Le proteste israeliane non sono la salvezza dei palestinesi

Che piaccia o no agli israeliani, il diritto internazionale è l’unica legge che conta per una nazione occupata e oppressa.

Fonte: English version

Di Ramzy Baroud – 13 marzo 2023

Quando centinaia di migliaia di persone si sono unite alle proteste antigovernative in tutto Israele durante il fine settimana, sono iniziate a sorgere domande su come questo movimento potrebbe influenzare, o eventualmente fondersi, con la più ampia lotta contro l’occupazione militare israeliana e l’Apartheid in Palestina.

I media pro-palestinesi hanno condiviso, con evidente entusiasmo, dichiarazioni rilasciate da celebrità di Hollywood, tra cui l’attore Mark Ruffalo, che ha twittato che era necessario “sanzionare il nuovo governo di estrema destra del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu”.

Netanyahu, che si trova al centro dell’attuale controversia e delle proteste di massa, ha faticato a trovare un pilota per il suo volo a Roma la scorsa settimana per una visita di tre giorni con il governo italiano. L’accoglienza per il leader israeliano in Italia è stata altrettanto fredda. La traduttrice italiana Olga Dalia Padoa avrebbe rifiutato di tradurre il discorso di Netanyahu in una sinagoga di Roma.

Si può apprezzare la necessità di usare strategicamente lo sconvolgimento contro il governo di estrema destra di Netanyahu per esporre la pretesa fraudolenta di Israele di essere una vera democrazia, e presumibilmente “l’unica democrazia in Medio Oriente”. Tuttavia, bisogna stare altrettanto attenti a non legittimare le istituzioni intrinsecamente razziste di Israele, che esistevano da decenni prima che Netanyahu salisse al potere.

Il Primo Ministro israeliano è stato coinvolto per anni in casi di corruzione. Sebbene sia rimasto popolare, Netanyahu ha perso la sua posizione al timone della politica israeliana nel giugno 2021, dopo tre elezioni aspramente contestate. Ma è tornato il 29 dicembre 2022, questa volta portando con sé personaggi ancora più corrotti, anche secondo la stessa definizione di Israele, come Aryeh Deri, Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir.

Ognuno di questi personaggi aveva un motivo diverso per entrare a far parte della coalizione. L’agenda di Smotrich e Ben-Gvir spazia dall’annessione degli insediamenti illegali in Cisgiordania alla deportazione di politici arabi considerati “sleali” nei confronti dello Stato.

Netanyahu, sebbene sia un ideologo di destra, è più interessato alle ambizioni personali: mantenere il potere il più a lungo possibile, proteggendo se stesso e la sua famiglia dai problemi legali. Vuole semplicemente stare fuori di prigione. Per farlo, deve anche soddisfare le pericolose richieste dei suoi alleati, a cui è stato dato libero sfogo per scatenare la violenza dell’esercito e dei coloni contro i palestinesi in Cisgiordania, come è avvenuto a Huwara, Nablus, Jenin e altrove.

Ma il governo di Netanyahu, il più stabile da anni, ha obiettivi più grandi del semplice “spazzare via” le città palestinesi. Vuole riformare il sistema giudiziario, permettendogli di trasformare la stessa società israeliana. Le riforme garantirebbero al governo il controllo sulle nomine giudiziarie limitando il potere della Corte Suprema israeliana di esercitare il controllo giurisdizionale.

Le proteste in Israele hanno ben poco a che fare con l’occupazione israeliana e l’Apartheid, e poco si preoccupano dei diritti dei palestinesi. Sono guidati da molti ex leader israeliani, come l’ex Primo Ministro Ehud Barak, l’ex Ministro Tzipi Livni e l’ex Primo Ministro e leader dell’opposizione Yair Lapid. Durante il mandato di Naftali Bennett e Lapid, tra giugno 2021 e dicembre 2022, centinaia di palestinesi sono stati uccisi in Cisgiordania. L’anno scorso è stato descritto dal coordinatore speciale delle Nazioni Unite per il processo di pace in Medio Oriente Tor Wennesland come il “più mortale” in Cisgiordania dal 2005. Durante il loro mandato, gli insediamenti ebraici illegali si sono espansi rapidamente, mentre Gaza è stata regolarmente bombardata.

Il governo Bennett-Lapid ha subito poche reazioni da parte della società israeliana per le sue azioni sanguinose e illegali in Palestina. Anche la Corte Suprema israeliana, che ha approvato la maggior parte delle azioni del governo nei Territori Occupati, ha subito pochi o nessun rifiuto per certificare l’Apartheid e convalidare la presunta legalità delle colonie ebraiche, tutte illegali secondo il diritto internazionale. Il timbro di approvazione da parte della Corte Suprema è stato concesso anche quando Israele ha varato la Legge sullo Stato-Nazione, identificandosi esclusivamente come “uno Stato Ebraico”, escludendo così l’intera popolazione araba musulmana e cristiana che condivide la stessa landa di terra tra il Fiume Giordano e il Mar Mediterraneo.

Raramente il sistema giudiziario israeliano si è schierato dalla parte dei palestinesi e, quando di tanto in tanto sono state registrate piccole “vittorie”, queste non hanno quasi mai modificato il quadro generale. Sebbene si possa comprendere la disperazione di coloro che cercano di combattere le ingiustizie israeliane usando il cosiddetto sistema giudiziario del Paese, tale linguaggio ha contribuito alla confusione riguardo a ciò che le proteste in corso di Israele significano per i palestinesi.

In effetti, questa non è la prima volta che gli israeliani scendono in piazza in gran numero. Nell’agosto 2011, Israele ha vissuto quella che alcuni hanno definito la sua “primavera araba”. Ma quella era anche una lotta di classe all’interno di confini ideologici e interessi politici chiaramente definiti che raramente si sovrapponevano alla lotta parallela per l’uguaglianza, la giustizia e i diritti umani.

Doppie lotte socioeconomiche esistono in molte società in tutto il mondo e fonderle non è senza precedenti. Nel caso di Israele, tuttavia, tale confusione può essere pericolosa perché l’esito delle proteste israeliane, sia esso un successo o un fallimento, potrebbe stimolare un ottimismo infondato o demoralizzare coloro che lottano per la libertà dei palestinesi.

Le gravi violazioni del diritto internazionale, gli arresti arbitrari, le esecuzioni extragiudiziali e la violenza quotidiana inflitta ai palestinesi avvengono per lo più all’interno del quadro giuridico di Israele e tutti questi atti sono pienamente sanzionati dai tribunali israeliani, inclusa la Corte Suprema. Ciò significa che, anche se Netanyahu non riuscirà a egemonizzare il sistema giudiziario, i civili palestinesi continueranno a essere processati nei tribunali militari, che eseguiranno la procedura di approvazione della demolizione delle case, del sequestro illegale di terre e della costruzione di insediamenti.

Un impegno adeguato con le proteste in corso è quello di esporre ulteriormente come Tel Aviv utilizza il sistema giudiziario per mantenere l’illusione che Israele sia un Paese di legge e ordine e che tutte le azioni e la violenza in Palestina, per quanto sanguinose e distruttive, siano pienamente giustificabili secondo il quadro giuridico del Paese.

Sì, Israele dovrebbe essere sanzionato, non a causa del tentativo di Netanyahu di egemonizzare il sistema giudiziario, ma perché il sistema di Apartheid e occupazione militare costituisce un completo disprezzo e una totale violazione del diritto internazionale. Che piaccia o no agli israeliani, il diritto internazionale è l’unica legge che conta per una nazione occupata e oppressa.

Ramzy Baroud è un giornalista e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “La Nostra Visione per la Liberazione: Leader Palestinesi Coinvolti e Intellettuali Parlano”. Il Dr. Baroud è un ricercatore senior non residente presso il Centro per l’Islam e gli Affari Globali (CIGA), Università Zaim di Istanbul (IZU).

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

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