Crisi dei rifugiati: come la morte di una ragazza impersona le colpe dell’Europa nella tragedia del Mediterraneo

Il caso di Rawnd Alayde, una palestinese siriana morta durante il viaggio verso la Germania, mette in luce le colpe, storiche e attuali, dell’Europa.

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Pietro Stefanini – 26 settembre 2022

Immagine di copertina: Famiglie di profughi sbarcano sull’isola greca di Lesbo dopo aver attraversato il Mar Egeo dalla Turchia nel novembre 2015 (AFP)

Mentre la situazione dei palestinesi in Siria viene spesso dimenticata nei dibattiti sulle crisi dei rifugiati, i loro viaggi di emigrazine offrono l’opportunità di riflettere su come vengono gestiti i confini europei, sulla violenza della guerra siriana e sulla permanenza del colonialismo israeliano.

Alla fine dello scorso anno, è emersa la notizia che una barca diretta dalla Turchia verso l’Italia era affondata nel Mar Egeo vicino alla costa greca, provocando la morte di 18 persone. Rimasi scioccato nel svenire a sapere dal mio ex manager che una giovane donna, Rawnd Alayde, era a bordo ed era tra gli otto palestinesi provenienti dalla Siria che erano  morti.

PARAGRAFO ‘Le autorità avrebbero potuto salvarle la vita se le avessero concesso il diritto di riunirsi con noi’- padre della rifugiata palestinese Rawnd Alayde

Dopo che le era stata negata una domanda di ricongiungimento familiare perché aveva compiuto 18 anni, Rawnd aveva cercato di contattare i suoi genitori e i suoi quattro fratelli in Germania. Nel 2017, una collega ed io avevamo visitato l’abitazione temporanea di Rawnd in Giordania come parte di un rapporto che stavamo preparando per un’organizzazione della società civile palestinese, con l’obiettivo di aumentare la consapevolezza sulla difficile situazione della sua famiglia.

Circa mezzo milione di rifugiati palestinesi vivevano in Siria prima della rivolta del 2011 e della guerra che ne seguì. Dopo la pulizia etnica della Palestina del 1948 che portò alla creazione dello stato di Israele, 100.000 palestinesi  fuggirono in Siria e generalmente si integrarono nella classe operaia. Quando la casa di Rawnd a Yarmouk, un campo di Damasco che ospitava la più grande comunità palestinese del paese, fu distrutta da un attacco aereo dell’esercito siriano, lei fuggì con sua madre e le sue sorelle in Giordania.

Impossibilitato a unirsi a loro, suo padre, Mohammed, rimase a Yarmouk. Durante la guerra siriana, lavorava come autista di ambulanze per la filiale siriana della Mezzaluna Rossa Palestinese. Quando  lo intervistai nel 2017,  ricordò le storie strazianti del conflitto: la fame era diventata un’arma di guerra dopo che il regime siriano aveva imposto un assedio a Yarmouk mentre combatteva gruppi armati, incluso lo Stato Islamico (IS). Sul punto di morire di fame, Mohammed aveva perso 50 chilogrammi e aveva iniziato a mangiare erba.

‘E’ una catastrofe’

Temendo di essere preso di mira dall’IS a causa del suo lavoro sociale nel campo, Mohammed fuggì da Yarmouk e cercò di raggiungere la Turchia. Ma durante il viaggio, disse  di essere stato detenuto e torturato a Idlib da membri dell’esercito siriano libero, che lo accusavano di essere un membro dell’IS.

Quando la casa di Rawnd nel campo di Yarmouk  fu distrutta da un attacco aereo dell’esercito siriano, lei fuggì  con la madre e le sorelle in Giordania

Anche dopo che Moahammed raggiunse finalmente la Germania e chiese asilo, la prova era tutt’altro che finita. Il resto della sua famiglia era in Giordania, in attesa del processo di ricongiungimento familiare. Mohammed temeva il destino della figlia maggiore, Rawnd: “Non riesco a dormire, non riesco a mangiare perché ho tanta paura che la Germania non la includa nella mia richiesta di ricongiungimento familiare. E se non lo fanno, allora è una catastrofe”, mi disse nel 2017.

Nel dicembre 2021 le sue peggiori paure si concretizzarono. Quando Mohammed chiese il ricongiungimento familiare, Rawnd rientrava nella fascia di età accettata, ma quando la richiesta fu approvata, aveva ormai compiuto i 18 anni – e quindi fu esclusa dal processo e le fu impedito di viaggiare in Germania con sua madre e i suoi fratelli.

Dopo anni vissuti da sola in un paese straniero, Rawnd voleva disperatamente riunirsi con la sua famiglia, cosa che alla fine l’ha portata a rischiare il viaggio in barca. Dopo aver appreso del destino di sua figlia, Mohammed ha detto: “Mi sono svegliato con la straziante notizia che mia figlia ha esalato l’ultimo respiro in mare. Avrei voluto abbracciarla forte. Le autorità avrebbero potuto salvarle la vita se le avessero concesso il diritto di riunirsi con noi”.

La procedura di ricongiungimento familiare in Germania e la sua esclusione degli over 18, una politica comune in Europa, è in parte responsabile della morte di Rawnd. Tali politiche dovrebbero essere abolite.

Aggiungendo al danno la beffa, le autorità greche accusarono i tre rifugiati siriani che  avevano accettato di guidare la barca di essere trafficanti.. Mentre in passato le imbarcazioni erano effettivamente guidate dai trafficanti, la maggiore militarizzazione delle frontiere e la criminalizzazione della migrazione da parte dell’Europa ha fatto sì che questo compito venga ora affidato a rifugiati vulnerabili. In questo caso, i tre uomini sono stati condannati a più di 100 anni di carcere, una misura crudele che ha poco a che fare con il raggiungimento della giustizia.

Confini chiusi

Mentre dopo il 2011 i paesi vicini alla Siria hanno subito il peso maggiore della crisi dei rifugiati, i confini con la Palestina, sotto il dominio coloniale dei coloni israeliani, sono rimasti chiusi. Attingendo al lavoro degli storici Johnny Mansour e Ilan Pappe, possiamo ipotizzare cosa sarebbe potuto accadere se Israele avesse consentito alla comunità palestinese entro i suoi confini di assorbire i profughi palestinesi in fuga dalla Siria.

Il campo siriano devastato di Yarmouk è raffigurato il 7 gennaio 2022 (AFP)

Come suggeriscono, l’assorbimento “sarebbe non solo di persone dello [stesso] background nazionale, etnico, religioso o culturale, ma in molti casi di parenti stretti”. Eppure, Israele si oppone all’accettazione dei rifugiati dalla Siria, per non parlare dei palestinesi rimpatriati.

La risposta globale all’invasione russa dell’Ucraina e alla conseguente crisi dei rifugiati ha gettato ulteriore luce su come la razza regoli gli atteggiamenti degli stati occidentali nei confronti dei rifugiati non bianchi. Le nette differenze tra l’approccio a braccia aperte nei confronti dei rifugiati bianchi ucraini, che le democrazie liberali occidentali considerano “più simili a noi”, e le politiche restrittive per i rifugiati che spesso provengono da stati precedentemente colonizzati, evidenziano questa logica razzista.

Nel frattempo, Israele ha recentemente invitato i rifugiati ebrei ucraini a ottenere la cittadinanza e diventare coloni su terre sottratte ai palestinesi, anche se a più di cinque milioni di rifugiati palestinesi continua a essere negato il diritto di tornare in patria, per i timori israeliani di un cambiamento demografico.

È anche fondamentale riflettere sulle politiche restrittive dell’Europa nei confronti dei rifugiati. Nonostante la sua ricchezza, l’Europa, accoglie solo una frazione dei rifugiati del mondo. E questa ricchezza è stata accumulata principalmente dallo sfruttamento dei territori colonizzati; come ha scritto Frantz Fanon: “L’Europa è letteralmente una creazione del Terzo Mondo”. Le argomentazioni che descrivono i rifugiati come “ladri” dei benefici del welfare dello stato liberale negano questa storia di espansione imperiale europea.

Concentrandosi sul caso della Gran Bretagna, l’accademica Nadine El-Enany sostiene che la migrazione irregolare per reclamare il bottino dell’impero è una forma di resistenza anticoloniale. Molti stati europei oltretutto continuano a trarre profitto dal commercio mondiale di armi, alimentando le stesse guerre che producono i rifugiati.

Rawnd è stata solo una dei tanti che continuano a morire sulle “barche della morte” che attraversano il Mar Mediterraneo. Piuttosto che fare appello a una benevolenza liberale per i rifugiati vulnerabili, dobbiamo concentrarci sulle questioni di giustizia riparativa per il passato coloniale che ancora ossessiona il nostro presente.

Pietro Stefanini è dottorando in Politica presso l’Università di Edimburgo. Ha pubblicato un articolo sulla resistenza anticoloniale e ha un capitolo nel libro a cura di Open Gaza: Architectures of Hope (2021). Pietro ha curato il libro UNRWA at 70: Palestine Refugees in Context (2020).

 

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org