Perché Israele sta improvvisamente concedendo a Gaza migliaia di permessi di lavoro

L’attacco  israeliano a Gaza nel 2021 non è riuscito a danneggiare in modo significativo Hamas, con molti che incolpano di ciò la mediocrità dell’intelligence. Quale modo migliore per estorcere informazioni che offrire lavoro ai disperati?

Fonte: english version

Maha Hussaini – 25 aprile 2022

Gaza, Palestina occupata – Nell’ottobre 2021 divenne virale sui social media la fotografia di una folla di palestinesi che si ammassavano per presentare domande per un lavoro poco qualificato in Israele.

Nella fotografia, gli uomini agitano freneticamente i moduli compilati attraverso delle sbarre verso gli impiegati di una camera di commercio nell’enclave assediata da Israele dal 2007; un blocco che ha devastato l’economia di Gaza, ha visto la disoccupazione raggiungere il 50 per cento e ha lasciato i palestinesi in gran parte tagliati fuori dal mondo esterno.

Per quegli uomini poveri, incapaci di sfamare le loro famiglie, la prospettiva di lavorare in Israele, per quanto umile, doveva essere allettante

Per comprendere meglio la scena della fotografia, bisogna tornare a settembre, un mese prima che la foto fosse scattata e quattro mesi dopo che Israele aveva lanciato la sua brutale operazione militare di 11 giorni sulla Striscia di Gaza.

Era stato infatti a settembre che le autorità israeliane avevano annunciato che avrebbero consentito a 7.000 palestinesi di Gaza di essere impiegati in Israele svolgendo lavori poco qualificati.

Pochi giorni dopo, il Coordinamento israeliano delle attività governative nei territori (Cogat) – l’organismo incaricato degli affari civili palestinesi – affermò che le autorità israeliane avrebbero consentito ad altri 3.000 palestinesi della Striscia di lavorare in Israele, portando il totale a 10.000.

Il mese scorso, la quota è stata nuovamente aumentata, a 20.000.

La mossa di Israele è stata vista da molti come un tentativo di rafforzare la fragile calma tra Israele e Hamas, l’autorità de facto al governo della Striscia di Gaza, che ospita oltre due milioni di residenti.

Tale teoria sostiene che nell’allentare le pressioni economiche su Gaza, consentendo ad alcuni dei suoi cittadini di lavorare in Israele, la difficile  pace seguita al devastante attacco militare israeliano di maggio potrebbe reggere.

Il blocco israeliano di Gaza durato 15 anni ha devastato la sua economia (MEE/Mohammed al-Hajjar)

Tuttavia, come ha scoperto Middle East Eye, molti esperti palestinesi e israeliani, nonché gruppi per i diritti umani sul campo, credono che dietro la mossa di Israele possano esserci altre ragioni, non dichiarate.

Negli ambienti politici e militari israeliani è opinione che l’offensiva di maggio contro Gaza sia stata un fallimento, poichè sebbene l’esercito israeliano abbia causato molte distruzioni e perdite di vite umane, non è tuttavia  riuscita a danneggiare in modo significativo il sistema di lancio dei missili di Hamas e non è riuscita a eliminare membri di spicco della leadership militare o politica di Hamas, il che significa che la futura minaccia di Hamas è rimasta sostanzialmente invariata.

Secondo alcuni esperti, una delle ragioni principali di questi fallimenti è stata la scarsa intelligence sul campo nell’identificare gli obiettivi e l’ubicazione degli esponenti chiave di Hamas. E quale modo migliore per ottenere informazioni, se non avere una scorta costante di palestinesi disperati e impoveriti che passano ogni giorno attraverso i checkpoint, dove possono essere interrogati e forse costretti a trasmettere informazioni?

Permesso di lavoro

Per ottenere un permesso e passare attraverso il valico di Beit Hanoun (Erez), che Israele controlla nel nord della Striscia, i palestinesi devono soddisfare criteri israeliani molto severi e sottoporsi a controlli di sicurezza individuali.

Da quando è stato messo in atto il blocco, la stragrande maggioranza dei residenti di Gaza si è trovata incapace di soddisfare tali criteri, il che significa che gli sono state negate le cure mediche, la possibilità di studiare all’estero, lavorare in Israele o nella Cisgiordania occupata o di ricongiungersi con le loro famiglie.

Secondo l’Ufficio centrale di statistica palestinese, tra il 2015 e il 2020 solo lo 0,1% dei palestinesi di Gaza è stato autorizzato a lavorare in Cisgiordania,.

Tuttavia, nel quarto trimestre del 2019, le autorità israeliane hanno iniziato silenziosamente a concedere un numero limitato di permessi commerciali e di lavoro ai palestinesi di Gaza, in quello che sembrava essere un gesto per riportare la calma con Hamas. Questo processo è stato sospeso poco dopo con lo scoppio della pandemia di Covid-19.

Arriviamo al settembre 2021, con l’annuncio israeliano della ripresa dei permessi di lavoro.

“La decisione di aumentare la quota di permessi per il commercio è stata presa a livello politico a seguito di una valutazione di sicurezza sulla questione”, ha affermato Cogat in una nota.

La dichiarazione  continua affermando che la decisione era “condizionata al mantenimento della stabilità della sicurezza della regione a lungo termine”.

‘Divario di intelligence’

Nel maggio 2021, Israele lanciò il suo devastante attacco militare alla Striscia di Gaza, nome in codice Guardian of the Walls, meno di un mese dopo che l’esercito israeliano aveva dichiarato di aver preparato una lista di obiettivi per scoraggiare i gruppi armati, principalmente Hamas e la Jihad islamica.

Durante l’attacco, il generale Hidai Zilberman, portavoce dell’esercito israeliano, disse alla rete israeliana Army Radio che le forze del Paese avevano “una consistente lista di obiettivi e che volevano continuare e fare pressione su Hamas”.

Il 15 maggio, il sesto giorno dell’offensiva, i ministri del governo israeliano chiesero la fine dell’operazione poiché la lista dei bersagli di Israele si era “esaurita”, come riferito da Channel 13 – Israele.

Quel giorno, gli attacchi aerei israeliani  avevano raso al suolo un edificio di 12 piani nel centro di Gaza City utilizzato da numerosi organi di informazione, tra cui Middle East Eye, Al Jazeera e Associated Press.

Il numero totale dei palestinesi uccisi era arrivato a 140, di cui 39 bambini.

Ma secondo gli esperti israeliani, sebbene l’operazione sia riuscita a causare gravi danni alle capacità militari di Hamas, non sarebbe però riuscita a raggiungere i suoi obiettivi.

Omer Dostri, uno specialista di strategia e sicurezza israeliano, ha affermato che l’operazione presentava “lacune a livello operativo”, non essendo riuscita  a scoraggiare i gruppi armati nell’enclave costiera.

“Nell’ultima operazione, come in quelle che l’hanno preceduta, le IDF [forze di difesa israeliane] non sono riuscite a contrastare e distruggere in modo significativo il sistema di lancio di razzi e missili”, ha affermato Dostri in un articolo pubblicato sulla rivista IDF Maarachot.

“Molte delle principali armi strategiche delle forze terroristiche di Gaza sono ancora utilizzabili… l’IDF non è riuscito a eliminare alcun membro di spicco della leadership militare o politica di Hamas”, ha aggiunto.

Dostri ha affermato che il motivo per cui l’esercito israeliano non è riuscito a raggiungere i suoi obiettivi potrebbe essere “un divario di intelligence, un divario [nell’identificazione degli obiettivi] da parte dell’Air Force, o la paura di danneggiare coloro che non erano coinvolti”.

Dopo l’attacco, funzionari dell’esercito israeliano hanno affermato che Hamas sarebbe stata in grado di  “attaccare nuovamente Israele”, nonostante i tentativi di scoraggiarlo.

Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, una settimana dopo il raggiungimento del cessate il fuoco tra Israele e Hamas lo scorso maggio, alti funzionari dell’esercito hanno sostenuto in discussioni interne che era “impossibile determinare quanto Hamas fosse stato scoraggiato e in che modo i danni a Gaza avrebbero influenzato la sua decisione se lanciare presto un’altra campagna”.

“Continua a sganciare bombe”

Durante l’operazione di 11 giorni, le forze israeliane hanno ucciso 256 palestinesi, di cui 66 bambini. Secondo il ministero della Salute di Gaza, altri 1.948 palestinesi, inclusi 610 bambini, sono rimasti feriti.

Centinaia di luoghi sono stati presi di mira in aree densamente popolate della Striscia, compresi i quartieri civili, con circa 2.750 attacchi aerei e 2.300 proiettili di artiglieria.

Questa potrebbe essere un’ulteriore prova che l’esercito israeliano non era riuscito a identificare correttamente i suoi obiettivi.

In un’intervista al quotidiano britannico “Independent” nel 2020, un membro dell’aviazione israeliana ha affermato che durante le operazioni se c’era “mancanza di obiettivi, l’ordine era semplicemente di continuare a sganciare bombe ovunque per “fare rumore”.

Bombe israeliane sulla Striscia di Gaza durante il bombardamento israeliano del maggio 2021 (MEE/Mohammed al-Hajjar)

Funzionari palestinesi ed esperti israeliani ritengono che ci siano “ragioni non dichiarate” per cui le autorità israeliane hanno aperto la porta a migliaia di palestinesi di Gaza per lavorare in Israele. Una di queste, secondo alcuni esperti, è “colmare una lacuna di intelligence” reclutando collaboratori palestinesi per raccogliere informazioni sui membri dei gruppi armati o su determinate attività nella Striscia.

“Molti di coloro che di recente hanno partecipato  ai colloqui con i servizi di intelligence israeliani al valico di Beit Hanoun sono tornati riferendo  che il ministero [dell’Interno] aveva cercato di estorcere informazioni”, ha detto Rami Shaqra, colonnello del ministero dell’Interno di Gaza.

“Ad alcuni è stato offerto di collaborare con ufficiali israeliani per permessi di lavoro e di viaggio o denaro, e ad altri non è stato chiesto di collaborare, ma sono state invece poste domande casuali su alcune persone affiliate alla resistenza, sui loro parenti, amici o persino residenti nel loro quartieri”.

Ha aggiunto: “Siamo consapevoli che Israele utilizzerà questo passo per tentare di reclutare palestinesi per raccogliere informazioni sui residenti della Striscia, soprattutto perché Gaza è ora quasi un’area completamente chiusa ed è sempre più difficile per l’occupazione raccogliere determinati tipi di informazione.”

Shaqra ha affermato che i servizi di sicurezza a Gaza sono consapevoli della minaccia rappresentata da un simile passo e che “terranno d’occhio la questione”.

Murale vicino al confine di Erez tra Gaza e Israele che recita ” Vuoi  lavorare per Israele?”, con la risposta “Il palestinese non è un traditore” (Mohammed al-Hajjar/MEE)

Hillel Cohen, studioso israeliano e autore di “Army of Shadows: Palestine Collaborators with Zionism 1917-1948”, crede che le autorità israeliane stiano rilasciando permessi di lavoro per i palestinesi a Gaza come un modo per mantenere la calma nella Striscia, ma che stiano anche mirando a reclutare nuovi collaboratori.

“La motivazione principale è quella di ridurre la tensione nella [Striscia di Gaza]. Ma in effetti, è anche usata come strumento per reclutare collaboratori”, ha detto a MEE.

Coercizione dei palestinesi

Dall’imposizione del blocco di Gaza, le organizzazioni per i diritti umani hanno documentato dozzine di casi in cui Israele ha usato il suo controllo sui valichi per costringere i palestinesi a collaborare con i suoi servizi di intelligence in cambio di permessi di viaggio e di lavoro o cure mediche.

Il gruppo israeliano per i diritti umani Gisha ha recentemente documentato casi in cui è stato negato il permesso di lavoro a palestinesi per essersi rifiutati di collaborare con gli agenti di sicurezza israeliani al valico di Beit Hanoun.

“Questa pratica non è nuova. Israele usa il suo controllo sui valichi di terra per fare pressione sui residenti di Gaza affinché forniscano informazioni sui membri delle loro comunità”, ha detto a MEE Shai Grunberg, portavoce di Gisha.

“I residenti sanno che se non forniscono le informazioni, gli interrogatori dell’Agenzia per la sicurezza israeliana (ISA) potrebbero negare loro l’uscita, anche se hanno bisogno di cure mediche salvavita”.

Grunberg ha detto a MEE che in seguito alla decisione di Israele di concedere permessi di lavoro a migliaia di residenti di Gaza, la sua organizzazione aveva documentato casi in cui funzionari israeliani avevano negato ai titolari di permessi il loro diritto al lavoro.

“Uno dei nostri clienti, titolare di un permesso di commercio, ci ha detto di recente che quando è entrato nel valico, è stato preso da parte da rappresentanti israeliani che gli hanno chiesto di collaborare con Israele. Gli è stato detto che se si fosse rifiutato di farlo, non avrebbe potuto completare il suo viaggio ed entrare in Israele”, ha detto.

“Quando lui ha rifiutato, gli è stato requisito il permesso che gli era stato rilasciato dal lato palestinese del valico ed è stato rimandato a Gaza. Ci ha detto che la stessa cosa gli era successa tre volte nelle ultime due settimane. ”

Interrogare, estorcere, fare pressioni

Muhammed Abu Harbeed, un esperto di sicurezza palestinese, ha affermato che i colloqui degli ufficiali israeliani con i lavoratori palestinesi sono uno dei principali strumenti nel reclutamento dei collaboratori.

“I valichi e i territori occupati sono i due luoghi principali in cui l’ufficiale di reclutamento può incontrare la vittima [collaboratore] per interrogarlo, ricattarlo e spingerlo a fornire informazioni”, ha affermato.

“Israele usa il suo controllo sui confini per questo motivo, perché ogni giorno ci sono circa 1.200-2.400 palestinesi che attraversano il valico di Beit Hanoun, inclusi lavoratori, studenti e visitatori”.

Guardie controllano i documenti al valico di Beit Hanoun (MEE/Mohammed al-Hajjar)

Mentre i lavoratori riferiscono dozzine di esperienze simili, Grunberg ha affermato che Gisha ha anche ricevuto denunce da pazienti che vengono regolarmente ricattati dagli ufficiali israeliani per il loro diritto alla circolazione e alle cure mediche.

Le autorità israeliane negano che tali interrogatori siano utilizzati per raccogliere informazioni sulla sicurezza o per reclutare collaboratori.

Tuttavia, nel 2015, Channel 10 – Israele ha pubblicato una conversazione in cui Lior Lotan, rappresentante del primo ministro israeliano per i prigionieri e le persone scomparse, ha ammesso che i servizi di intelligence israeliani al valico di Beit Hanoun hanno usato il loro controllo sul confine per costringere i palestinesi a fornire informazioni.

“Quando le persone, i parenti di esponenti di Hamas, le persone anziane… Quando volevano entrare in Israele per cure mediche,  dicevamo loro: ‘no, portaci informazioni su Avera’”, ha detto, riferendosi ad Avera Mengistu, un israeliano che  entrò a Gaza nel settembre 2014 e che fu arrestato da Hamas.

“Politica di domesticazione”

Secondo un rapporto del 1994 pubblicato dall’organizzazione israeliana per i diritti umani B’tselem, dalla Guerra Arabo-Israeliana dei Sei Giorni del 1967 – che portò all’occupazione israeliana di Gerusalemme est, della Cisgiordania e della Striscia di Gaza – Israele ha reclutato decine di migliaia di palestinesi per servire come collaboratori e raccogliere informazioni.

In quanto potere di governo sui palestinesi, Israele è responsabile della fornitura di servizi vitali al popolo occupato. La loro dipendenza da tali servizi ha aiutato Israele a costringere molti di loro a collaborare, anche attraverso ricatti, minacce e incentivi. Tutto ciò nonostante il diritto internazionale vieti qualsiasi atto obblighi gli individui a collaborare con una potenza occupante.

Secondo Hillel Cohen, studioso israeliano, il reclutamento da parte di Israele di collaboratori palestinesi è stato più intenso negli anni ’70 e ’80, quando li ha utilizzati per raccogliere informazioni sui membri dei gruppi armati palestinesi, molti dei quali sono stati successivamente assassinati.

Una fonte vicina al ministero dell’Interno di Gaza ha detto a MEE che, consentendo a migliaia di residenti di Gaza di viaggiare e lavorare in Israele a condizioni rigorose, le autorità israeliane stavano tentando di attuare una “politica di domesticazione”.

“Vogliono fare in modo che la popolazione di Gaza veda questa opportunità come un privilegio che perderebbero unendosi o sostenendo la resistenza”, ha affermato la fonte.

Secondo Muhammed Abu Harbeed, l’esperto di sicurezza palestinese, Israele sta cercando di “cambiare l’equazione nella Striscia”, usando il suo controllo dei valichi per imporre una politica di “reclutamento collettivo” della popolazione.

“Israele impone politiche diverse e utilizza vari strumenti per cambiare la situazione attuale […] La dimensione politica dietro questo passaggio è maggiore della dimensione di sicurezza e operativa”, ha affermato.

“Israele vuole dare a Gaza qualcosa che avrà paura di perdere nel caso in cui la resistenza dovesse attaccare Israele. Lavora per far sì che la resistenza ci pensi due volte prima di lanciare un razzo sui territori occupati, in quanto a causa di tale atto migliaia di residenti di Gaza potrebbero perdere  il lavoro e così la povertà e i tassi di disoccupazione aumenterebbero”.

Favori non obblighi

Meno di un mese dopo che il ministero israeliano per la cooperazione regionale aveva dichiarato che il governo avrebbe aumentato il numero di permessi per i palestinesi a Gaza a un totale di 20.000, Cogat ha annunciato la chiusura del valico di Beit Hanoun in quella che ha affermato essere una risposta ai razzi lanciati dalla Striscia nel corso delle tensioni a Gerusalemme per i raid israeliani nella moschea di al-Aqsa.

“A seguito dei razzi lanciati ieri sera dalla Striscia di Gaza verso il territorio israeliano, è stato deciso che la prossima domenica l’attraversamento in Israele per i commercianti e i lavoratori di Gaza attraverso il valico di Erez non sarà consentito “, ha detto Cogat in una dichiarazione sabato.

La chiusura probabilmente finirà quando verrà ripristinata una relativa calma, ma misure punitive simili non sono una novità per Gaza.

Moshe Dayan, l’allora ministro della Difesa israeliano, disse nel 1967: “Fai sapere all’individuo che ha qualcosa da perdere. La sua casa può essere fatta saltare in aria, la sua patente può essere requisita, può essere espulso dalla regione; o il contrario : può vivere con dignità, fare soldi, sfruttare altri arabi e viaggiare nella sua auto”.

Nel suo libro del 1995 “The Carrot and the Stick”, Shlomo Gazit, il primo coordinatore israeliano delle attività del governo nei territori palestinesi, scrisse che la politica israeliana mirava a “creare una situazione in cui la popolazione ha qualcosa da perdere, una situazione in cui la sanzione effettiva è la revoca dei benefici”.

Secondo B’tselem, dall’occupazione israeliana dei territori palestinesi, le autorità hanno visto la concessione di servizi vitali e civili ai palestinesi come “favori ed espressioni di buona volontà che possono essere revocati in qualsiasi momento”, piuttosto che un obbligo che si assume come potenza occupante.

L’organizzazione ha affermato che, per anni, Israele ha utilizzato due metodi principali per reclutare collaboratori: “Subordinando la concessione di servizi essenziali e permessi alla collaborazione; e promettendo a individui sospettati, accusati o condannati per reati di sicurezza e criminali, che le accuse sarebbero state ritirate, le loro pene alleggerite o le loro condizioni migliorate in cambio della loro cooperazione e assistenza”.

I ripetuti attacchi di Israele al settore economico di Gaza, così come le rigide restrizioni imposte ai confini della Striscia, hanno continuato a condannare alla disoccupazione e alla povertà migliaia di suoi residenti.

Nel 2012, Cogat fu costretta a rilasciare un documento del 2008 che descriveva in dettaglio le “linee rosse” di Israele per il “consumo di cibo nella Striscia di Gaza”, a seguito di una battaglia legale promossa da Gisha.

A causa delle restrizioni israeliane, all’inizio del 2022 due terzi della popolazione di Gaza erano in condizioni di insicurezza alimentare (MEE/Mohammed al-Hajjar)

Il documento, redatto quasi un anno dopo che Israele aveva rafforzato il blocco sulla Striscia, calcolava il numero minimo di calorie di cui ogni palestinese aveva bisogno per evitare la malnutrizione.

A causa delle restrizioni israeliane, all’inizio del 2022 due terzi della popolazione di Gaza (64,4%) erano in condizioni di insicurezza alimentare.

Dopo l’offensiva di maggio, il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 45 per cento, mentre il tasso di povertà ha raggiunto il 64 per cento, quasi il doppio di quello della Cisgiordania e di Gerusalemme est, con un aumento di almeno il 19 per cento nei 15 anni dall’imposizione del blocco.

La fame come strumento

L’offensiva israeliana ha avuto conseguenze catastrofiche sul già fragile settore economico, provocando la distruzione di 20 fabbriche e rendendo disoccupati almeno 5.000 lavoratori.

Con il deterioramento della situazione nell’enclave e con le rigide restrizioni imposte a commercianti, agricoltori e pescatori, i residenti di Gaza hanno trovato sollievo nell’allentamento da parte di Israele delle restrizioni sui permessi di lavoro.

Abujayyab (pseudonimo, poiché i lavoratori preferiscono rimanere anonimi per paura di perdere il permesso di lavoro), che ha un master in economia aziendale e in precedenza ha lavorato come docente universitario, attualmente lavora come operaio edile in Israele a causa dei bassi salari e alla mancanza di opportunità di lavoro a Gaza”.

Lui e dozzine di altri stanno frequentando corsi di ebraico a Gaza per poter comunicare con i loro datori di lavoro in Israele. Nel frattempo, centinaia di altri giovani, per lo più laureati, frequentano i corsi nella speranza di ottenere permessi di lavoro per  svolgere umili lavori in Israele.

Uomini che frequentano corsi di ebraico a Gaza nella speranza di ottenere permessi per lavorare facendo lavori umili in Israele (MEE/Mohammed al-Hajjar)

“La mia paga all’università era di circa 420- 560 dollari ogni sei mesi. Non copriva nessuno dei bisogni della mia famiglia; la spendevo tutta nei trasporti”, ha detto a MEE.

“In Israele ricevo circa 350-400 shekel (110-140 dollari ) al giorno. Non è che preferisco lavorare in Israele, ma ho bisogno di un lavoro che mi permetta di comprare cibo per la mia famiglia.

“Se potessi trovare un lavoro pagando solo 50 shekel al giorno a Gaza, rimarrei e lavorerei qui”.

Hanine Hassan, studiosa palestinese e vicepresidente di Euro-Med Human Rights Monitor, ha affermato che Israele ha usato per decenni la fame come strumento di controllo sui palestinesi a Gaza.

“Oltre alla minaccia imminente per la vita dei palestinesi quando i lavoratori si avvicinano a un posto di blocco israeliano, quei permessi di lavoro sono una forma sfumata di lavoro forzato sotto il dominio coloniale, poiché ai lavoratori palestinesi non viene offerto nessun altro mezzo di sopravvivenza”, ha detto a MEE.

“L’assedio coloniale e il sistematico de-sviluppo della Striscia di Gaza nel corso di cinque decenni hanno spinto i palestinesi affamati a chiedere permessi di lavoro israeliani.

“Questi permessi non solo rappresentano lo sfruttamento dei corpi e delle terre palestinesi, ma costringono anche i lavoratori palestinesi a contribuire all’ulteriore sradicamento della liberazione nazionale e delle loro aspirazioni”.

 

Traduzione di Grazia Parolari  “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali -Invictapalestina.org