Il frasario per i soldati israeliani che fa della lingua uno strumento di tortura

Il nuovo frasario disumanizza il popolo palestinese e inganna le truppe israeliane.

Fonte: English version

Mahmoud Muna – 14 aprile 2023

Immagine di copertina: soldati israeliani puntano il fucile contro palestinesi a Hebron, in Cisgiordania.  Credit: Reuters

Non c’è assolutamente alcun dubbio che senza libri saremmo una società molto poco istruita. I libri ci portano in luoghi, ci presentano persone e ci fanno esplorare nuove realtà. I frasari di lingue straniere sono strumenti particolarmente importanti per conoscere nuove culture e permetterci di ampliare il nostro vocabolario.

L’editore israeliano Minerva Books ha recentemente pubblicato un nuovo lavoro intitolato “Libro di frasi ebraico-arabo per l’esercito e la sicurezza: conversazioni in arabo dialettale con la traslitterazione ebraica”. La premessa, come affermato in quarta di copertina, è quella di fornire ai soldati israeliani e alle altre forze di sicurezza uno strumento per “comunicare meglio e in modo più efficiente con chi parla la lingua araba”. L’editore aggiunge che “una migliore comunicazione e comprensione reciproca è imperativa e può prevenire incidenti in tempi di tensione e scontri”.

Questo libro è più che problematico, per non dire altro. È controproducente, pericoloso ed è uno strumento  che promuove l’oppressione e l’abuso dei palestinesi, che spesso si trovano soggetti a vessazioni, detenzione e perquisizioni da parte dell’esercito israeliano.

Il nuovo frasario disumanizza il popolo palestinese e inganna le truppe israeliane.

C’è una frode fondamentale qui. Il libro considera gli scontri violenti tra l’esercito e i palestinesi semplicemente come il risultato di una scarsa comunicazione e incomprensione linguistica, non come pratiche  discriminatorie e politiche del governo israeliano. Questo quadro distorto rafforza quindi l’illusione che un frasario possa facilitare tali incontri e prevenire eventuali malintesi.

Il libro è piccolo, perfetto per la tasca laterale dei pantaloni di un soldato. Dall’inizio alla fine utilizza  la traslitterazione ebraica, in modo che l’alfabeto arabo possa essere del tutto evitato

L’eliminazione dei caratteri arabi allontana ulteriormente l’esercito israeliano e il personale di sicurezza da un’importante rappresentazione visiva dei palestinesi e della loro identità culturale, negando loro il diritto fondamentale di essere visti come una nazione civile e con una propria lingua. Li rende un gruppo irregolare di persone con cui si può comunicare solo usando un miscuglio di suoni e fonetica attraverso lettere ebraiche mescolate con punteggiatura e annotazioni di forma strana.

I contenuti del libro rispecchiano esattamente ciò che è scritto sulla copertina. Il primo capitolo è sui posti di blocco; la prima riga è il saluto “buongiorno”, ma tutto ciò che segue è esattamente ciò che un “buon” soldato israeliano dovrebbe chiedere a un posto di blocco:

“Mostrami la tua carta d’identità.”

“Dammi il permesso di ingresso.”

“Il permesso non è valido.”

“Dove lavori e per chi?”

“Mettetevi in fila uno dopo l’altro”.

“Metti la borsa sotto lo scanner”

E così via

FOTO Palestinesi al checkpoint di Qalandiya diretti alla preghiera del venerdì del Ramadan alla moschea di Al-Aqsa un anno fa.Credit: Issam Rimawi/Anadolu Agency via AFP

Questo frasario è sicuramente completo. È diviso in capitoli con titoli come “Arresto”, “In viaggio verso un bersaglio”, “Interrogatorio dei passanti”, “Ingresso violento in una casa”, “Interrogatorio”, “Tipi di annunci  con l’altoparlante”, “Disperdere la folla”, “Annunci di coprifuoco “, “Entrare in un villaggio” e molti altri argomenti su ciò che l’esercito comunica regolarmente ai civili palestinesi.

Il libro contiene anche capitoli come “Colori”, “Il corpo umano”, “Attrezzature”, “Trasporti”, “Numeri”, “Giorni della settimana” e “Dire l’ora”. Ma ha anche capitoli peculiari come “Nomi e festività dei mesi islamici” e “Nomi degli apparati di sicurezza palestinesi”, nonché le abbreviazioni dei partiti politici palestinesi.

Non ci si può fare a meno di chiedere come i soldati useranno questo libro. Contiene domande ma nessuna potenziale risposta, nessuna preposizione o articolo, nessun consiglio sulla struttura di una frase araba. E, che ci crediate o no, tutti i verbi sono all’imperativo!

È abbondantemente chiaro che il libro è destinato alla comunicazione unidirezionale, con comandi forniti in modo ordinato. Non c’è interesse per le risposte, come se non abbiano mai importanza.

Semmai, il libro è un’ulteriore fonte di potere per i potenti, senza alcun interesse per le persone sottoposte alle pratiche dell’esercito. Non sono facilitati nell’ essere capiti o addirittura ascoltati.

Forse la parte più disumanizzante è a pagina 79, “Frasi  e modi di dire per interrogare qualcuno”. Qui gli autori vogliono che i palestinesi vengano interrogati e torturati con l’uso sofisticato di espressioni profondamente radicate nella cultura palestinese e araba.

Questo è molto ironico considerando tutti i tentativi dell’esercito israeliano e del mondo politico di negare l’esistenza di questa cultura. In effetti, la copertina del libro omette la parola palestinese, rimanendo fedele a “arabo colloquiale”.

Questo libro non è eticamente valido, né utile. Probabilmente è stato prodotto nel tentativo di generare una grande vendita all’ingrosso per l’esercito e le forze di sicurezza. Anche i coloni saranno potenziali clienti? O l’editore creerà un’edizione speciale per i coloni della Cisgiordania che imperversano nelle città palestinesi?

Questo libro è pericoloso. Contraddice la premessa dell’editore; inganna il suo pubblico target (in questo caso, persone con armi letali) facendogli credere che saranno in grado di capire e comunicare. Li inganna in un falso senso di familiarità e conoscenza, e quindi li induce ad agire in modo errato in situazioni che chiaramente fraintendono. Sarebbe più etico produrre un opuscolo che descriva in dettaglio i diritti dei civili che vengono fermati, perquisiti, arrestati e interrogati.

Ci sono mille e una ragione per cui gli israeliani (esercito o meno) dovrebbero imparare l’arabo: per arricchire la loro consapevolezza culturale, per ampliare la loro comprensione dell'”altro” e per godere di un assaggio di una vasta e ricca civiltà.

Ma forse la ragione più importante è che 9 milioni di israeliani vivono tra 439 milioni di persone che in Medio Oriente parlano arabo. Questo libro non è un passo in quella direzione. Utilizza come arma la lingua e disumanizza il popolo palestinese, trasformando l’arte della letteratura in uno strumento di tortura e il suono della poesia nell’inganno della “sicurezza”.

Con questa pubblicazione, Minerva Books è ben lontana dal rappresentare la dea della saggezza e della giustizia. Piuttosto, abbraccia il principe delle tenebre.

 

Mahmoud Muna, alias il Libraio di Gerusalemme, possiede l’American Colony Bookshop in città.

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org