La battaglia si avvicina

L’attuale movimento di resistenza in Cisgiordania è senza precedenti. I palestinesi stanno tornando a uno stato di rifiuto della realtà colonialista, che alcuni vorrebbero ignorare.

Fonte: English version
Di Faris Giacaman – 14 ottobre 2022

Immagine di copertina: Militanti palestinesi sollevano le armi durante una celebrazione in memoria di Mohammed Al-Azizi e Abdul Rahman Sohb, uccisi dalle forze israeliane il 24 luglio e il 22 settembre 2022 a Nablus. (Foto: Shadi Jarar’ah / APA)

Il campo profughi di Shu’fat è sotto assedio. L’esercito israeliano scatena la sua furia in una furiosa caccia all’uomo per il combattente responsabile dell’uccisione di un soldato al posto di blocco militare di Shu’fat. A Nablus, un gruppo di resistenza armata chiamato Areen al-Usud (“la Tana del Leone”) lancia un appello per un attacco di massa in tutta la Palestina. La cosa più sorprendente è che molte città rispondono alla chiamata, nonostante non provenga da alcun partito politico ufficiale, e comunque sconvolgendo la normalità in molte città.

Niente di tutto questo sarebbe stato immaginabile meno di un anno fa. Nei giorni scorsi Areen al-Usud ha rivendicato la responsabilità di sei diversi attacchi contro obiettivi militari israeliani. Nel campo profughi di Jenin, un altro gruppo armato, le Brigate Jenin, continua a prendere posizione contro l’esercito israeliano durante le sue incursioni nel campo. Proprio questa mattina, mentre l’assedio di Shu’fat continuava, l’esercito ha lanciato un’invasione parallela di Jenin, uccidendo un uomo e ferendone altri sei nello sforzo durato mesi per stroncare il fiorente movimento di resistenza a Jenin.

Gli scontri a fuoco con l’esercito sono diventati la normalità a Jenin e Nablus, e ogni giorno sembra portare con sé un altro martire, un altro ciclo di arresti, un altro assedio in un’altra città. Tutti dicono la stessa cosa: è di nuovo come nei primi anni 2000, quando Israele lanciò un’invasione militare su vasta scala della Cisgiordania per distruggere i principali centri della resistenza palestinese.

È troppo presto per dire in che momento ci troviamo, però, che si tratti della svolta storica che ci riporterà indietro dall’ultimo decennio di sottomissione, o dell’ultimo sussulto di protesta prima di qualcosa di ancora peggio, quello che è certo è che siamo più vicini di quanto non siamo mai stati al ritorno a uno stato di rifiuto, se non di vera e propria resistenza, alla realtà colonialista che alcuni vorrebbero farci ignorare.

Ma i paragoni con la Seconda Intifada sono finora prematuri. Sebbene la semplice esistenza di diversi gruppi armati che hanno stabilito roccaforti sicure in Cisgiordania sia di per sé senza precedenti, c’è una differenza sostanziale. Pochi mesi dopo la Seconda Intifada, tutte le principali fazioni politiche entrarono formalmente in guerra contro lo Stato coloniale. Anche l’apparato di sicurezza dell’Autorità Palestinese ha partecipato ai combattimenti, poiché ogni comunità palestinese è diventata un rifugio per i gruppi di guerriglia palestinesi, diventando enormi organizzazioni paramilitari dedite allo scontro armato difensivo e offensivo, in altre parole, è stata presa una chiara decisione a livello politico di resistere con ogni mezzo necessario, pari all’impeto popolare e la rabbia che si è scatenata per la prima volta quando Ariel Sharon ha preso d’assalto il complesso di Al-Aqsa con i suoi sostenitori nel settembre 2000.

Oggi, i partiti politici che hanno partecipato all’Intifada sono gusci vuoti di quello che erano vent’anni fa. L’Autorità Palestinese nel migliore dei casi resta immobile mentre viene rimproverata dai suoi padroni, e nel peggiore dei casi partecipa attivamente allo sforzo di reprimere la resistenza, arrestando i combattenti e reprimendo le proteste.

Lo stato d’animo popolare, tuttavia, sembra molto più preparato allo scontro, se gli attacchi di massa, le proteste e l’ascesa di nuovi simboli popolari possono essere indicativi. Ad ogni nuovo martire che cade in battaglia, sembra che altri stiano prendendo il loro posto. Ma nessuno di quei combattenti della resistenza sembra prendere ordini da qualcuno al di sopra di loro, o addirittura avere affiliazioni politiche di alcun tipo. Allo stesso tempo, coloro che sono caduti hanno acquisito uno status leggendario nell’immaginario popolare, diventando esempi di eroismo in un’epoca senza eroi. In un momento in cui i partiti politici sono stati associati alla corruzione e al disfattismo, non c’è da stupirsi che il popolo palestinese abbia superato di gran lunga la sua classe politica ufficiale.

 

I soldati israeliani attaccano una manifestazione nel campo profughi di Shu’fat con gas lacrimogeni e granate stordenti (foto: Anne Paq)

Persino Hamas e la Jihad Islamica Palestinese (PIJ), la loro principale dirigenza isolata nella Striscia di Gaza, hanno adottato solo misure di sostegno tiepide. La PIJ ha operato in gran parte indirettamente in Cisgiordania ed è risaputo che ha contribuito a finanziare e armare i gruppi che nel corso dei mesi sono confluiti nella Brigata Jenin e Areen al-Usud. Questo può essere niente, ma forse è significativo che anche uno dei gruppi di resistenza più militanti abbia scelto di agire per procura.

Ma certamente questi gruppi non sono semplici delegati. Senza chiari allineamenti politici, sia le Brigate Jenin che Areen al-Usud sembrano aver trasceso l’affiliazione al partito, andando oltre le ristrette lealtà di fazione e unendosi intorno a un obiettivo comune: rilanciare il fronte di resistenza.

Molto è stato detto su come Ibrahim al-Nabulsi e i suoi compagni fossero nominalmente affiliati alla Brigata dei Martiri di Al-Aqsa (Ala armata di Fatah) mentre ricevevano finanziamenti dalla PIJ, ma indipendentemente dal fatto che quella caratterizzazione in qualche modo riduttiva sia del tutto accurata, è chiaro che il loro eventuale emergere come “Areen al-Usud”, e non come il braccio armato risorto di Fatah o il delegato della PIJ, li rende una formazione completamente nuova.

La genesi della Brigata Jenin è la stessa storia, anche se con radici un po’ più profonde: l’area di Jenin, e il campo profughi di Jenin in particolare, fu una attiva roccaforte per la lotta armata nella Seconda Intifada e causò persino un ritiro parziale degli insediamenti dall’area circostante Jenin a causa dell’attività di resistenza. E dall’inizio di quest’anno, Jenin è tornata a pieno titolo come centro di resistenza, mentre il campo profughi di Jenin è diventato una zona semi-autonoma, nel senso che l’esercito israeliano non può entrarci in nessun momento senza essere attaccato.

Foto: Militanti palestinesi della Brigata Jenin in partecipano ad una conferenza stampa nel campo profughi di Jenin, nella Cisgiordania settentrionale, il 1 marzo 2022. (Foto: Ahmed Ibrahim / APA immages)

Quelli di noi che azzardatamente dichiarano questo momento il precursore della prossima Intifada lo fanno con una certa esitazione, forse perché i precedenti movimenti di rivolta, dal 2015 al 2021, alla fine si spensero. Ma non significa nemmeno che non ci sia stato un effetto cumulativo dopo ogni rivolta, e oggi sembra palpabilmente diverso. Il destino di questa insurrezione potrebbe finire per essere deciso dal fatto che la società palestinese si stringa attorno ai gruppi di resistenza armata.

Martedì scorso, Areen al-Usud ha rilasciato una dichiarazione rivolgendosi alla più ampia comunità di Nablus: “chiediamo a voi, cittadini, di difenderci e di sostenerci, e di onorare la chiamata di Areen al-Usud liberamente e senza costrizione”.

L’appello di questi nascenti gruppi di resistenza è chiaro: nessuno sforzo di resistenza armata può sopravvivere senza un sostegno popolare per sollevarla e difenderla. Allo stesso modo, se questi gruppi rimangono in gran parte confinati a Nablus e Jenin, il compito di Israele di annientare questa ondata di resistenza sarà tanto più facile.

La dichiarazione di Areen al-Usud ha fatto eco a questo sentimento, così come l’appello ad altre forze palestinesi di unirsi alla battaglia:

“Chiediamo al nostro popolo nella Montagna del Fuoco (un altro nome per Nablus) di essere vigile, e chiediamo ai combattenti di tutte le fazioni palestinesi di stare in allerta. La battaglia si avvicina”.

Faris Giacaman è il caporedattore di Mondoweiss.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org