Le Combattenti per la libertà palestinesi deperiscono nei campi profughi del Libano

La leadership dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) non può accettare queste donne combattenti, perché la visione politica che esiste oggi non è compatibile con le idee sostenute dalle donne combattenti della resistenza.

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Intisar al-Danan – 12 ottobre 2022

“Sono nata rifugiata nel campo profughi di Rashidieh. Ho vissuto sotto l’oppressione e la miseria, e a diciotto anni, mi sono segretamente unita al Movimento Nazionalista Arabo, che in seguito divenne il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), quindi andai in Yemen e mi iscrissi a un corso di addestramento militare, dove fui addestrata al combattimento e all’uso delle armi”, ricorda Zahra Suleiman mentre siede da sola in una vecchia casa nel campo profughi palestinese di Burj al-Barajneh.

Dopo essere tornata dallo Yemen, Suleiman iniziò ad addestrare un gruppo di ragazze e ragazzi all’uso delle armi e, poiché il campo di Rashidieh si trova vicino alla riva del mare, gli addestramenti si svolgevano sulla spiaggia.

La donna, nata nel 1945, racconta come la sua attività militare si fosse evoluto, tanto che alla fine  venne presa di mira direttamente dal nemico israeliano: “Prestavo servizio nelle basi militari del Fronte Popolare, e sono stata la prima donna a svolgere operazioni di ricognizione sul confine libanese-palestinese e all’interno dei territori palestinesi”. Dice: “Durante un’operazione di ricognizione, riuscii a raggiungere il mio villaggio di Fara, situato a 13 chilometri a nord della città di Safad. E nel 1978 presi parte a operazioni militari contro il nemico. Anche durante l’invasione israeliana del Libano, nel 1982, dal campo profughi di Rashidieh resistetti e combattei  contro il nemico, aiutai  a salvare i feriti e a portarli fuori dal campo nei vicini ospedali della zona, e aiutai anche a spostare i martiri in altre località”.

“La cancellazione del ruolo delle donne e della loro lotta come combattenti della resistenza è dovuta ai costumi della società patriarcale in cui viviamo, che mette in luce il ruolo degli uomini ignorando quello delle donne, anche se ci sono combattenti donne che hanno avuto un ruolo di primo piano nella nostra causa”

Oggi Zahra vive nella casa di sua sorella nel campo profughi di Burj al-Barajneh a Beirut, e non ha pensione, stipendio o chi si prenda cura di lei dopo il suo lungo viaggio di lotta e attivismo. Dice: “Non mi pento di tutto ciò che ho dato nella mia vita, tenendo presente che non mi sono sposata né ho cresciuto una famiglia. La nostra patria è più grande di tutto, e per questo ho fatto quello che ho fatto, ma mi fa molto male arrivare qui dopo una lotta così lunga, senza sapere perché io e così tante combattenti per la libertà palestinesi veniamo ignorate. Siamo diventate come un indumento che è diventato troppo stretto ed è stato gettato da parte, senza che a qualcuno importi”.

Gli inizi di Ne’mat

Ne’mat Kadoura, 77 anni, originaria della città di Suhmata, ha vissuto con la sua famiglia nel campo profughi di Tal al-Za’atar dopo aver cercato rifugio in Libano. Iniziò a unirsi alla “resistenza palestinese” fin da giovane, aiutata dall’affiliazione di suo zio con il Movimento Nazionalista Arabo, che operava clandestinamente per la presenza del Deuxième Bureau (agenzia di intelligence, alias il “2° Bureau”) nel campo .

Suo zio fu arrestato a Zahle, mentre lei era con lui in missione a Baalbek. Tornò al campo e insieme a un gruppo di ragazzi e ragazze iniziò a sorvegliare,  a loro insaputa.  i membri del movimento quando tenevano le loro riunioni. Dice: “Ogni volta che sentivamo arrivare gli ufficiali del Deuxième Bureau, chiedevo ai ragazzi di lanciare pietre contro la casa in cui si teneva la riunione, in modo che quelli che si trovavano all’interno si rendessero conto che stava succedendo qualcosa, sospendessero la riunione e si mettessero a giocare a carte”.

I compiti di Ne’mat si evolvettero ulteriormente. Iniziò a occuparsi del trasporto di armi ed era la leader di un certo numero di donne. Nascondeva le armi in mezzo legna da ardere, e le donne le trasportavano in testa, quindi le armi venivano portate al campo senza che nessuno se ne accorgesse. Durante l’assedio del campo profughi di Tal al-Za’atar aiutava a curare i feriti. Andava a casa, portava coperte e le strappava per usarle come bende per al posto delle garze, che mancavano.

Zahra e Ne’mat raccontano storie delle loro vite durante il “tempo della lotta”, quando impugnavano le armi e combattevano. Una ha perso marito e figlio nel campo durante la guerra. Oggi entrambe aspettano un aiuto che non arriverà dai gruppi che le hanno abbandonate molto tempo fa

I guaritori dell’epoca facevano bollire acqua e sale da usare come disinfettante per le ferite. Racconta che trasportava i martiri e scavava tombe per seppellirli. Era solita impastare e cuocere il pane  nella sua casa, per poi distribuirlo alla gente. Suo marito è stato martirizzato nel campo di Tal al-Za’atar. Era membro del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP). Dopo la sua morte Ne’mat si unì al FPLP, ma se ne andò presto, solo due mesi dopo l’adesione.

Una vita di miseria

L’attivista 77enne racconta: “Ho vissuto molte sofferenze dopo il martirio di mio marito. I miei figli camminavano scalzi, non avevo soldi e dovevo crescere i miei figli, quindi  lavorai come cuoca, cucinando per i combattenti del movimento Fatah. Sono sopravvissuta molte volte ai bombardamenti degli aerei nemici sionisti”.

Ne’mat in seguito si formò nell’uso di armi ed esplosivi e visse nell’area di Damour dopo aver lasciato Tal al-Za’atar. Dice: “Imparai a disinnescare gli esplosivi e un giorno seppi che c’era un’auto con 200 chili di esplosivo. Andai a disinnescarla da sola, tenendo indietro tutti quelli che cercavano di avvicinarsi. Ebbi modo di conoscere Dalal al-Maghraby e il gruppo che era con lei, e assistei al loro addestramento in armi, esplosivi e immersioni. Durante quel periodo chiesi all’istruttore subacqueo di insegnare ai miei figli come immergersi”.

Durante l’invasione israeliana del Libano, Ne’mat visse nell’area di Raouche e si recava nell’area di Hay el-Sellom per distribuire e caricare munizioni. Durante il giorno distribuiva il pane che riceveva dal panificio Barbour. Durante la Guerra dei Campi, suo figlio subì il martirio. Era nell’edificio fatto saltare in aria dai membri del movimento Amal.

La leadership dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) non vuole accogliere queste donne combattenti, perché la visione politica che esiste oggi non è compatibile con le idee sostenute dalle donne combattenti della resistenza

Dopo tutte queste lotte, Ne’mat vive ora una vita solitaria, con pochi polli da accudirei. Dice: “Come è possibile che questa sia la mia realtà attuale?” Riceve uno stipendio dal movimento di Fatah che però non basta, quindi per sopravvivere aspetta aiuto da questi o da quelli.

Emarginazione dei ruoli femminili

Amal Shihabi, capo dell’Unità di supporto legale alle Forze di sicurezza nazionali palestinesi in Libano, che è una prigioniera liberata ed è responsabile del lavoro sociale nel territorio palestinese per il movimento Fatah, afferma: ” La cancellazione del ruolo delle donne e della loro lotta come combattenti della resistenza è dovuta ai costumi e alle tradizioni della società patriarcale in cui viviamo, che mette in luce il ruolo degli uomini ignorando quello delle donne, anche se ci sono combattenti donne che hanno avuto un ruolo di primo piano nella nostra causa. La lotta e il ruolo delle donne sono sempre assenti. Le donne vengono ricordate solo a margine o nella festa della donna”.

Da parte sua, Abdel Karim al-Ahmad, membro del Comitato popolare nella regione di Sidone, afferma: “Purtroppo, la leadership dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, che è considerata la ‘madre del popolo palestinese’, non può accettare questi donne combattenti, perché la visione politica che esiste oggi non è compatibile con le idee portate dalle donne combattenti della resistenza, che smaschera la leadership esistente che sta lavorando per escluderle, perché il processo di lotta (resistenza) si è interrotto dall’annuncio degli Accordi di Oslo e con i negoziati con l’entità sionista. Questo è uno dei fattori per cui queste combattenti della resistenza sono escluse”.

Aggiunge: “Sono anche escluse in modo che la nuova generazione di giovani uomini e donne non ne venga influenzata ed esse non diventino modelli di ruolo. La leadership oggi le sta escludendo per impedire alle persone di pensare e interessarsi all’attivismo nazionale, in modo che il denaro diventi la preoccupazione principale, e questo purtroppo è ciò che sta influenzando la società palestinese in generale al giorno d’oggi”.

 

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org