Libano: un secolo di discriminazione contro i curdi

Nonostante il fatto che la maggior parte dei curdi abbia ottenuto la cittadinanza libanese attraverso diverse fasi, un gran numero di loro è ancora apolide e privato dei diritti di cittadino ordinario.

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Siba Soukarieh – 31 agosto 2022

“Il sentimento di appartenenza al Libano è difficile da provare per alcuni di noi, perché il governo libanese ci ha sempre trattato come cittadini di seconda classe. Mentre cercavamo di ottenere il minimo necessario per vivere, siamo stati emarginati, abbiamo affrontato molti ostacoli e siamo stati considerati esclusivamente come strumento elettorale. I nostri figli hanno perso il senso di appartenenza, alcuni di loro sono andati in  zone di combattimento, hanno imbracciato armi per difendere la loro patria d’origine, il Kurdistan, e lì hanno sacrificato la loro vita”.

Con queste parole Ghazala Saado, una donna curda libanese di 65 anni, descrive la situazione dei suoi parenti libanesi.

Ghazala è nata nella regione siriana di Qamishli, dopo che i suoi genitori libanesi decisero di tornare nella loro città natale. Ma prima che compisse un anno, la sua famiglia tornò in Libano. Racconta a Raseef22 che i suoi nonni hanno vissuto nel sobborgo di Borj Hammoud a Beirut: “mio nonno  possedeva una proprietà sulla Corniche Al Naher. La vendette e tornò in Siria”.

Ha detto che sua nonna “non si sentiva a suo agio, perché viveva lontana dai suoi parenti”, quindi tutta la famiglia tornò in Siria. Ma sette mesi dopo, cambiarono opinione e tornarono in Libano “per sfuggire alla povertà. Da allora si stabilirono qui”.

Superiorità e stereotipi

Ghazala si considera una di quelle che “si sono adattate alla vita qui (a Beirut)”. Si è sposata con suo cugino, anche lui curdo, e hanno avuto tre figli: due maschi e una femmina. “I due ragazzi hanno svolto il servizio militare nell’esercito libanese, come qualsiasi ragazzo a quel tempo”.

Nonostante la sua convinzione che molti curdi non provino alcun senso di appartenenza al Libano, lei afferma che : “Non ho mai avuto la sensazione di non appartenere a questo posto. Fin dalla mia infanzia la nostra vita è stata facile, soprattutto perché i miei genitori sono stati tra i primi ad ottenere la cittadinanza libanese.

 “Il sentimento di appartenenza al Libano è difficile da provare per alcuni di noi, perché il governo libanese ci ha sempre trattato come cittadini di seconda classe. Mentre cercavamo di ottenere il minimo necessario per vivere, siamo stati emarginati, abbiamo affrontato molti ostacoli e siamo stati considerati esclusivamente come strumento elettorale

Tuttavia, il suo senso di appartenenza al Libano non ha cancellato la sua affiliazione nazionalista. Dice: “Ho mantenuto i miei costumi e le mie tradizioni, ho insegnato ai miei figli la lingua curda e le abitudini del popolo curdo, e recentemente sono entrata a far parte dell’associazione Newroz, fondata nel 2014, e ho partecipato a tutte le sue attività”.

Per quanto riguarda la sua vita tra libanesi non curdi, ha detto che in generale lei e la sua famiglia non hanno mai avuto problemi con “i loro vicini di Beirut”. Continua: “Ovviamente abbiamo dovuto affrontare un po’ di bullismo e isolamento sociale qua e là, perché alcuni abitanti di Beirut si rifiutano di sposarsi con i curdi. Questo rifiuto risale a stigma e stereotipi sociali secondo i quali i genitori della sposa curda richiedono ingenti somme di denaro come “muajjal” (prezzo della sposa) e “ghair muajjal” (soldi pagati dopo il matrimonio).” Non nega che tali tradizioni esistano, ma le contestualizza: “Queste tradizioni prevalevano nel passato, ed erano causate da sentimenti di insicurezza, estraniamento e costante paura dell’ignoto. Pertanto, i genitori vedevano in grandi quantità di “Mahr” un modo per garantire una vita dignitosa alle loro figlie.

In questo contesto, Hanan Osman, vicepresidente dell’Associazione culturale Newroz che si occupa degli affari dei curdi in Libano, condivide alcune delle frasi popolari e discriminatorie dette sui curdi, come ad esempio: “non discutere con lui, ha un cervello curdo.” Dice che tali detti sono stati diffusi tra la gente della regione, inclusi i libanesi, per lunghi anni, e si riferiscono al fatto che la comunità curda è molto chiusa.

“Mi stai curdando?” è un detto comune a Beirut, che significa che una persona si sta approfittando di un’altra. Significa anche “mi prendi per uno sciocco (curdo)?” una frase che ovviamente esprime molto bullismo nei confronti dei curdi”.

Hanan è, secondo la sua descrizione, una donna curda di famiglia “povera e umile”. È figlia di una coppia emigrata in Libano 50 anni fa dalla città di Mardin, situata nella parte curda della Turchia. È nata, ha studiato e vissuto in Libano e si è sposata con un uomo curdo.

Fin dalla tenera età si è interessata alla politica, in particolare alla questione dei diritti dei curdi in Libano. Ha partecipato alla costituzione della “Newroz Cultural Association” nel 2014, al fine di preservare l’eredità curda e insegnare la lingua curda alle nuove generazioni. Ha anche lavorato per sviluppare le capacità e le abilità delle donne curde e si è candidata alle elezioni parlamentari, spinta dal suo desiderio di “rappresentare i curdi, migliorare le loro condizioni e aiutarli a ottenere i diritti che meritano”. Tuttavia, ha ottenuto solo pochi voti.

Lo stereotipo dei curdi in Libano “ha influito negativamente sul modo in cui sono stati trattati a livello commerciale, culturale e sociale”. Osman spiega a Raseef22: “Alcune famiglie di Beirut evitano di far sposare i propri figli con curdi e preferiscono non stipulare accordi commerciali con loro”.

Queste cose non sono obsolete. Infatti, sottolinea: “lo sguardo inferiore verso i curdi è tuttora prevalente, soprattutto verso gli apolidi che anni fa sono diventati come i rifugiati”. Questi curdi apolidi sono costretti a “lavorare in lavori ristretti e attività con reddito limitato. Naturalmente sono completamente esclusi dai lavori della pubblica amministrazione”.

Nonostante il fatto che la maggior parte dei curdi abbia ottenuto la cittadinanza libanese attraverso diverse fasi, un gran numero di loro è ancora apolide e privato dei diritti di cittadino ordinario.

Storia antica e recente

“I curdi sono in Libano da centinaia di anni. Le loro città sono sempre state note per essere instabili, quindi fuggivano dall’oppressione per cercare sicurezza e stabilità nelle montagne. Pertanto, erano conosciuti con il nome di “gente delle montagne”, secondo il membro del consiglio municipale di Beirut, Adnan Amirat.

Amirat è stato il primo curdo libanese ad entrare nel consiglio municipale di Beirut, fatto che è stato considerato strano nel rappresentare una classe che, secondo la stima di alcuni, nella capitale libanese comprende 25.000 elettori. Dice che la migrazione curda in Libano è avvenuta in due ondate principali: la prima includeva signori feudali, principi e clan che avevano vissuto ai margini degli antichi imperi greco, persiano ed egiziano. Migrarono a causa dei continui conflitti per difendere le frontiere marittime e combattere i regni crociati. “Si stabilirono in diverse aree, comprese quelle che in seguito formarono il Grande Libano”. Ad esempio, “i principi Maraaba, i principi Ayyubidi, i principi Jumblatt e grandi clan come Bani Alam al-Din e Bani Hamiyah” erano famiglie immigrate in Libano. “Queste famiglie si sono adattate come famiglie libanesi che non parlano curdo e i cui membri sono imparentati con i curdi di Siria e Iraq , con i quali si rapportano solo attraverso telefonate e visite di leadership per celebrare le feste nazionali, proprio come fa la famiglia Jumblatt”.

Quanto alla seconda ondata migratoria, Amirat dice che è recente e che “avvenne durante la prima guerra mondiale, dopo il declino dell’impero ottomano e la sua trasformazione in uno stato laico con il nome di moderna Repubblica di Turchia.” Durante questa seconda ondata, molti curdi emigrarono in Siria e Libano, soprattutto in alcune città strategiche come Beirut e Tripoli, scappando dalle turbolenze e cercando migliori opportunità di vita.

“La storia dei curdi è stata instabile e la loro costante migrazione attraverso aspre montagne ha influenzato il loro modo di vivere”, afferma Amirat a Raseef22. “Vivevano di agricoltura utilizzando metodi primitivi, fatto che influiva sul tipo di lavoro che esercitavano in Libano. Svolgevano lavori a bassa retribuzione che non richiedono abilità o competenze elevate. Hanno anche lavorato in fabbriche che avevano bisogno di manodopera a basso costo e con scambi limitati”.

La maggior parte dei curdi emigrati a Beirut ha prima vissuto “in capanne nei quartieri adiacenti alle fabbriche”. “Questi erano quartieri poveri lungo la strada di Sharshabouk e altre strade nella regione di Karantina, a nord-est di Beirut. Come il resto delle minoranze dell’epoca, caddero preda del capitalismo e dell’abbandono e dell’emarginazione della Repubblica libanese, prima di reinsediarsi in altre regioni”.

Curdi e Mardiniti

I primi curdi arrivati ​​in Libano, dopo la prima guerra mondiale, lasciarono la Turchia per sfuggire all’oppressione dei soldati turchi. La loro patria aveva visto l’ascesa di un’ondata estremista e nazionalista avvenuta dopo la caduta dell’Impero Ottomano. Erano conosciuti come Kurmanji da una denominazione che si riferiva alla regione che abitavano all’interno del Kurdistan e dal dialetto in cui parlavano.

Inoltre c’erano anche i “Mardiniti”, nome attribuito al popolo di Mardin, provincia a maggioranza curda che si trova nel sud-est della Turchia, al confine con la Siria. Questo nome è una distorsione della loro denominazione  in turco “Mardin-li”.

I villaggi della provincia di Mardin includono curdi e altre nazionalità. I curdi sono Kurmanji che parlano curdo, mentre il nome di Mardiniti è rimasto per coloro che parlano arabo. “Tuttavia”, dice Amirat, “il popolo libanese li ha identificati tutti come curdi, a causa della loro storia, costumi e cultura unificati”.

Come spiegazione del motivo per cui i libanesi hanno identificato tutti come curdi, la storia narra che i mardiniti arabi affermassero di essere curdi per ricevere lo stesso trattamento privilegiato che i Kurmanji ricevevano dalle autorità del mandato francese. Secondo Mustapha Fakhro, presidente del “Libanese Active Intellect”, un’associazione che mira a incoraggiare la solidarietà sociale a Beirut e in Libano, i primi mardiniti arabi giunti in Libano “parlavano in curdo, influenzati dai loro vicini a Mardin”.

Il lungo viaggio verso la naturalizzazione

Quando i curdi arrivarono ​​in Libano nella seconda ondata migratoria, i sindaci delle città in cui vivevano diedero loro documenti che consentivano loro di insediarsi, tuttavia non ottennero la cittadinanza libanese, a differenza del popolo armeno che  arrivò in Libano contemporaneamente.

Secondo Amirat, “c’erano molte ragioni per cui i curdi non sono stati naturalizzati, soprattutto a causa dell’equilibrio settario su cui si basa il Libano. Inoltre, la Francia contava sugli armeni come forza politica che avrebbe potuto essere utilizzata in programmi politici successivi, a differenza dei curdi che non ebbero una  sponsorizzazione politica o internazionale diretta”.

Subito dopo l’arrivo in Libano di mardiniti e curdi, le autorità del mandato francese accettarono di concedere loro permessi di soggiorno validi per cinque anni, periodo dopo il quale fu loro promessa la naturalizzazione. La situazione rimase immutata fino al ritiro delle truppe francesi dal Libano nel 1943, come spiegato da Amirat. Con queste procedure, pochi curdi  ottennero la cittadinanza, soprattutto perché il permesso di soggiorno era stato concesso “in cambio di una somma di denaro che non molte famiglie potevano permettersi”.

Dopo l’indipendenza del Libano, i curdi apolidi divennero “non identificati”, non detenendo alcuna cittadinanza o traccia cartacea, dice Amirat. ” Furono impossibilitati a frequentare le  scuole o trovare lavoro”.

In seguito, “il governo libanese permise agli apolidi di registrare i loro nomi in modo che i loro casi fossero studiati, ma alcuni di loro si sono astenuti dal farlo, temendo che l’obiettivo del governo fosse quello di farli partire”.

Nel 1948 si verificò l’esodo palestinese (Al Nakba) e molti palestinesi   fuggirono dalla loro patria in Libano. A causa del fatto che la maggioranza di loro erano sunniti, la pratica di naturalizzazione curda divenne ancora più difficile in un paese il cui sistema settario si basa su equilibri precisi e costanti preoccupazioni settarie legate ai numeri. “In Libano i curdi sono stati emarginati sia per la loro etnia che per la loro religione”, secondo Amirat.

All’inizio degli anni ’50, meno di venti curdi  furono naturalizzati, dopo essere stati registrati come cristiani, fatto che provocò le ire dei leader religiosi sunniti. Di conseguenza, nel 1956 l’allora Primo Ministro Sami Solh emanò un decreto di naturalizzazione che includeva un gran numero di famiglie curde. Così facendo, entrò nella memoria storica dei curdi come “Padre Sami”.

Per quanto riguarda gli altri, in maggioranza curdi, la questione della naturalizzazione rimase soggetta a capricci politici. Negli anni ’60 fu decisa l’applicazione dell’articolo 1 della legge sulla nazionalità libanese, in cui si afferma che la cittadinanza libanese è concessa a “ogni persona nata nel territorio del Grande Libano senza alcuna prova di acquisire la cittadinanza straniera per filiazione alla nascita”. Viene concessa anche a “ogni persona nata nel territorio del Grande Libano da genitori sconosciuti o da genitori di affiliazione sconosciuta”. Alcune famiglie approfittarono di questa procedura amministrativa, fino a quando non fu sospesa per divergenze settarie.

Infine, nel 1994, fu emanato un decreto per naturalizzare decine di migliaia di persone tra cui diecimila curdi.

Alcuni dati stimano che il 40% dei curdi attualmente residenti in Libano non possieda la cittadinanza libanese.

Curdi e partiti politici

Secondo Hanan Osman: “La visione standardizzata in cui i curdi sono socialmente visti riflette il modo in cui  i partiti tradizionali, in Libano in generale e a Beirut in particolare, hanno sempre trattato questo popolo, ovvero come un popolo inferiore da sfruttare.  Questi partiti politici hanno sfruttato per anni il popolo curdo per ottenere i loro voti”.

Osman racconta che “le visite politiche e l’ascolto delle richieste curde avvenivano solo pochi giorni prima delle elezioni”. E aggiunge: “Se un giovane stava cercando un lavoro, doveva aspettare le elezioni per chiedere aiuto ai candidati. Solo allora avrebbe potuto avere l’opportunità di essere impiegato in uno dei lavori riservati ai sunniti. Per quanto riguarda le promesse non mantenute, compaiono poche ore dopo la pubblicazione dei risultati elettorali”.

Fino ad oggi, nessun deputato curdo è entrato nel parlamento libanese. Questo è un riassunto della discriminazione, degli stereotipi e del razzismo che i curdi hanno subito in Libano per circa un secolo

Fino ad oggi, nessun deputato curdo è entrato nel parlamento libanese e Adnan Amirat è stato l’unico ad entrare nel consiglio municipale di Beirut. Era infatti in una lista stilata dal Movimento Future,  con un numero dei candidati molto basso rispetto al numero degli elettori, stimati in 25.000.

La stessa Osman era in corsa per le elezioni parlamentari del 2018. Riguardo al modo in cui i Beirutini hanno gestito la sua candidatura, dice: “Alcuni mi hanno detto: chi sei tu per ottenere un seggio a Beirut?” Aggiunge: “Ogni partito ha a cuore la sua gente e considera il posto come un loro diritto. Non lasceranno che il seggio sunnita a Beirut vada a un curdo”.

Il fatto che i curdi non abbiano partiti politici forti ha reso difficile per loro essere rappresentati politicamente e “il mancato ottenimento della cittadinanza libanese ha impedito la loro adesione e costituzione di associazioni, o il loro impegno in qualsiasi attività partigiana”, dice ad Amirat.

Il Libano ha assistito alla fondazione di molti partiti curdi, ma nessuno di loro ha avuto successo. Così, la maggior parte di loro è rimasta nello spazio dei partiti sunniti attivi a Beirut, come parte dell’entità Beirutina. Ad esempio, il Movimento Futuro è stato uno di questi negli ultimi tre decenni, prima del suo declino negli ultimi anni. Un numero importante di curdi faceva parte dell’Associazione dei progetti di beneficenza islamici e altri del Gruppo islamico, oltre ad un altro gruppo di curdi vicino ai rappresentanti sciiti: Hezbollah e Amal.

L’istituzione di un partito curdo è stata ostacolata dal fatto che i curdi sono divisi tra Kurmanji e Mardiniti. “I Kurmanji credono nell’unità dei curdi nonostante la loro distribuzione geografica, mentre i Mardiniti si attengono al nazionalismo arabo”.

Lokman Meho, presidente dell’Associazione curda libanese per i servizi sociali, dice a Raseef22: “Dopo anni di sacrifici fatti dai martiri per il bene di questo Paese, vogliamo avere una rappresentanza politica che trasmetta le nostre richieste. È nostro diritto, e diritto di chi vive su questa terra, partecipare al processo decisionale”.

Tra curdi e armeni

C’è molto confronto, tra i curdi del Libano, tra la realtà dei curdi e la realtà degli armeni. In sostanza, tutto il popolo armeno ottenne la cittadinanza libanese senza subire ciò che i curdi avevano subito. Sono anche rappresentati in parlamento come setta religiosa, come stabilisce il sistema libanese, a differenza dei curdi il cui nazionalismo specifico non viene considerato dal sistema settario, che li identifica come sunniti.

Jamal Hassan, presidente dell’Associazione culturale Newroz, ha detto a Rassef22: “Nonostante il fatto che curdi e armeni fossero emigrati per lo stesso motivo, ovvero l’oppressione dell’esercito turco, i diversi modi in cui i due popoli sono stati trattati sono il risultato del mandato francese .”

Aggiunge: “Le autorità francesi avevano costruito scuole specifiche per insegnare la lingua armena. Pertanto, gli armeni sono stati in grado di avere la propria società all’interno dell’entità libanese. Hanno preservato la loro lingua e la loro cultura e sono stati in grado di istruirsi e ottenere lavori di alto rango nello stato, oltre a una parte dei lavori governativi che erano stati loro assegnati. Tali misure non sono state prese per mantenere la struttura curda. Al contrario, i curdi sono stati integrati con la comunità sunnita”.

D’altra parte, Hassan mette in luce la differenza tra le capacità degli armeni e dei curdi quando arrivarono in Libano, perché “quando gli armeni arrivarono ​​qui per la prima volta, erano artigiani di alta qualità, con un buon livello di istruzione e un’elevata cultura economica. Pertanto furono in grado di costruire il proprio modello capace di sfondare le strutture statali, a differenza dei curdi che emigrarono attraverso le montagne con capacità primitive”.

Tra appartenenza ed estraneità

Quando si tratta della questione dell’appartenenza al Libano, Jamal Hassan distingue tra i curdi naturalizzati e gli apolidi. Dice: “Dopo un lungo periodo di tempo, i curdi naturalizzati sono stati in grado di fondersi nella società di Beirut, e alcuni di loro sono diventati leader religiosi e politici. Per quanto riguarda gli apolidi curdi, alcuni di loro hanno mantenuto l’eredità e le tradizioni curde,  sono diventati molto più chiusi perché sgraditi e perché  vivevano all’interno di gruppi specifici. Altri avevano paura dell’integrazione, nella speranza di tornare in patria. Finora sono meno integrati a livello sociale, economico, commerciale e di altro tipo”.

“Avevo paura di partecipare ai movimenti per rivendicare i miei diritti per paura di sentirmi dire: “Non sono affari tuoi”, dice la ventenne Farah Darwish, la cui madre è curda libanese e il padre curdo siriano e che non  ha la cittadinanza libanese, perché le donne libanesi sono private del diritto di trasmettere la propria nazionalità ai figli.

Farah è nata in Libano e ha vissuto qui tutta la sua vita. È un’attivista interessata ai diritti dei gruppi emarginati e delle minoranze come lei. Nella sua infanzia, i suoi genitori la portavano ad attività che le permettessero di conoscere la sua nazionalità e di preservare la sua eredità. Tuttavia, una volta cresciuta, non ha più partecipato alle attività curde, ma si è impegnata a rivendicare i diritti dei curdi e delle persone emarginate come lei.

Nel 2015, quando scoppiarono le proteste conosciute come “You Stink Movement”, che sollevavano obiezioni contro l’accumulo di rifiuti nelle strade di Beirut e l’incapacità dello Stato di affrontare la crisi, Farah voleva scendere in piazza, ma non lo fece per paura di essere arrestata  Dice a Raseef22: “Cosa sarebbe successo se mi avessero arresta? Non sono libanese e ho la pelle scura”. L’altro motivo era che aveva paura del bullismo che avrebbe dovuto affrontare per strada: “Non sono affari tuoi. Non sei nemmeno libanese”.

Tuttavia, il secondo giorno della rivoluzione di ottobre 2019, Farah  vinse la sua paura. “Mi resi  conto che le proteste sarebbero state grandi e sentii di avere il diritto di partecipare. Preparai una lista di risposte per controbattere a coloro che avessero messo  in dubbio il mio rapporto con il movimento”.

Dice: “Iniziai a sentire di essere proprio come voi. Anche se non sono titolare della cittadinanza libanese, vivo tra voi e il fatto di essere apolide non mi impedisce di rivendicare i miei diritti”. Continua: “Quando scesi in strada, rimasi sorpresa dal numero di persone che venivano da me, mi abbracciavano e dicevano che anche loro non sono naturalizzate, nonostante abbiano una madre libanese e vivano in Libano da anni.” Per la prima volta, Farah  trovò una comunità che la accolse. Una comunità formata da minoranze e rifugiati che stavano vivendo la sua stessa condizione.

Farah si è unita alle attività degli studenti e poi ha partecipato alla creazione del “The Secular Club” presso l’Università libanese dove studia relazioni pubbliche. Dice: “Sono passata dalla fase della paura del bullismo che mi ha accompagnato per tutta la vita alla fase della costruzione, per avere un’influenza nel paese in cui vivo. Volevo combattere il modo in cui venivo guardata, soprattutto perché, da bambina, ho subito discriminazioni e ho conosciuto la sofferenza della divisione tra indigeni e cittadini di seconda classe”. Continua: “Molte persone mi dicono che sono curda e che sono testarda. Dicono persino che i curdi sono proprio come i muri, riferendosi alla nostra mentalità ostinata e alla nostra società chiusa”.

 

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” – Invictapalestina.org