L’acqua come arma: il caso della Striscia di Gaza

Secondo quanto riferito, Israele ora produce il 20% in più di acqua del necessario. Ma quell’acqua non viene messa a disposizione dell’assetata Gaza, a cui è anche impedito l’accesso alle falde acquifere della Cisgiordania.

Fonte. English version

Di Nancy Murray – 18 marzo 2023

Immagine di copertina: Un lago di liquami nel Nord della Striscia di Gaza.

Il sequestro dell’acqua per cacciare le persone dalla loro terra è stato a lungo uno strumento di dominio coloniale. Tale processo è ben diffuso nella Cisgiordania occupata, dove l’acqua è stata controllata da Israele sin dall’inizio della sua occupazione nel 1967. Mentre l’Articolo 40 dell’Accordo ad interim di Oslo II del 1995 tra Israele e palestinesi istituiva un Comitato congiunto per l’acqua, Israele ha mantenuto il potere di veto su tutte le proposte idriche palestinesi e nessun vincolo è stato posto sulla quantità di acqua che potrebbe prelevare dai Territori Palestinesi Occupati.

Apartheid dell’acqua

Nel 2013, il gruppo palestinese per i diritti umani Al Haq ha analizzato le pratiche idriche discriminatorie di Israele definendole “Apartheid dell’acqua”. La sua “Water for One People Only” (Acqua per un Solo Popolo) spiega come il comando israeliano delle risorse idriche in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza promuove lo spostamento della popolazione palestinese e rappresenta “solo un elemento di un processo strutturale irreversibile che può essere descritto solo come coloniale”.

Le politiche discriminatorie di Israele in materia di acque, che gli permettono di estrarre per il proprio uso e quello dei suoi insediamenti circa il 90% dell’acqua dalla falda acquifera montana della Cisgiordania, e che privano i palestinesi di acqua sufficiente per l’agricoltura e per i loro bisogni primari, sono al centro dell’attenzione in due dettagliati rapporti sull’Apartheid israeliano prodotti nel 2022 da Amnesty International e Human Rights Watch.

Questi rapporti si uniscono a molti altri prodotti negli ultimi due decenni da organizzazioni palestinesi e israeliane, organismi delle Nazioni Unite, Banca Mondiale, ONG, giornalisti e studiosi che descrivono come i vincoli imposti dagli ordini militari stiano costantemente costringendo gli agricoltori palestinesi a lasciare il 62% della Cisgiordania conosciuta come ‘Area C’, dove viene loro impedito di scavare nuovi pozzi o ripristinare quelli vecchi, installare pompe e persino raccogliere l’acqua piovana, e dove le loro sorgenti vengono sequestrate e i loro serbatoi d’acqua, cisterne e condutture distrutti mentre gli insediamenti e le strade che servono ‘Eretz Israel’ (Terra di Israele) sono costruite sul loro terreno agricolo.

I coloni israeliani consumano sei volte la quantità di acqua consentita ai loro vicini palestinesi, che sono costretti ad acquistare acqua costosa estratta dalla Cisgiordania da Mekorot, il distributore idrico nazionale israeliano, per superare le carenze nell’assegnazione dell’acqua e le frequenti interruzioni della fornitura.

L’uso dell’acqua come arma da parte di Israele a beneficio dei coloni e l’annessione de facto possono essere considerate una pratica di lunga data del colonialismo. Ma come si possono spiegare le politiche idriche israeliane nella Striscia di Gaza, uno dei luoghi più densamente popolati della terra, dove Israele ha evacuato i suoi 21 insediamenti nel 2005?

Da allora, gli abitanti di Gaza non hanno più vissuto l’occupazione militare israeliana come una continua acquisizione di terra. Invece, hanno affrontato una minaccia esistenziale alla loro salute e alla loro vita che lo storico israeliano Ilan Pappé, tra gli altri, ha definito “Genocidio Graduale”.

Alcuni avvocati israeliani per i diritti umani respingono fermamente questa applicazione del termine. Ma l’acqua è vita, e l’impatto del blocco di quasi 16 anni e delle cinque grandi offensive militari di Israele sul fortemente limitato approvvigionamento di acqua potabile disponibile per una popolazione in rapida crescita, metà dei quali bambini, ha sollevato dubbi sul fatto che la Striscia di Gaza rimanga un “luogo vivibile” (per usare l’espressione dell’ONU).

Alcuni cenni storici

La Striscia di Gaza in soli 365 chilometri quadrati ospita 2,3 milioni di persone, il 70% delle quali sono rifugiati apolidi e i loro discendenti vivono in otto campi profughi. Spinti fuori da quello che divenne lo Stato di Israele nel 1948, molti sono ora rinchiusi a pochi chilometri dalle loro vecchie case. Dopo l’inizio dell’occupazione israeliana nel 1967, 8.500 coloni israeliani e l’esercito hanno preso oltre il 20% della terra di Gaza per il loro uso esclusivo. La forte resistenza alla loro presenza alla fine costrinse il loro ritiro.

Fu in un campo profughi di Gaza che scoppiò la Prima Intifada, la prima rivolta disarmata alla fine del 1987. Hamas (il Movimento di Resistenza Islamica) nacque nel 1988 e sfidò la dirigenza della laica Organizzazione per la Liberazione della Palestina sotto il controllo di Fatah. È stato classificato come gruppo terroristico da Israele e dagli Stati Uniti per i suoi attacchi contro i civili israeliani a metà degli anni ’90.

La rivalità tra Fatah e Hamas si è intensificata dopo che Hamas ha ottenuto la maggioranza dei seggi nelle elezioni legislative palestinesi del 2006. Nel 2007 Hamas ha prevalso nello scontro tra fazioni e ha preso il controllo della Striscia di Gaza. Poi Israele, con l’assistenza dell’Egitto e il sostegno degli Stati Uniti, ha tagliato fuori la Striscia di Gaza dal resto del mondo, imponendo un blocco che è durato fino ad oggi.

Il blocco ha distrutto l’economia di Gaza e ha portato Human Rights Watch a definire la Striscia di Gaza una “prigione a cielo aperto”. La sua popolazione è intrappolata all’interno di muri e recinzioni e sotto la costante sorveglianza dei droni, mentre Israele esercita uno stretto controllo su tutti i movimenti di merci e persone via terra e via mare e di tanto in tanto si impegna in letali operazioni militari di “contenimento”, ma non fa alcun tentativo per raggiungere una soluzione politica.

Nel 2021, metà della popolazione della impoverita Striscia di Gaza era disoccupata. L’attuale divisione di fazioni tra Gaza governata da Hamas e l’Autorità Palestinese dominata da Fatah e il rifiuto di Israele e Stati Uniti di trattare direttamente con Hamas hanno complicato le questioni di governo, inclusa la gestione delle risorse idriche.

La scarsità d’acqua della Striscia di Gaza

Gaza ha una sola fonte di acqua dolce rinnovabile: la falda acquifera costiera che si estende dal Nord di Israele alla penisola del Sinai settentrionale in Egitto. Insieme alle falde acquifere sotterranee della Cisgiordania, la falda acquifera costiera è stata sotto il totale controllo israeliano sin dall’inizio dell’occupazione. Secondo uno studio delle Nazioni Unite del 2013, Israele estrae il 66% dell’acqua della falda acquifera costiera, mentre la Striscia di Gaza ne estrae il 23% e l’Egitto l’11%.

L’arrivo a Gaza di centinaia di migliaia di profughi da quello che oggi è Israele ha esercitato una forte pressione sulla falda acquifera, e nel giro di decenni i residenti hanno estratto più acqua di quanta ne potesse essere reintegrata ogni anno. Nel periodo 1995-2011 l’estrazione di acqua è aumentata di oltre il 30%, causando un calo del livello della falda acquifera che ha consentito all’acqua di Mare di filtrare all’interno della falda. I pozzi profondi di Israele, i pozzi adiacenti a Gaza e le dighe hanno ulteriormente influito sulla disponibilità idrica di Gaza. Le Nazioni Unite nel loro rapporto dell’agosto 2012 hanno affermato che la falda acquifera potrebbe essere irreversibilmente danneggiata entro il 2020 senza un aumento del 60% dell’approvvigionamento idrico di Gaza. La Banca Mondiale ha citato “una situazione allarmante e in peggioramento a Gaza nel periodo 2010-2016” e ha rilevato che “nel 2016, le possibilità di un migliore accesso all’acqua potabile a Gaza erano vicine allo zero”.

Fino al 2020, gli abitanti di Gaza ricevevano ancora oltre il 95% della loro acqua dalla falda acquifera inquinata ed estraevano tre volte il suo rendimento sostenibile, con più di un terzo perso a causa delle infrastrutture fatiscenti. Circa il 97% di quelle acque sotterranee non era potabile a causa degli alti livelli di salinità e delle acque reflue. La restante fornitura di Gaza è stata prodotta da piccoli impianti di desalinizzazione non regolamentati (2,6%) e il 2% è stato acquistato dalla compagnia idrica nazionale israeliana Mekorot dall’Autorità Palestinese per l’Acqua a corto di liquidità. Israele detrae le bollette dell’acqua che non sono state pagate dalle tasse che riscuote per l’Autorità Palestinese.

Una valutazione ambientale pubblicata nel 2020 è stata particolarmente desolante. Ha scoperto che la falda acquifera costiera era stata ridotta a dieci metri sotto il livello del mare. Mentre solo 55-60 milioni di metri cubi potevano essere prelevati in sicurezza dalla falda acquifera, ogni anno ne venivano estratti circa 160-200 milioni. I comuni sono stati in grado di soddisfare solo l’80% del fabbisogno idrico dei residenti e l’acqua delle condutture non è riuscita a raggiungere le case per giorni interi.

La carenza di acqua pulita è solo una parte del problema. Il costo per l’acquisto di acqua trasportata spesso inquinata è proibitivo per molti abitanti di Gaza, metà dei quali vive al di sotto della soglia di povertà. L’acqua che consumano è ben al di sotto della quota di 100 litri al giorno per il fabbisogno domestico pro capite stabilito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Secondo un comunicato stampa rilasciato dall’Ufficio di Statistica palestinese e dall’Autorità Palestinese per l’Acqua in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua (22 marzo 2022), l’allocazione giornaliera pro capite di acqua per uso domestico a Gaza è di 86,6 litri al giorno. Tuttavia, l’acqua adatta all’uso umano ammonta a soli 26,8 litri al giorno. Mekorot stima il consumo pro capite israeliano di acqua pulita a 230 litri al giorno.

Colpire il sistema idrico e fognario di Gaza

Ad aggravare i problemi idrici di Gaza c’è un sistema di trattamento delle acque reflue martoriato da attacchi militari e carenza di carburante. Nel 2006, i missili hanno messo fuori uso l’unica centrale elettrica di Gaza. Quando Israele ha bloccato la Striscia di Gaza l’anno successivo, le sue infrastrutture erano in pericoloso stato di abbandono. Nel marzo 2007, l’argine di un bacino di acque reflue è crollato, causando l’annegamento di cinque persone.

Le offensive militari israeliane nel 2008-2009, 2012, 2014, 2021 e agosto 2022 hanno ucciso oltre 4.000 persone, tra cui più di 870 bambini, e polverizzato un’infrastruttura già fragile. L’Operazione Piombo Fuso (Cast Lead) nel 2008-2009 ha danneggiato o distrutto 11 pozzi e quattro bacini, insieme a stazioni di pompaggio, un impianto di trattamento delle acque reflue, 19.920 metri di condutture idriche, 2.445 metri di condotte fognarie e sezioni della rete elettrica vitali per il trattamento delle acque reflue. L’Operazione Margine di Protezione (Protective Edge) nel 2014 ha inflitto ulteriori danni a pozzi, bacini d’acqua, impianti di trattamento delle acque reflue, impianti di desalinizzazione e stazioni di pompaggio. Durante 11 giorni nel maggio 2021, i bombardamenti aerei hanno colpito 13 pozzi d’acqua, tre impianti di desalinizzazione e 250.000 metri di condutture idriche, inclusa la condotta principale che trasporta l’acqua acquistata da Mekorot. Tre giorni di bombardamenti all’inizio di agosto 2022 hanno danneggiato alcune sezioni della rete idrica e una carenza di carburante ha temporaneamente ridotto la produzione e la consegna dell’acqua di oltre il 50%.

Dopo ogni attacco militare, il blocco israeliano ha ritardato il processo di ricostruzione di mesi e persino anni, costringendo gli abitanti di Gaza a vivere con scarse scorte di acqua potabile e fognature a cielo aperto che scorrono per le strade. Nel settembre 2014, Israele, l’Autorità Palestinese e l’ONU hanno istituito un “Organismo di Ricostruzione di Gaza” (Gaza Reconstruction Mechanism – GRM) apparentemente temporaneo per supervisionare l’ingresso di materiali da costruzione mentre affrontava le preoccupazioni di sicurezza di Israele.

La burocrazia del GRM escludeva gli articoli a “doppio uso”, ovvero tutto ciò che poteva essere destinato ad uso militare da parte di Hamas, inclusi cemento, legno, apparecchiature elettromeccaniche e tubi. Nel 2017, c’erano 8.500 articoli nell’elenco a “doppio uso”. Migliaia di articoli non presenti nell’elenco a “doppio uso” necessitavano ancora di un’approvazione speciale, portando l’economia ad un stallo.

A gennaio 2022, Israele non aveva ancora consentito l’ingresso di parti per riparare i danni del maggio 2021 all’infrastruttura idrica di Gaza. Secondo quanto riferito, ulteriori danni alla falda acquifera costiera sono stati causati dal nuovo muro alto sei metri che circonda la Striscia di Gaza, che penetra in profondità nel terreno per scoraggiare la costruzione di tunnel.

Conseguenze sulla salute pubblica

Nel 2017, circa 108.000 metri cubi di acque reflue non trattate venivano scaricate nel Mediterraneo ogni giorno. Quell’estate un bambino di cinque anni morì dopo aver nuotato nel mare inquinato. L’anno successivo, Gaza è stata giudicata “sull’orlo del collasso umanitario” a causa della “mancanza cronica di energia, acqua e servizi igienico-sanitari, che pone gravi minacce alla salute pubblica”.

Più di un quarto delle malattie a Gaza sono legate all’acqua. Numerosi rapporti indicano che i nitrati provenienti dall’inquinamento delle acque reflue superano di sei volte le raccomandazioni dell’OMS, causando un aumento dei casi di Cianosi. Le alte concentrazioni di cloruro dovute all’infiltrazione dell’acqua di mare nella falda acquifera costiera mettono a rischio le donne in gravidanza e i bambini, e l’acqua contaminata è la principale causa di mortalità infantile. Uno studio ha rilevato che il 59,2% di un campione di bambini aveva almeno un’infezione parassitaria e una percentuale simile soffriva di anemia. Il cancro e le malattie renali sono sempre più comuni, con un aumento annuo del 13% dei pazienti affetti da insufficienza renale. Ci sono state epidemie di malattie trasmissibili come l’epatite A acuta, diarrea acuta e febbre tifoide. La mancanza di acqua pulita rende difficile contenere le infezioni diffuse da organismi multifarmacoresistenti che emergono dall’uso diffuso di antibiotici per curare i pazienti feriti negli attacchi militari.

Altri impatti sulla salute riguardano i metalli pesanti dei bombardamenti che rimangono nel suolo poiché il blocco ne impedisce la rimozione, dove contribuiscono all’inquinamento dell’approvvigionamento alimentare e idrico. I ricercatori hanno associato queste tossine a una crescita delle malformazioni alla nascita, dei neonati prematuri e gravemente sottopeso e nell’arresto della crescita dei bambini piccoli.

Insieme al fatiscente servizio sanitario, e la carenza di attrezzature mediche, kit di analisi e vaccini, la scarsità di acqua pulita ha ostacolato gli sforzi per scongiurare la pandemia di Covid-19.

Collusione nella punizione collettiva

Il Comitato Internazionale della Croce Rossa ha denunciato il blocco israeliano come una forma di punizione collettiva che viola il diritto umanitario internazionale. Qualunque sia la giustificazione di Israele per mantenere un blocco in atto da oltre 15 anni per costringere la popolazione a rovesciare Hamas, nessun argomento di sicurezza può annullare il diritto di una popolazione all’acqua. Parte integrante della salute pubblica e della vita stessa, il diritto umano all’acqua, riconosciuto dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2010 (A/RES/64/292), si fonda sul Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali.

I Paesi occidentali che sono stati essi stessi potenze colonizzatrici hanno mostrato scarso interesse a far rispettare il diritto internazionale umanitario per quanto riguarda Israele. Hanno ignorato la valutazione schiacciante dell’impatto del blocco e del GRM emessa da varie ONG. Hanno invece cercato di applicare soluzioni tecniche per evitare la catastrofe che deve affrontare la popolazione prigioniera di Gaza senza chiedere la fine del blocco, e le loro promesse di aiuto spesso sono rimaste tali.

Ci sono stati, dopo ripetuti ritardi, alcuni progressi nel trattamento delle acque reflue, con il risultato che nel luglio 2022, il 65% dell’acqua lungo la costa di Gaza è stato ritenuto abbastanza sicura per la balneazione. Nel 2019, il Progetto per il Trattamento delle Acque Reflue di Emergenza a Nord di Gaza, finanziato dalla Banca Mondiale, ha finalmente aperto nei pressi del sito dove cinque persone sono annegate nelle acque reflue nel 2007. L’impianto di trattamento centrale di Gaza, finanziato dalla Germania, costruito per servire un milione di persone nella Striscia di Gaza centrale, è diventato pienamente operativo all’inizio del 2021 e i tanto attesi allacciamenti per facilitare un aumento di cinque milioni di metri cubi di acqua da Mekorot sono stati completati entro la fine dell’anno.

Ma la chiusura e la punizione collettiva inflitta a Gaza significano che progressi come questi sono fragili. Nel tentativo di evitare interruzioni dovute alla carenza di carburante ed elettricità, nel sito dell’impianto di trattamento centrale sono stati costruiti un impianto di biogas e un impianto solare. Tempo due mesi l’impianto è stato danneggiato durante l’offensiva militare del maggio 2021 e sono servite pressioni dal governo tedesco prima che i pezzi di ricambio per il suo sistema elettromeccanico fossero autorizzate ad entrare.

Con il problema endemico dell’ingresso del carburante, i pannelli solari stanno fornendo il 12% dell’energia necessaria per alimentare l’impianto di desalinizzazione finanziato dall’Unione Europea entrato in funzione nel 2017 per fornire acqua a 75.000 persone nel Sud della Striscia di Gaza. L’impianto di desalinizzazione dell’acqua di mare di Gaza Nord, che è stato danneggiato nell’offensiva del maggio 2021 privando 250.000 persone dell’acqua, illustra i rischi affrontati da questi progetti ad alto investimento di capitale.

Nel frattempo, l’Autorità Palestinese per l’Acqua e la Banca Mondiale, con i finanziamenti promessi da una dozzina di Paesi, l’Unione Europea e la Banca Islamica per lo Sviluppo, stanno portando avanti l’impianto centrale di desalinizzazione, da tempo in fase di stallo, destinato a fornire acqua a due milioni di persone entro il 2030. Il Manuale di Informazione del Donatore preparato dall’Autorità Palestinese assicura ai finanziatori che il complicato progetto soddisferà le disposizioni del GRM.

Ma secondo le parole di ANERA (American Near East Refugee Aid – Aiuto Statunitense ai Rifugiati del Vicino Oriente): “Sebbene gli investimenti internazionali nelle principali infrastrutture idriche siano fondamentali, qualsiasi progetto di questo tipo avrà poca fattibilità a lungo termine senza la capacità palestinese di importare liberamente le attrezzature e le forniture necessarie per la costruzione e manutenzione degli impianti idrici e fognari”.

Implicazioni di un blocco infinito

Oggi il GRM “temporaneo” è diventato una parte istituzionalizzata di un accordo duraturo che in gran parte sfugge alle critiche dei donatori che pagano per ricostruire ciò che Israele ha distrutto. Piuttosto che fare pressioni su Israele come occupante affinché rispetti i diritti umani dei palestinesi, compreso il diritto all’acqua, la comunità internazionale ha investito denaro e competenze tecniche in un problema che richiede una soluzione politica. In tal modo, sta tentando di prevenire la calamità pur accettando le violazioni del diritto internazionale da parte di Israele.

Secondo quanto riferito, Israele ora produce il 20% in più di acqua del necessario. Ma quell’acqua non viene messa a disposizione dell’assetata Gaza, a cui è anche impedito l’accesso alle falde acquifere della Cisgiordania. E senza una significativa pressione esterna, è improbabile che le cose cambino. Nel tentativo di ricucire le relazioni con Fatah e aprire la porta ai negoziati con Israele, Hamas ha modificato il suo statuto nel 2017 per offrire a Israele una tregua a lungo termine. Ma Israele ha respinto il documento rivisto prima che fosse pubblicato, preferendo vedere tutta Gaza come una “entità ostile” isolata dal mondo.

Il Genocidio, ha scritto Ralph Lemkin che ha coniato il termine, “si riferisce a un piano coordinato volto alla distruzione dei fondamenti essenziali della vita dei gruppi nazionali in modo che questi gruppi appassiscano e muoiano come piante che hanno subito un flagello”. Se si vuole evitare questo flagello nella Striscia di Gaza, la comunità internazionale deve porre immediatamente fine alla sua complicità nella punizione collettiva del popolo palestinese e fare pressione su Israele affinché revochi il suo blocco.

Nancy Murray ha insegnato e lavorato su questioni relative ai diritti umani in Kenya, Regno Unito e Medio Oriente, ed è stata per 25 anni direttrice dell’istruzione presso l’Unione Americana delle Libertà Civili del Massachusetts (ACLUMA).

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org