Questi è il modo in cui Israele mette a tacere i difensori dei diritti umani palestinesi

Sin dal 1967, i governi israeliani hanno effettivamente ammesso che violare il diritto internazionale è essenziale per mantenere l’Occupazione e negare i diritti umani dei palestinesi, cercando di mettere a tacere le critiche usando una sorta di ricatto intellettuale molto efficace.

Fonte: English version
Di Nathaniel Berman – 21 maggio 2023

Immagine di copertina: Le forze israeliane detengono il palestinese Fevzi El-Junidi, 14 anni, a seguito degli scontri a Hebron nel dicembre 2017. Credito fotografico: Wisam Hashlamoun / Agenzia Anadolu

“Ma qual è la vostra soluzione al conflitto?” Questa è una domanda che viene sempre più posta ai critici delle violazioni israeliane dei diritti umani dei palestinesi

È una domanda che incontro nelle mie conversazioni, sui social media e nei dibattiti pubblici. La domanda tende a essere posta da coloro che si considerano “centristi” o addirittura “liberali”, coloro che possono persino dichiarare di sperare nella fine dell’Occupazione, “un giorno”.

Questo fenomeno ha ricevuto un grande impulso dai precedenti governi di Naftali Bennet e Yair Lapid, i cui accordi di coalizione hanno proclamato il rinvio di ogni cambiamento significativo nei rapporti con i palestinesi.

I sostenitori più militanti dell’attuale governo sono in qualche modo meno propensi a porre questa domanda. Dopotutto, Bezalel Smotrich, il ministro del governo con la massima autorità sull’Occupazione, proclama senza riserve che i palestinesi della Cisgiordania devono essere permanentemente subordinati a Israele, senza il minimo riguardo per i loro diritti umani.

L’effetto della domanda è quello di deviare la discussione dalle palesi violazioni dei diritti dei palestinesi a dibattiti interminabili su una o l’altra “soluzione” e a infruttuose speculazioni sulla possibilità di porre fine a decenni di conflitto.

È giunto il momento che coloro che difendono i diritti dei palestinesi rifiutino questo tipo di tentativo di rinviare il rispetto di tali diritti. I diritti garantiti a livello internazionale non sono stati concepiti per un futuro utopico in cui tutti i problemi siano risolti.

In realtà, è l’esatto opposto.

I trattati che stabiliscono diritti individuali contro il potere governativo abusivo sono stati pensati proprio per il tipo di mondo in cui viviamo: un mondo lacerato da conflitti nazionali, animosità etniche e squilibri di potere di ogni tipo. Possiamo dividere questi tipi di diritti in due grandi categorie.

La prima categoria è quella del “diritto internazionale dei diritti umani”, applicabile in tutti i tempi e luoghi.

La seconda categoria è quella che i giuristi internazionali chiamano “Diritto Umanitario Internazionale”: le norme applicabili a situazioni derivanti da conflitti armati, comprese le occupazioni. La seconda categoria, ovviamente, è pensata proprio per quelle situazioni per le quali non è stata ancora trovata alcuna “soluzione”.

Le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, emanate sulla scia degli orrori della Seconda Guerra Mondiale, sono le linee guida del diritto umanitario internazionale. La quarta di queste Convenzioni, riguardante l’Occupazione, è il trattato più rilevante per il conflitto israelo-palestinese. Stabilisce un ampio insieme di regole per l’amministrazione del Territorio Occupato e un ampio insieme di diritti per la popolazione occupata, che definisce “persone protette”.

Nei mesi successivi alla guerra del 1967, il governo israeliano decise di rifiutare di ammettere che questa Convenzione si applicasse, come questione di diritto, ai Territori Occupati. I funzionari governativi hanno dichiarato esplicitamente che questo rifiuto era dovuto all’intenzione di Israele di violare una serie di disposizioni della Convenzione, in particolare i suoi divieti sugli insediamenti, la demolizione di case, l’espulsione della popolazione e il cambiamento dello status giuridico di almeno alcune parti dei Territori.

Queste violazioni della Convenzione rimangono i cardini dell’amministrazione israeliana della Cisgiordania. Israele ha quindi violato sistematicamente e deliberatamente la Quarta Convenzione di Ginevra per più di mezzo secolo. Rinviare un confronto con tali violazioni fino a quando non si raggiunge una “soluzione” al conflitto non ha senso. Qualsiasi vera “soluzione” porrà fine all’Occupazione, a quel punto la Convenzione non sarà più applicabile.

Una sofisticata svolta sul rinvio indefinito dei diritti dei palestinesi è apparsa tre anni fa con il ben pubblicizzato programma di Micah Goodman per “ridurre il conflitto”.

Questo programma ha esplicitamente abbandonato, per un futuro indefinito, qualsiasi “soluzione”, optando invece per una serie di politiche concrete che potrebbero migliorare la sorte dei palestinesi sotto l’Occupazione Israeliana.

Il programma non faceva alcun riferimento ai diritti dei palestinesi ai sensi del diritto internazionale dei diritti umani o del diritto umanitario internazionale. Ad esempio, non ha cercato di porre rimedio alla più evidente iniquità giuridica dell’Occupazione: l’assoggettamento di ebrei e palestinesi in Cisgiordania a due sistemi legali, separati e radicalmente ineguali, in relazione alla maggior parte delle accuse penali.

Questa ingiustizia colpisce in particolare i palestinesi che vivono nella zona C, dove vive la maggior parte dei coloni ebrei, ma colpisce tutti i palestinesi della Cisgiordania. Viola le disposizioni fondamentali di non discriminazione sancite da ogni trattato internazionale pertinente, oltre ad offendere la concezione fondamentale dell’uguaglianza davanti alla legge. Questa iniquità deriva in ultima analisi dalla presenza stessa di coloni ebrei nei Territori Occupati, che viola una disposizione fondamentale della Quarta Convenzione di Ginevra.

Nonostante la sua calda accoglienza, il programma di Goodman non è stato attuato dai governi israeliani, anche se la maggior parte potrebbe essere attuata unilateralmente. Ma le caratteristiche fondamentali della sua retorica sono diventate parte del dibattito principale, soprattutto l’abbandono delle “soluzioni” e il differimento indefinito dei diritti umani. Indubbiamente ha gettato le basi per il rinvio da parte del governo Bennett/Lapid di qualsiasi negoziato sostanziale con i palestinesi sull’Occupazione.

Stranamente, coloro che pongono la domanda: “qual è la vostra soluzione”, sembrano abbracciare il presupposto di fondo dei più irremovibili oppositori dell’Occupazione: che le violazioni del diritto internazionale sono essenziali per mantenere l’Occupazione.

Rispondendo a specifiche accuse di azioni israeliane illegali con la richiesta di una risoluzione irrealizzabile del conflitto, sembrano dire che non possono immaginare l’Occupazione senza le politiche israeliane illegali.

Se così non fosse, risponderebbero direttamente alle affermazioni specifiche e non fuggirebbero al dibattito sulle “soluzioni” irrealizzabili. Naturalmente, sembra probabile che non siano pienamente consapevoli di ammettere implicitamente che le politiche israeliane sono chiaramente illegali. Ma la velocità con cui eludono le questioni specifiche suggerisce che sono almeno in qualche modo consapevoli della fondatezza delle accuse.

Tali scambi assomigliano a una famosa scena de “La battaglia di Algeri”, il film del 1966 sulla repressione francese di una rivolta contro il loro dominio in Algeria a metà degli anni ’50. In questa scena, i giornalisti interrogano il “Colonnello Mathieu”, un comandante militare francese immaginario, in merito alle accuse secondo cui i francesi stavano torturando gli algerini. Invece di rispondere direttamente, Mathieu dichiara che il vero problema è se la Francia debba restare in Algeria.

Se la risposta è “sì”, dice, allora bisogna accettare i mezzi necessari per garantire la presenza continua della Francia. Ammette quindi implicitamente l’uso della tortura, ma devia la discussione sulla questione più ampia del dominio francese. La sua posizione sfida implicitamente i suoi interlocutori a contestare la legittimità del dominio francese, che a quel tempo sarebbe stato un passo molto radicale da compiere per un cittadino francese. È una specie di ricatto intellettuale, molto efficace. Ma ha anche implicitamente riconosciuto che il dominio francese in Algeria richiedeva l’atroce politica della tortura.

Una dinamica analoga (se non esattamente identica) si verifica quando le critiche specifiche alle violazioni israeliane del diritto umanitario internazionale e del diritto internazionale dei diritti umani vengono deviate con domande sulle “soluzioni”. L’intenzione è la stessa: mettere a tacere i difensori dei diritti umani.

Quando i sostenitori dei diritti umani protestano contro le politiche israeliane come la demolizione di case e scuole, l’espulsione dei palestinesi da aree specifiche della Cisgiordania, la detenzione senza processo, l’accondiscendenza dell’esercito alla violenza dilagante dei coloni e il mantenimento di due sistemi legali per coloni ebrei e palestinesi, separati e radicalmente disuguali, devono insistere per mantenere la discussione nel qui e ora.

Quando si troverà una “soluzione” per il conflitto, i palestinesi non avranno bisogno di diritti internazionali che li proteggano da tali abusi. Ma nel mondo reale, queste palesi violazioni del diritto internazionale devono essere contestate e fermate.

Nathaniel Berman è professore detentore di una cattedra Rahel Varnhagen presso il Dipartimento di Studi Religiosi dell’Università Brown. È l’autore di: Passion and Ambivalence: Colonialism, Nationalism, and International Law and Divine (Passione e Ambivalenza: Colonialismo, Nazionalismo e Diritto Internazionale) e Demonic in the Poetic Mythology of the Zohar: the Other Side of Kabbalah (Demoniaco nella Mitologia Poetica dello Zohar: l’Altra Faccia della Kabbalah).

Traduzione di Beniamino Rocchetto -Invictapalestina.org