7Amleh: l’odio anti -palestinese sui social media sta crescendo

Gli utenti dei social media in Israele utilizzano sempre più piattaforme come Facebook e Instagram per lanciare proclami di odio contro i palestinesi.

Fonte: English version

Di Alice Speri e Sam Biddle – 27 marzo 2023

Immagine di copertina: Manifestanti palestinesi rotolano pneumatici da bruciare durante gli scontri con le forze israeliane al checkpoint di Huwara controllato da Israele vicino a Nablus, nella Cisgiordania occupata, il 29 maggio 2022. Foto: Jaafar Ashtiyeh/AFP tramite Getty Images

Secondo un nuovo rapporto pubblicato da 7amleh, un’organizzazione che collabora con Meta, la società madre di Instagram e Facebook, lo scorso anno la retorica anti-palestinese violenta e razzista è diventata più diffusa sulle piattaforme di social media.

I proclami di odio anti-palestinesi sono cresciuti del 10% nel 2022, rispetto all’anno precedente, secondo il nuovo rapporto, basato su un’analisi associata delle menzioni di “arabi”, “palestinesi” e parole chiave correlate da parte degli utenti di social media israeliani. 7amleh attribuisce l’aumento a un’ondata di violenza nel mondo reale, tra cui l’uccisione della giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh e le incursioni militari israeliane alla Moschea di Al Aqsa a Gerusalemme. Il 2022 è stato l’anno più mortale per i palestinesi in Cisgiordania dalla fine della Seconda Intifada, con il 2023 già sulla buona strada per superarlo.

“L’aumento del 10% dei proclami violenti contro arabi e palestinesi è allarmante e dovrebbe essere preso seriamente dai giganti tecnologici in modo che tutti godano dei propri diritti e libertà in questo spazio digitale”, ha affermato Mona Shtaya, direttrice dell’avvocatura e delle comunicazioni di 7amleh.

Il rapporto 7amleh rileva anche un marcato aumento del fanatismo e dell’incitamento violento diretto contro i membri palestinesi della Knesset, l’organo parlamentare israeliano, un picco attribuito al governo di coalizione formato dai membri della Knesset Naftali Bennett e Yair Lapid. Gran parte dell’odiosa retorica di Bennett segnalata nel rapporto ha assunto la forma di affermazioni secondo cui gli arabi sono terroristi, che i membri arabi della Knesset sostengono il terrorismo e chiede la morte o lo sfollamento forzato degli arabi palestinesi.

Mentre il rapporto afferma che Facebook rimane un focolaio di odio anti-arabo, “Twitter continua ad essere la piattaforma principale per proclami violenti contro i palestinesi all’interno di Israele”.

Gruppi della società civile come 7amleh hanno da tempo tracciato i modi in cui le piattaforme di social media censurano i palestinesi in Rete attraverso l’applicazione parziale e sbilanciata delle politiche di moderazione dei contenuti, utilizzando regolamenti che spesso confondono la dissertazione politica nonviolenta con l’approvazione del terrorismo.

In seguito alla pubblicazione dell’elenco dei cosiddetti individui e organizzazioni pericolosi di Meta, gli studiosi di moderazione dei contenuti hanno notato che le persone e i gruppi mediorientali, dell’Asia meridionale e musulmani erano sovrarappresentati. 7amleh e altri gruppi affermano che questi pregiudizi si traducono in una censura sbilanciata per i palestinesi e in una relativa libertà d’azione per gli israeliani durante i periodi di violenza.

7amleh è una delle centinaia di organizzazioni della società civile globale con cui Meta ha lavorato nel tentativo di “comprendere meglio l’impatto” delle sue piattaforme in tutto il mondo. “Collaboriamo con organizzazioni di esperti che rappresentano le voci e le esperienze degli utenti emarginati in tutto il mondo e sono attrezzate per sollevare domande e preoccupazioni sui contenuti su Facebook e Instagram”, afferma Meta sul suo sito web. “Oltre a segnalare i contenuti, i collaboratori di fiducia forniscono una valutazione fondamentale sulle nostre politiche sui contenuti e sull’applicazione per garantire che i nostri sforzi proteggano gli utenti”.

I sostenitori dei diritti palestinesi affermano che questi sforzi sono stati vani.

“La destra israeliana è stata più che felice di dichiarare sui social media ciò che vorrebbe fare al popolo palestinese”, Ubai Al-Aboudi, attivista palestinese per i diritti umani e direttore esecutivo del Centro di Ricerca e Sviluppo Bisan, un importante gruppo della società civile, ha detto: “C’è una proliferazione di proclami di odio contro i palestinesi. E questo è il risultato di una relazione di potere asimmetrica in cui i giganti tecnologici sono felici di sostenere la narrativa israeliana mentre nel frattempo sopprimono la narrativa palestinese”.

Proliferazione in rete

La proliferazione della retorica anti-palestinese in Rete e l’incitamento esplicito alla violenza sono visibilmente esplosi all’inizio di quest’anno durante uno dei peggiori episodi di violenza da parte dei coloni israeliani in Cisgiordania fino ad oggi. Centinaia di coloni si sono scatenati di notte nel villaggio di Huwara, vicino alla città Nablus, incendiando case e automobili. Un palestinese è stato ucciso e decine di altri sono rimasti feriti.

L’episodio, che è stato ampiamente condannato e definito un “Pogrom” (attacco violento), è stato ampiamente celebrato sui social media, anche da figure di spicco del nuovo governo estremista israeliano. Bezalel Smotrich, un politico di estrema destra che è l’attuale Ministro delle Finanze israeliano e Ministro della Difesa incaricato degli affari civili in Cisgiordania, ha elogiato un tweet che lanciava un appello “a spazzare via oggi il villaggio di Huwara”. Successivamente, Smotrich lo ha ripetuto pubblicamente lui stesso, prima di essere costretto a scusarsi. (Due settimane dopo aver fatto quei commenti, Smotrich si è recato negli Stati Uniti, dove è stato ignorato dai funzionari e da diverse importanti organizzazioni ebraiche, ma accolto con favore da altri.)

La furia a Huwara, che è stata documentata in tempo reale sui social media, è stata lanciata a seguito di appelli pubblici per un attacco contro la città dopo che un uomo palestinese ha ucciso due coloni israeliani mentre attraversavano il villaggio. Nei giorni successivi all’attacco, l’incitamento alla violenza è solo aumentato, con diversi proclami, incluso uno popolare tra i coloni, che chiedevano ancora più “vendetta”.

“La destra israeliana sta istigando all’odio contro i palestinesi sui social media, come il Pogrom contro Huwara”, ha affermato Al-Aboudi del Centro Bisan. “Lo chiedevano, prima che accadesse, sui social media. E anche dopo l’attacco, le celebrazioni erano ben tollerate dalle piattaforme tecnologiche”.

Le scoperte di 7amleh sulla proliferazione di proclami anti-palestinesi in Rete sono in netto contrasto con l’attiva repressione dei proclami palestinesi da parte delle società di social media. Le politiche di moderazione dei contenuti delle piattaforme vengono regolarmente applicate in modo arbitrario che ha portato alla censura delle voci palestinesi, comprese le frequenti sospensioni degli account dei giornalisti palestinesi.

L’anno scorso, una revisione commissionata da Meta ha concluso che le azioni dell’azienda durante una campagna di bombardamenti israeliani del maggio 2021 sulla Striscia di Gaza assediata hanno avuto “un impatto negativo sui diritti umani, sui diritti degli utenti palestinesi alla libertà di espressione, libertà di riunione, partecipazione politica e non discriminazione, e quindi sulla capacità dei palestinesi di condividere informazioni e approfondimenti sulle loro esperienze nel momento in cui si sono verificate”.

Le conclusioni del rapporto indicano anche un evidente doppio criterio negli sforzi dei funzionari israeliani per moderare lo scontro in Rete. Israele ha lavorato a lungo con le società di social media nel tentativo di rimuovere i contenuti che considera incitamento, segnalando spesso le pubblicazioni per la rimozione.

All’inizio di quest’anno, i funzionari israeliani della Commissione per l’Immigrazione, l’Assimilazione e gli Affari della Diaspora della Knesset hanno rivelato di aver esercitato preventivamente pressioni su TikTok per la rimozione dei contenuti a ritmi significativamente superiori rispetto a quelli della maggior parte degli altri Paesi. I funzionari hanno citato rapporti parziali di TikTok per il 2022 secondo cui ha ricevuto 2.713 richieste da vari governi in tutto il mondo per rimuovere o limitare contenuti o account, con il governo israeliano che è arrivato secondo solo alla Russia nel chiedere la rimozione dei contenuti. Israele ha presentato 252 richieste ufficiali, il 9,2% del numero totale di richieste a TikTok in tutto il mondo. In confronto, il governo degli Stati Uniti ha presentato solo 13 domande, il governo francese ne ha presentate 27, il Regno Unito 71 e la Germania 167.

“L’incitamento sui social media è un problema che deve essere affrontato radicalmente”, ha detto all’epoca il membro della Knesset Oded Forer, presidente della Commissione, riferendosi specificamente ai proclami antisemiti. “È chiaro a tutti che l’incitamento sulle piattaforme di social media aumenta e incoraggia gli atti di terrorismo contro gli ebrei”. La Commissione non ha fatto alcun riferimento a proclami anti-arabi e anti-palestinesi in quel contesto.

Fare pressioni per la rimozione dei contenuti non è l’unico modo in cui i funzionari israeliani hanno lavorato per controllare la dissertazione sulle piattaforme di social media. Questa settimana, l’esercito israeliano ha ammesso di aver orchestrato un’operazione segreta sui social media durante la campagna militare su Gaza del maggio 2021 per “migliorare l’opinione del pubblico israeliano sulla prestazione di Israele nel conflitto”, ha riferito l’Associated Press. Come parte dell’operazione, i funzionari delle Forze di Difesa Israeliane hanno creato account falsi per “nascondere le origini della campagna e coinvolgere il pubblico” su Twitter, Facebook, Instagram e TikTok e hanno coordinato lo sforzo con veri influencer dei social media.

Mentre i funzionari militari israeliani utilizzano regolarmente i social media per monitorare e raccogliere informazioni sui palestinesi, questa è stata apparentemente la prima volta che una campagna di influenza israeliana ha preso di mira il pubblico israeliano.

Alice Speri scrive di politica estera statunitense, abusi da parte delle forze militari e di sicurezza e repressione del dissenso. È stata corrispondente dalla Palestina, Haiti, El Salvador, Colombia e in tutti gli Stati Uniti. È originaria dell’Italia e vive nel Bronx.

Sam Biddle è un giornalista che si occupa di illeciti e abusi di potere nella tecnologia. Mentre lavorava per Gizmodo e Gawker, ha indagato casi che vanno da vaste violazioni dei dati aziendali e hackeraggio di celebrità a modelli di webcam trafficati e privacy di Facebook. In qualità di editore di Valleywag, ha fornito una visione critica e contraddittoria dell’economia delle startup e della cultura della Silicon Valley. Il suo lavoro è apparso anche su GQ, Vice e The Awl.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org