Cosa ci possono insegnare gli anniversari del trattato di Oslo e del massacro di Sabra e Shatila a proposito della lotta palestinese?

La commemorazione della farsa e degli aspri tradimenti ogni settembre è un rituale doloroso attraverso il quale i palestinesi riflettono sulla continua necessità di liberazione.

Fonte:  english version

di Omar Zahzah, – 18 settembre 2022

Il mese di settembre è ormai diventato l’emblema di una serie di devastazioni storiche per il popolo palestinese e la sua lotta.

La commemorazione delle continue farse e dei devastanti tradimenti  compresi  in queste brevi quattro settimane è un rituale doloroso attraverso il quale i palestinesi riflettono sulla continua necessità di liberazione.

Inoltre, è un momento per  considerare i vari modi in cui la nostra libertà ha continuato ad essere negata e sabotata dalla violenza coloniale e imperiale, così come dal grossolano opportunismo e dal tradimento del cosiddetto movimento di liberazione.

Martedì 13 settembre, ha segnato il 29° anniversario della firma degli Accordi di Oslo nel 1993, che hanno dato avvio  al cosiddetto “processo di pace” mediante il quale gli individui all’interno del moderno movimento di liberazione palestinese hanno deposto le armi in cambio dell’arricchimento personale di pochi. Avevano anche la convinzione fuorviante che tale capitolazione avrebbe concesso loro una maggiore legittimità politica agli occhi di Washington e degli organismi internazionalisti eurocentrici.

Un caso di studio sul tradimento

È un esercizio di profondo masochismo politico riflettere su quanto spargimento di sangue sia stato scaturito  dalla nauseante stretta di mano tra il presidente dell’OLP Yasser Arafat e il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin, un criminale di guerra certificato, sul prato della Casa Bianca sotto lo sguardo soddisfatto e raggiante  di Bill Clinton.

Elementi reazionari all’interno del movimento palestinese hanno cessato la lotta armata per nient’altro che per la vaga  possibilità che un giorno, in qualche modo, i palestinesi potessero raggiungere uno stato proprio attraverso la negoziazione borghese.

È come se l’asimmetria di potere tra colonizzatore e colonizzato potesse semplicemente scomparire nell’atto di riunirsi, tête-á-tête, a un tavolo di trattativa.

Il fatto che i palestinesi non hanno altro da mostrare, 29 anni dopo, se non  la crescente ghettizzazione e la colonizzazione illimitata della terra palestinese; l’escissione dei profughi palestinesi e degli esiliati da considerazioni politiche; e la violenza repressiva per mano sia dello stato coloniale sionista che dei criminali lacchè dell’Autorità Palestinese corrotta   è un’ampia dimostrazione di quanto sia stata ridicola questa presunzione fin dall’inizio.

Omicidio coloniale 

Come se ciò non bastasse, il 16-18 settembre è stato  anche il 40° anniversario del massacro di Sabra e Shatila. In questo giorno nel 1982, le milizie falangiste fasciste libanesi sono scese nel quartiere di Sabra a Beirut e nel campo profughi palestinese di Shatila e hanno massacrato migliaia di persone in una frenesia genocida.

Il massacro è stato sostenuto dalle forze di occupazione israeliane – che avevano invaso e occupato il Libano nel tentativo di scacciare la resistenza palestinese – e compiuto con la piena consapevolezza e l’inerzia intenzionale degli Stati Uniti.

Il bagno di sangue che ne è seguito è avvenuto sulla scia del “piano Reagan” imperialista degli Stati Uniti, una politica con cui Washington ha respinto la necessità di uno stato palestinese a favore di una normalizzazione riuscita con Israele come centrale per l’adempimento della risoluzione 242 sulla sicurezza delle Nazioni Unite e ha chiesto alla Giordania di parlare a nome dei palestinesi nei negoziati.

Questa crudele giustapposizione rivela la sovrapposizione tra la brutalità fisica dell’omicidio coloniale e il depotenziamento politico che le forze oppressive come gli Stati Uniti coloniali applicano al Sud del mondo perseguendo il dominio geo-imperiale.

Dopo il massacro, le autorità di occupazione israeliane hanno pubblicato il rapporto della Commissione Kahan che, come sostiene l’intellettuale palestinese Steven Salaita, ha seguito un modello più ampio di auto-assoluzione coloniale. In particolare, il Rapporto della Commissione Kahan è stato celebrato da organi di stampa corporativi liberal-imperialisti come il New York Times.

L’eredità di Sabra e Shatila, in cui le vittime sono state uccise impunemente, rimane quattro decenni dopo, rispecchiato da ciò che hanno fatto le autorità coloniali israeliane dopo che le forze di occupazione hanno assassinato la giornalista palestinese Shireen Abu Akleh. (Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden non si è nemmeno preso la briga di imparare a pronunciare correttamente il suo nome.)

Ma, come si evince dal lavoro di Robert Fisk, il massacro di Sabra e Shatila ha anche galvanizzato una nuova etica giornalistica di opposizione che ha sfidato l’uso sionista del “terrorismo” come pretesto per massacri di massa e false accuse di “antisemitismo” contro coloro che difendono i palestinesi e i libanesi assassinati dai fascisti locali con l’aiuto delle forze di occupazione israeliane e un sigillo di approvazione degli Stati Uniti.

Si presume che il bilancio totale delle vittime sia compreso tra 800 e 2.000 palestinesi e almeno 100 libanesi. Tuttavia, come osserva lo storico Rashid Khalidi, poiché le forze libanesi hanno rapito molte persone che non sono mai state trovate, il numero completo delle vittime potrebbe non essere mai completamente noto.

All’indomani di Sabra e Shatila, i giornalisti per la prima volta hanno potuto trasmettere direttamente gli orrori che hanno affrontato sul campo senza pressioni da parte dei loro datori di lavoro. È in questo senso che il massacro ha creato un cambiamento nel modo in cui giornalisti e attivisti hanno sfidato la narrativa dominante sulla Palestina.

Sheikh Jarrah protest
Attivisti protestano contro l’espulsione di palestinesi dalle loro case per far posto ai coloni ebrei nel quartiere annesso di Sheikh Jarrah a Gerusalemme est il 28 maggio 2021(AFP)

Oggi, i palestinesi sono in grado di aggirare i tradizionali organi di stampa e richiamare l’attenzione sulla violenza sionista attraverso i social media, come abbiamo visto nel maggio 2021 quando gli attivisti di Sheikh Jarrah hanno condiviso le loro storie e le loro lotte con il mondo.

Sebbene i giganti della tecnologia della Silicon Valley continuino insidiosamente a praticare l'”apartheid digitale” contro i palestinesi, nessuna quantità di cancellazioni potrà mai portare via ciò che il mondo ha già visto.

Fine del lutto perpetuo

Come Oslo, l’eredità del massacro di Sabra e Shatila espone la violenta impossibilità di realizzare giustizia per il popolo palestinese attraverso mezzi diplomatici finché il carattere coloniale dell’entità sionista e il dominio imperiale degli Stati Uniti rimangono intatti.

È ormai tempo di smettere di aspettarsi un briciolo di benevolenza dagli imperialisti Stati Uniti o dal loro alleato, lo stato colonizzatore sionista .

Onorare i martiri caduti dalla formazione di Israele e attraverso la violenza legittimata dall’inizio del cosiddetto “processo di pace” richiede nientemeno che il fermo impegno a sostenere la resistenza palestinese in tutte le forme, compresa la lotta armata militante.

Come ho scritto altrove, “una terminologia più accurata per l’accordo di Oslo sarebbe il ‘processo dei pezzetti'(n.d.t. Peace: pace viene sostituita con “piece” che ha lo stesso suono ma significa “pezzo”), perché la libertà palestinese continua ad essere abrogata e ignorata man mano che sempre più terra viene colonizzata, pezzo per pezzo”.

Mentre osserviamo le forze di occupazione israeliane sfacciatamente fare irruzione, sequestrare e distruggere le case dei palestinesi e designare qualsiasi organizzazione che si adopera per garantire che Israele affronti la responsabilità dei suoi crimini come organizzazioni “terroristiche”, è ormai tempo di smettere di aspettarsi qualsiasi briciolo di benevolenza dagli imperialisti Stati Uniti o il suo alleato, lo stato coloniale e colonizzatore sionista.

Dobbiamo sostenere la resistenza dei palestinesi colonizzati in tutte le forme, proprio perché, in quanto popolo colonizzato, i palestinesi devono rivendicare con la resistenza il potere e l’azione concreta che i loro colonizzatori e alleati continuerebbero volentieri a negare per garantire il futuro del dominio imperial-coloniale.

Pertanto non possiamo ridurre il lavoro politico palestinese in sfere che rafforzino la legittimità e l’oppressione delle forze molto nefaste che hanno istituito e continuano a sostenere la morte e la disumanizzazione dei palestinesi.

Per ora, oltre all’osservazione continua e al necessario lamento di questi sconvolgenti baratri , dobbiamo garantire che la loro memoria sia incanalata verso il sostegno per la resistenza che crea futuro con ogni mezzo necessario ai palestinesi.

Ciò include coloro che coraggiosamente continuano a prendere le armi, a scendere in piazza e declamare “basta” nel respingere il fallimento etico degli Accordi di Oslo, e che rifiutano ulteriormente di accettare che i negoziati con e tra i poteri  coloniali ed imperiali produrranno tutto tranne che più morte e distruzione per il loro popolo.

I palestinesi meritano molto di più di un lutto perpetuo, nientemeno che la libertà totale e assoluta e la liberazione della nostra patria, dal fiume al mare.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Omar Zahzah è uno scrittore, poeta, studioso indipendente e organizzatore. Omar è il coordinatore del dipartimento di Advocacy e Istruzione dell’organizzazione Eyewitness Plaestine,nonché membro del Movimento giovanile palestinese (PYM) e della campagna statunitense per il boicottaggio culturale e accademico di Israele (USACBI). Omar ha conseguito un dottorato di ricerca in letteratura comparata presso l’Università della California,* Los Angeles (UCLA.)

 

Omar Zahzah is a writer, poet, independent scholar, and organizer. Omar is the Education and Advocacy Coordinator for Eyewitness Palestine, as well as a member of the Palestinian Youth Movement (PYM) and the US Campaign for the Cultural and Academic Boycott of Israel (USACBI.) Omar holds a PhD in Comparative Literature from the University of California,* Los Angeles (UCLA.)

traduzione di Nicole Santini -Invictapalestina.org