Perché il Primo Ministro israeliano ha parlato di uno Stato palestinese

Il riferimento di Lapid a uno Stato palestinese resta interessante e politicamente azzardato

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Di Ramzy Baroud – 3 ottobre 2022

Immagine di copertina: Il Primo Ministro israeliano Yair Lapid fa una dichiarazione di apertura mentre presiede la riunione settimanale del gabinetto a Gerusalemme, 2 ottobre 2022. (Foto AP)

 

Il mese scorso il Primo Ministro israeliano Yair Lapid ha rotto gli schemi, quando ha dichiarato dal podio dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite: “Un accordo con i palestinesi, basato su Due Stati per due popoli, è la cosa giusta per la sicurezza di Israele, per l’economia israeliana e per il futuro dei nostri figli”.

La dichiarazione ha colto molti di sorpresa, inclusa la dirigenza palestinese. Il Presidente palestinese Mahmoud Abbas si rivolge da tempo all’Assemblea Generale ogni settembre, riciclando puntualmente lo stesso discorso su come ha adempiuto ai suoi impegni per la pace e che è Israele che deve impegnarsi in seri negoziati verso una Soluzione a Due Stati. Abbas ha fatto di nuovo la sua parte come previsto. Nel suo ultimo discorso, ha fatto riferimento alla “totale impunità” di Israele e alle “politiche premeditate e deliberate” volte a “distruggere la Soluzione a Due Stati”.

Lapid, come Naftali Bennett e Benjamin Netanyahu prima di lui, avrebbe dovuto attenersi al copione: accusare i palestinesi di terrorismo e istigazione, inveire contro i presunti “pregiudizi” delle Nazioni Unite e spiegare perché Israele dovrebbe investire di più nella propria sicurezza che in uno Stato palestinese. Lapid, tuttavia, non ha seguito quella strada. È vero, ha rigurgitato gran parte del tipico discorso israeliano, accusando i palestinesi di “lanciare razzi e missili contro i nostri bambini” e simili. Tuttavia, ha anche parlato, inaspettatamente, del desiderio di Israele di vedere uno Stato palestinese.

Quindi, Lapid ha collegato l’ipotetico Stato palestinese alla condizione che non diventi “un’altra base terroristica da cui minacciare l’incolumità e l’esistenza stessa di Israele”.

Condizioni a parte, il riferimento di Lapid a uno Stato palestinese resta interessante e politicamente azzardato. La maggioranza degli ebrei israeliani, il 58%, secondo l’Istituto Israeliano per la Democrazia, non sostiene uno Stato palestinese. Dal momento che Israele si sta avviando verso un’altra elezione generale, la quinta in meno di quattro anni, andare contro la corrente politica dominante di Israele non sembra certo un’idea vincente. Infatti, l’immediata condanna della dichiarazione di Lapid da parte del Ministro dell’Interno Ayelet Shaked indica che i commenti del Primo Ministro all’ONU saranno un argomento controverso nelle prossime settimane.

Allora, perché Lapid ha pronunciato queste parole?

Per cominciare, Lapid non crede veramente in uno Stato palestinese. I vertici israeliani hanno usato questa linea fin dall’inizio del cosiddetto processo di pace come un modo per dimostrare la loro volontà di impegnarsi in un dialogo politico sotto gli auspici di Washington, ma senza andare oltre. Semmai, per 30 anni, Tel Aviv, e Washington, hanno sventolato la carota della statualità davanti alla dirigenza palestinese per guadagnare tempo per l’espansione degli insediamenti illegali e alla fine citare il presunto rifiuto, incitamento e violenza dei palestinesi come i veri ostacoli alla creazione di un tale Stato.

Il linguaggio di Lapid, sullo Stato palestinese che diventa una “base terroristica” che minaccia “l’esistenza stessa di Israele”, è del tutto coerente con la tipica argomentazione israeliana su questo tema.

Inoltre, Lapid mirava a sconvolgere il prevedibile rituale alle Nazioni Unite. Questo vede i palestinesi sostenere la loro tesi, che di solito è sostenuta dalla maggior parte dei membri delle Nazioni Unite, e Israele mettersi sulla difensiva. Alludendo a uno Stato palestinese, un giorno prima che Abbas lanciasse il suo appello per la piena adesione all’ONU per la Palestina, Lapid voleva riprendere l’iniziativa e sembrare un leader preparato con un piano.

Sebbene possa sembrare che la dichiarazione di Lapid sia stata una mossa politica sbagliata nel contesto della scena politica israeliana dominata dalla destra, potrebbe non essere così. Per anni, la sinistra e il centro in Israele sono stati combattuti, poiché sembravano non avere risposte a nessuno dei problemi esterni o interni di Israele.

Al contrario, la destra, insieme alle sue crescenti alleanze all’interno dei campi religiosi e ultranazionalisti, sembrava avere la risposta a tutto. La loro risposta alle richieste palestinesi di libertà e sovranità fu l’annessione. La loro risposta alle proteste palestinesi contro le demolizioni di case nella Gerusalemme Est occupata è stata più demolizioni di case, distruzione su vasta scala e un allargamento del cerchio delle espulsioni.

Incapaci di fermare l’avanzare dilagante della destra, i gruppi nominalmente di sinistra di Israele come il Partito Laburista e i centristi come Blu e Bianco si sono avvicinati alla destra. Dopotutto, le idee della destra, sebbene sinistre e violente, erano le uniche che sembravano prendere piede tra gli elettori israeliani.

Tuttavia, la divisione politica di Israele si è ampliata, come dimostra la situazione di stallo delle ultime quattro elezioni, a partire dall’aprile 2019. La destra non è riuscita a gestire coalizioni stabili e la sinistra non è riuscita a recuperare il distacco. Lapid e il suo Partito Yesh Atid (Futuro) sperano di cambiare tutto questo presentando una coalizione di centrosinistra potenzialmente stabile in grado di offrire qualcosa di più della semplice opposizione alle idee, alle visioni e ai piani della destra.

Sebbene uno Stato palestinese non sia un’idea diffusa tra la maggior parte degli israeliani, il pubblico di riferimento di Lapid non è solo la sinistra, il centro e forse i partiti arabi di Israele. Un altro destinatario di riferimento è l’amministrazione Biden.

Il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden e il suo Partito Democratico, che rimane almeno verbalmente impegnato per una Soluzione a Due Stati, stanno affrontando tempi molto difficili: le elezioni di metà mandato di novembre, che potrebbero costare loro caro sia alla Camera che al Senato, e le successive elezioni presidenziali nel 2024. Biden desidera presentare la sua amministrazione come una di forza militare pur avendo una visione di pace e stabilità. Le parole di Lapid su uno Stato palestinese avevano lo scopo di coinvolgere la Casa Bianca, che probabilmente si impegnerà con il partito di Lapid, e un possibile governo di coalizione in futuro, come un “mediatore di pace”.

Infine, Lapid è consapevole dell’imminente transizione nei Territori Occupati. Mentre un’Intifada armata sta crescendo nella Cisgiordania settentrionale, Abbas, 87 anni, lascerà presto la scena. Un potenziale successore, Hussein Al-Sheikh, è particolarmente vicino all’apparato di sicurezza israeliano, quindi completamente diffidato dalla maggior parte dei palestinesi. L’ipotesi di uno Stato palestinese ha, quindi, lo scopo di dare a chiunque succederà ad Abbas la leva politica che gli consentirebbe di scongiurare una rivolta armata e condurre i palestinesi in un’altra inutile caccia alla ricerca di un miraggio politico.

Resta da vedere se la strategia di Lapid ripagherà; se gli costerà alle prossime elezioni israeliane o se le sue parole finiranno nella pattumiera della storia, come hanno fatto tanti riferimenti simili da parte dei leader israeliani del passato.

Ramzy Baroud è un giornalista e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “La Nostra Visione per la Liberazione: Leader Palestinesi Coinvolti e Intellettuali Parlano”. Il Dr. Baroud è un ricercatore senior non residente presso il Centro per l’Islam e gli Affari Globali (CIGA), Università Zaim di Istanbul (IZU).

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org