Un giovane violinista palestinese racconta l’orrore degli abusi subiti durante la detenzione israeliana

Athal al-Azzeh, 14 anni, afferma che le forze israeliane lo hanno torturato e gli hanno negato i diritti fondamentali con una “spaventosa” reclusione durata 12 giorni.

Fonte: english version

Di Akram al-Waara a Betlemme, Palestina occupata – 29 aprile

Immagine di copertina: Athal al-Azzeh è tornato a casa dopo 12 giorni di detenzione che, a suo dire, “sembravano 12 anni”. (MEE/Akram al-Waara)

Quando Athal al-Azzeh, un giovane violinista palestinese impegnato nel consiglio studentesco, è stato arrestato dai soldati israeliani due settimane fa, ha temuto che la normalità della sua vita sarebbe finita.

“Ero davvero spaventato, non sapevo cosa mi sarebbe successo”, ha detto il quattordicenne a Middle East Eye. “Tutto quello a cui riuscivo a pensare erano la mia famiglia e i miei amici, e se erano tristi e spaventati come me”, ha detto Azzeh, raccontando il momento in cui i soldati israeliani gli hanno teso un’imboscata mentre camminava vicino a una base militare nella sua città natale di Betlemme, nel sud della Cisgiordania occupata.

Azzeh è stato arrestato il 15 aprile mentre si dirigeva a casa di sua nonna nel campo profughi di Beit Jibrin, sulla strada principale di Betlemme. Una jeep militare israeliana gli si è fermata accanto mentre camminava e quattro soldati armati sono saltati fuori e lo hanno afferrato.

“Uno dei soldati mi ha afferrato per il collo e mi stringeva così forte che mi sono sentito svenire e ho iniziato a perdere conoscenza”, ha raccontato Azzeh. “Poi mi hanno portato nella base militare e mi hanno gettato a terra. Una volta che mi hanno lasciato il collo, sono riuscito a respirare di nuovo e ho capito dov’ero”.

“Dopo che mi sono svegliato, hanno iniziato a prendermi a pugni, alla schiena, allo stomaco, alla faccia, ovunque. Mi urlavano addosso. Ero davvero spaventato”, ha detto. “Poi mi hanno ammanettato e portato in prigione”.

Quando Azzeh è arrivato nel centro di interrogatorio e detenzione all’interno dell’insediamento di Atarot, nel nord di Gerusalemme, ha detto di aver visto molti altri ragazzi palestinesi come lui, di età compresa tra i 15 e i 17 anni.

“Quando ho visto gli altri ragazzi, la mia mente ha iniziato a pensare freneticamente”, ha detto a MEE.

” Pensavo a tutte le cose che mi sarei perso. Pensavo alla mia famiglia e a come loro non sapessero dov’ero. Pensavo alla mia scuola, ai miei amici e alle mie lezioni di musica. Sentivo che i miei sogni stavano per finire”.

“Tattiche di tortura”

Dopo 12 giorni di detenzione, Azzeh è stato rilasciato alle 4 del mattino di mercoledì 27 aprile, dietro una cauzione di 4.000 shekel israeliani (1.200 dollari). Durante la sua reclusione, che gli è sembrata durare ” 12 anni”, è stato chiamato in giudizio quattro volte e quotidianamente interrogato dai servizi segreti israeliani e da ufficiali militari.

Le autorità israeliane hanno accusato Azzeh di aver lanciato pietre contro la base militare e di aver bruciato pneumatici, accuse che Azzeh ha categoricamente negato.

Il giorno dell’arresto l’adolescente è stato interrogato per ore, a digiuno. Ha detto che gli ufficiali israeliani gli hanno dato cibo e acqua per interrompere il suo digiuno più di due ore dopo il tramonto.

Prima che iniziassero gli interrogatori, il capitano israeliano incaricato di interrogarlo gli ha permesso di parlare al telefono con il suo avvocato per soli due minuti, ha detto Azzeh.

“Hanno messo l’avvocato in vivavoce e lui mi ha detto che non dovevo collaborare con loro e che avevo il diritto di rimanere in silenzio”, ha detto Azzeh. “Quando l’avvocato ha detto questo, il capitano ha riattaccato.”

Durante i 12 giorni di detenzione, Azzeh è stato interrogato senza la presenza di un avvocato o di un genitore.

“In qualsiasi altro paese democratico, se un bambino fosse stato arrestato, avrebbe avuto un avvocato presente durante qualsiasi tipo di interrogatorio”, ha detto a MEE il padre di Athal, Ahmed al-Azzeh.

“Il capitano mi ha lasciato parlare con lui per 30 secondi al telefono solo per chiedergli come stava. Dopo di allora, non abbiamo più saputo nulla di quello che gli stava accadendo. Non gli era permesso chiamarci o comunicare con noi.  Potevano avere sue notizie solo attraverso l’avvocato”, ha detto Ahmed.

Athal di nuovo nella sua casa tra le braccia amorevoli di suo padre e sua madre il 27 aprile 2022. (MEE/Akram al-Waara)

“Il giorno in cui mi hanno arrestato, mi hanno portato in una delle stanze degli interrogatori e hanno iniziato a urlare, chiedendomi di confessare di aver lanciato pietre e bruciato pneumatici”, ha detto Athal. “Quando ho detto che non avevo fatto quelle cose, l’interrogante si è arrabbiato e ha iniziato a urlare ancora più forte e a picchiarmi allo stomaco, alla schiena e al collo”.

Secondo l’adolescente, gli interrogatori gli hanno mostrato foto di ragazzi mascherati che rotolavano pneumatici e lanciavano pietre contro la base militare di Betlemme, dove era detenuto.

“Mi hanno detto che sapevano che ero io e che avevano mostrato le stesse foto ai miei genitori, e che i miei genitori avevano ammesso che ero io e che non avevo altra scelta che confessare”, ha detto.

Ahmed ha confermato che gli agenti avevano convocato sua moglie e le avevano mostrato le stesse foto a cui si riferiva suo figlio, tentando di convincerla a coinvolgerlo.

 “Gli agenti hanno usato diverse tattiche di tortura e minacce contro di lui e gli hanno detto che avrebbero arrestato me e sua madre se non avesse confessato”. Ahmed al-Azzeh, padre del bambino detenuto

“Ovviamente lei ha rifiutato e non ha ceduto ai loro tentativi di incastrare nostro figlio”, ha detto Ahmed a MEE.

Athal, fiducioso che i suoi genitori non lo avrebbero mai coinvolto in un crimine che non aveva commesso, ha continuato a respingere i tentativi di farlo confessare.

“Sentivo che volevano che dessi loro una risposta e che confessassi. E quando non davo loro quello che volevano, si arrabbiavano”.

“Gli agenti hanno usato diverse tattiche di tortura e minacce contro di lui e gli hanno detto che avrebbero arrestato me e sua madre se non avesse confessato”, ha detto Ahmed a MEE. “Hanno usato tutte le tattiche del loro repertorio contro un bambino di 14 anni, nel tentativo di costringerlo a una falsa confessione”.

“Sono molto orgoglioso di mio figlio, rimasto forte nonostante le loro intimidazioni e rifiutandosi di arrendersi”, ha detto Ahmed, riconoscendo che per suo figlio non era stato facile non cedere sotto la pressione di interrogatori professionisti.

Middle East Eye ha chiesto all’esercito israeliano di commentare le accuse mosse loro dalla famiglia Azzeh, ma al momento della pubblicazione ancora nessuna  risposta era stata inviata.

“Tentativo grossolano di giustificare la reclusione minorile”

Durante la sua prigionia il caso di Athal, a sua insaputa, è stato spinto sulla scena internazionale dalla top model palestino-olandese Bella Hadid, che ha condiviso un post su Instagram chiedendo la sua libertà.

Il post condiviso da Hadid è stato quindi pubblicato dall’attivista israeliano Yahav Erez, con una foto di Athal che suonava il violino. Il post richiedeva l’immediato rilascio del ragazzo e affermava che era “tenuto in ostaggio dall’Apartheid israeliano”.

Il post di Hadid ha suscitato le ire dei funzionari israeliani, in particolare del nuovo e primo “inviato speciale di Israele per la lotta all’antisemitismo e alla delegittimazione di Israele”, l’attrice israeliana Noa Tishby.

In un video di Instagram ora cancellato, Tishby ha accusato Hadid di “mentire e demonizzare Israele” e di “evidente antisemitismo”. Nel video, che è ancora visibile sulla pagina Twitter di Tishby, condivide informazioni di sicurezza apparentemente riservate sul caso di Athal, comprese le foto che sono state mostrate all’adolescente e a sua madre durante le rispettive sessioni di interrogatorio.

Tishby ha tentato di negare l’affermazione di Athal di essere stato “rapito e tenuto in ostaggio”, dicendo che era stato “incriminato due volte” e aveva una data di rilascio fissata per il 24 aprile, data rivelatasi falsa, poiché è stato rilasciato solo tre giorni dopo .

“Athal è stato arrestato per aver lanciato sassi e bruciato pneumatici, cosa per cui sarebbe stato arrestato negli Stati Uniti o in qualsiasi altro paese del mondo rispettoso della legge”, ha detto Tishby.

Ha continuato dicendo “dovrebbe concentrarsi maggiormente sul suo violino piuttosto che sulla violenza contro gli ebrei”.

I compagni di classe e gli amici di Athal manifestano per il suo rilascio fuori dalla prigione di Ofer a Ramallah il 26 aprile 2022 (MEE/Amjad Khawaja)

Il padre di Athal, Ahmed, commentando il video di Tishby, ha detto di essere “infuriato, indignato e sbalordito” quando lo ha visto.

L’ha definito una “sfacciata bugia e un disgustoso tentativo di giustificare l’arresto e l’incarcerazione di un bambino”.

“Quello che ha fatto la rappresentante ministero degli Esteri israeliano è stato ridicolo. Hanno cercato di giustificare l’arresto di un bambino di 14 anni, dicendo che stava lanciando pietre. Arrestare qualsiasi bambino è un crimine e usando il pretesto che stava lanciando pietre contro un esercito di occupazione è una scusa orribile”, ha detto.

“L’arresto da parte di Israele di bambini palestinesi in tutta la Cisgiordania è criminale. Questo è territorio occupato, non c’è alcuna giustificazione per la prigionia dei nostri bambini”.

Traumi di lunga durata

Giovedì Athal, tornato a casa tra le braccia amorevoli dei suoi genitori, ha detto di provare emozioni contrastanti.

“Mi sento così felice di essere tornato a casa. Voglio tornare alla mia vita normale, suonare il violino, studiare e uscire con i miei amici e la mia famiglia”, ha detto. “Ma sono ancora triste per quello che è successo e la mia mente è ora divisa tra la prigione e il mondo libero”.

“Quando mi hanno detto che potevo andare a casa ero molto felice, ma pensavo anche agli altri ragazzi che erano in prigione con me. Mi dispiace molto per loro, perché alcuni di loro potrebbero dover affrontare molti mesi o anni di carcere “, dice  Athal.

Secondo Defence for Children International – Palestina (DCIP), ogni anno circa 500-700 bambini palestinesi, alcuni di appena 12 anni, vengono detenuti e perseguiti nei tribunali militari israeliani.

L’ONG afferma che molti soffrono di traumi psicologici a lungo termine causati dalla loro detenzione, con sintomi quali enuresi notturna, disturbi del sonno e movimento autolimitante.

Secondo i dati raccolti da Addameer, una ONG che difende i diritti dei prigionieri politici palestinesi, attualmente nelle carceri israeliane ci sono circa 160 minori.

Il padre di Athal ha detto che spera che suo figlio non sia rimasto influenzato troppo emotivamente o psicologicamente dal suo arresto, ma sa che la famiglia ha una strada difficile da percorrere.

“Athal è stato rilasciato su cauzione, ma è ancora sotto processo in questo falso sistema giudiziario”, ha detto, riferendosi ai tribunali militari israeliani, che detengono un tasso di condanna del 99%.

“Questi tribunali militari sono una farsa. Sono progettati per opprimere i nostri figli. È impossibile ottenere un processo equo quando il tribunale stesso fa parte del sistema di occupazione”, ha affermato.

“Agli ufficiali israeliani che hanno interrogato Athal e tutti i bambini palestinesi: anche voi avete dei bambini nelle vostre case. Immaginate che un giorno si trovino nella situazione di Athal. Cosa fareste?” chiede Ahmed.

“Pensi di proteggere o salvare il tuo paese, ma arrestare e torturare i nostri bambini, creare più posti di blocco e rendere le nostre vite miserabili, non è il modo in cui libererai il tuo paese”, continua.

“Ci opprimete ogni giorno, e chiedete perché i ragazzi palestinesi lanciano pietre?”

 

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org