimenti cinici come popolo occupato, ma per la comprensione che il mondo “illuminato” non abbraccia più giustizia, democrazia e diritti umani. Invece, agisce sulla base di considerazioni di sicurezza ed economiche. Se sei forte, possiamo parlare. Se sei debole, ti calpestiamo. Questa è l’equazione.

A Ramallah non devono andare fino al Cremlino per trovarne una prova. Basta visitare l’ufficio del leader di Hamas a Gaza, Yahya Sinwar. Quest’uomo, che agli occhi di Israele è a capo di un’organizzazione terroristica assassina, riceve più attenzione di tutte le personalità che circondano il Presidente Mahmoud Abbas alla Muqata.

Israele ha investito più sforzi militari e di intelligence a Gaza che in Cisgiordania negli ultimi 20 anni. Ogni missile lanciato da Gaza scuote l’opinione pubblica; la minaccia sulla grande Tel Aviv da sud è molto più grande che dall’altra parte della recinzione a poche miglia a est della città.

Per 25 anni, i leader palestinesi, principalmente Abbas, hanno scelto quello che può essere percepito come l’approccio “buono”. Ci sono stati quattro presidenti a Washington, almeno tre di loro hanno sostenuto una soluzione a due Stati. Ma il sogno sta svanendo. L’affermazione che qualsiasi accordo richiede la volontà di entrambe le parti viene infranta davanti ai nostri occhi.

Il discorso di Joe Biden della scorsa settimana contro l’occupazione di un altro popolo e contro l’aggressione russa può essere facilmente accolto dai palestinesi, ma tutti sanno che qui non accadrà nulla. Il mondo, toccato dalle immagini di rifugiati dalla pelle chiara e dagli occhi azzurri che si trascinano verso il confine di un Paese vicino, rimane indifferente alla vista di una donna dalla carnagione scura in hijab che cammina tra le rovine di Gaza City.

I palestinesi, principalmente la generazione degli Accordi di Oslo, comprendono questo messaggio. Questa è una generazione nata con la visione della pace 25 anni fa, una generazione ancora in attesa della comunità internazionale.

Traduzione di Beniamino Rocchetto  – Invictapalestina.org