Islamofobia di genere: le donne musulmane sono merce per guerre culturali e politiche

La lunga storia razzista di mettere a tacere le donne musulmane può essere fatta risalire ai primi testi orientalisti. Oggi le donne sono usate dai leader occidentali per giustificare gli orrori internazionali e sono costrette a essere estensioni della sorveglianza statale, scrive Mariya bin Rehan.

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Mariya bint Rehan – 23 novembre 2022

Immagine di copertina: ‘Donne di Algeri nel loro appartamento’ di Eugene Delacroix, 1834, Museo del Louvre di Parigi. [Christophel Fine Art/Universal Images Group tramite Getty Images]

Sembra che la donna musulmana porti il ​​singolare peso di essere in costante bisogno di essere salvata, e quindi di essere colonizzata, per ottenere la libertà. Di essere raccontata ancora e ancora, in un condiscendente e vano tentativo di concederle voce. Di dover essere visivamente disponibile e otticamente desiderabile per essere ritenuta libera. Viene costantemente discussa e costantemente si scrive su di lei – oggetto di una rete sempre crescente di accessori culturali “sotto il velo” – le cui radici si trovano in alcuni dei primi testi orientalisti, ove si parla del desiderio di vedere le donne musulmane dietro le porte chiuse degli harem ottomani.

Questa ossessione culturale è sia violenta che opprimente.

Mentre gli uomini di colore affrontano il razzismo, il pregiudizio e l’ostilità sociale che di per sé è sia dannoso che grave, la gerarchia razziale porrà sempre le donne di colore saldamente in fondo alla scala razziale. Nonostante gli uomini di colore affrontino le complessità sociali dell’essere “evirati” nella loro posizione al di sotto delle donne bianche nelle strutture di potere – per non parlare dell’ulteriore narrativa oppressiva dell'”estremismo” di cui gli uomini musulmani in particolare sono gravati – c’è un peso sociale sproporzionato che spesso cade sulla donna musulmana.

Le donne musulmane sono usate per giustificare tutta una serie di fini politici nazionali e internazionali. Che si tratti dell’invasione di un paese come l’Afghanistan, o di un tentativo da parte dei politici di primeggiare nei sondaggi di opinione nazionali, le donne musulmane sono le più quotate nell’indice politico.

Possono essere ritratte allo stesso tempo come indifese e impotenti, pur essendo degne della panacea di finanziamenti delle classi di lingua inglese a causa della loro influenza e controllo sui figli potenzialmente “terroristi”.

La scalata all’infamia e all’ascesa politica di Boris Johnson  fu il risultato di un commento spesso citato e apparentemente “esplicito” sul niqab indossato dalle donne musulmane, il cui diritto di sembrare “cassette delle lettere” Johnson difendeva valorosamente. Fu premiato politicamente per questo commento e il sostegno popolare  venne espresso nell’aumento del 375% dei crimini d’odio nei confronti dei musulmani, la maggior parte dei quali donne.

La ben calcolata dichiarazione di Johnson fu progettata per  suscitare indignazione nella maggioranza delle persone “di buon senso” pur mantenendo una patina di rispettabilità e tolleranza. L’idea che, in quanto inglese bianco e uomo politicamente influente, si sentisse in potere di concedere ad altri legittimi cittadini britannici il diritto di vestirsi come volevano, è di per sé eloquente. Ciò si è poi legittimato e si è manifestato in una rivendicazione pubblica fisicamente violenta dei corpi e dell’autonomia delle donne musulmane.

Questo popolare filo conduttore di degradazione in nome della liberazione delle donne musulmane, trova espressione recente nello svelamento delle donne musulmane  in una serie di film e programmi seriali Netflix, tra cui Elite e Bodyguard. Questo desiderio di controllare, spogliare e rivelare la donna musulmana è una fantasia culturale che si ripete attraverso diverse parti della storia, assumendo diverse sfumature di minaccia.

La donna musulmana che trova la liberazione al di fuori dell’hijab e della cultura musulmana è un espediente di quella  trama da cui gli scrittori sembrano essere affascinati. Parla di arroganza culturale e di una totale ignoranza nei confronti della fede e della pratica islamica. Invece, questi tropi fissano e rafforzano le proprie idee normative di felicità, liberazione e ordine sociale: guardare l’ombelico mentre affermano di guardare all’esterno.

E le donne musulmane non possono trovare tregua da questo odio di genere nel femminismo, che esclude implicitamente le donne musulmane dalla sua categoria di femminilità, e dichiara espressamente il suo disgusto per l’Islam e la cultura musulmana. Mentre discutono insensatamente sull’hijab, la loro preoccupazione non si estende a coloro che lo indossano,  fu  ben evidenziato in un dibattito del 2018 su Marks and Spencer che includeva l’hijab  nella sua gamma di uniformi scolastiche.

Mentre molte famose femministe avevano la bava alla bocca nel difendere l’autonomia delle giovani ragazze musulmane, lasciando del tutto indiscusso il concetto stesso di uniforme scolastica,  ci fu un totale silenzio quando l’inevitabile reazione portò le giovani ragazze musulmane in hijab a essere filmate e ridicolizzate sui social media.

La preoccupazione per la sicurezza e il benessere delle donne e delle ragazze musulmane rimane una preoccupazione figurativa nei dibattiti compiaciuti e autoindulgenti che nel mondo reale non servono a nulla per le donne musulmane e funzionano solo come una forma di catarsi politica e culturale.

E mentre vediamo l’impatto che questa alterità simbolica e questa  feticizzazione delle donne musulmane ha sulla politica e sulla cultura, l’espressione più acuta di questa realtà materiale si vede nel caso di Shamima Begum.

Nonostante sia stato recentemente rivelato che chi aiutò Begum a entrare in Siria fosse in realtà un doppio agente che lavorava per l’intelligence canadese, la sua situazione dimostra come le donne musulmane siano viste come merce usa e getta in guerre culturali e politiche più ampie. La sua storia non solo esemplifica come lo stato – l’arbitro della legittimità – sia complice nel creare e cementare l’estremismo che afferma di voler estinguere, ma mette anche a nudo la tragedia  delle donne musulmane.

Begum continua ad essere apolide – una minaccia esplicita dell’illegittimità che incombe sulle teste delle donne musulmane – e denigrata a livello nazionale e internazionale. La donna musulmana che  ha infine seguito il desiderio letterale e simbolico di essere diversa, velata e svelata, madre e de-madre, affronta una fustigazione pubblica ed è sadicamente additata come esempio a causa della fantasia contorta di altri.

Mentre i media sfruttano le circostanze di Begum come materiale da prima pagina, affascinati dalla donna che è allo stesso tempo tutto ciò che la società insulta e desidera in una donna musulmana, le circostanze della sua storia e la sua mancanza di difesa r costituiscono un trionfo per i tropici orientalisti. Spesso le donne musulmane cercano di sfidare gli stereotipi o replicarli:questa storia è l’esempio più lampante di come impegnandoci con questa narrazione, non vinceremo mai.

Mariya bint Rehan è una scrittrice e illustratrice londinese, con un background in politica e ricerca e sviluppo nel settore del volontariato. Ha scritto e illustrato un libro per bambini intitolato The Best Dua, disponibile a livello internazionale.

 

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org