56 anni dopo la guerra del 1967, il mondo continua a negare la tragedia palestinese

Figlio di un generale che partecipò alla Nakba nel 1948 e alla Naksa nel 1967, Miko Peled pensava di conoscere la storia israeliana. Ma quando finalmente incontrò i palestinesi e sentì le loro storie sulle atrocità sioniste, fu scioccato nell’apprendere la verità.

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Di Miko Peled – 5 giugno 2023

Immagine di copertina: Una foto in bianco e nero di un soldato israeliano in posa davanti alla Moschea Dahmash a Lydd nel 1948, in piedi accanto a un veicolo civile e con in mano una mitragliatrice. (FOTO: WIKIMEDIA)

Gli americani, che danno a Israele miliardi di dollari ogni anno, potrebbero essere interessati a sapere che maggio e giugno sono mesi incredibilmente difficili nelle memorie collettive di israeliani e palestinesi. Personalmente, ogni anno, quando arriva maggio, mi viene in mente la prima volta che ho parlato rivolgendomi ai palestinesi degli eventi del 1948. Era l’anno 2001 o 2002, durante un incontro di ebrei e palestinesi locali a San Diego.

Ero convinto di sapere tutto quello che c’era da sapere su quel periodo della nostra storia comune perché mio padre, Matti Peled, era un capitano della milizia sionista pre-statale, l’Haganah. Ha combattuto in quella che noi israeliani chiamiamo la Guerra d’Indipendenza. Poi, due decenni dopo, fu tra i generali che pianificarono e condussero la Guerra dei Sei Giorni del 1967.

La guerra del 1948, chiamata Catastrofe, o Nakba in arabo, fu la Guerra d’Indipendenza di Israele, ed entrambe vengono commemorate durante il mese di maggio. A giugno gli israeliani hanno celebrato la guerra del 1967, considerata una grande vittoria per Israele. I palestinesi piangono quella che chiamano la “Naksa”, che in arabo significa Disfatta. Oggi è il 56° anniversario della Naksa.

“Nel 1948 le forze sioniste superavano di quattro a uno i combattenti palestinesi”, esclamò George, un palestinese che avevo appena incontrato. “Avevamo circa diecimila uomini, male armati e poco addestrati. I sionisti avevano una milizia ben addestrata e ben armata di quasi quarantamila uomini”.

“Cosa? No, assolutamente no! Eravamo Davide in quella guerra non Golia”. Ho dovuto insistere. Ricordo storie di come noi, i pochi, avevamo sconfitto gli arabi ben armati. Ho sentito storie di mio padre e dei suoi compagni d’armi che hanno partecipato alle battaglie.

Quello che non avevo ancora fatto a quel punto era leggere gli scritti del professor Ilan Pappe e di altri storici israeliani che avevano pubblicato la storia del 1948 sulla base di materiale rilasciato dagli archivi nazionali israeliani. Descrivono una campagna di Pulizia Etnica pianificata che includeva massacri volti a terrorizzare la popolazione araba. Questi storici, che divennero noti come I Nuovi Storici, mostrarono che allo scopo di creare una maggioranza demografica ebraica in Palestina/Eretz Yisrael, la popolazione araba fu costretta ad andarsene.

Ma a questo punto mi sono reso conto che ciò che pensavo di sapere non era la verità. Un altro palestinese, Ibrahim, raccontò un’altra storia dell’orrore. Suo padre, un giovane nel 1948, fu prelevato dalla milizia sionista, che divenne l’esercito israeliano nel maggio del 1948, per ripulire la Moschea Dahmash nella città di Lydd dopo un massacro. Lydd, dove oggi si trova l’aeroporto Ben-Gurion, fu occupata nel luglio 1948. Dopo che più di cento civili palestinesi si rifugiarono nella moschea, un soldato di nome Yerachmiel Kahanovich fu inviato per sparare un missile anticarro Piat contro la moschea.

In una video intervista che Kahanovich ha rilasciato nel 2012, ha descritto ciò che ha fatto. Unì il pollice e l’indice e mostrò la dimensione del foro lasciato dal missile nella finestra della moschea. Poi fa fatto un sopralluogo. “Ho aperto la porta e il posto sembrava vuoto, i resti delle persone uccise dall’esplosione erano finiti su tutte le pareti”. Dopo alcuni giorni, le forze israeliane hanno inviato i palestinesi imprigionati per ripulire i resti umani. Il padre di Ibrahim era uno di loro.

Non sapevo, né potevo credere, che noi israeliani avessimo fatto cose così orribili. Quindi, quando gli ebrei sionisti oggi si rifiutano di credere che Israele abbia commesso orrendi crimini di guerra e si rifiutano di accettare un rapporto di Amnesty International secondo cui Israele è coinvolto nel crimine di Apartheid, so cosa stanno attraversando anche se credo fermamente che sia giunto il momento per loro di svegliarsi.

Dopo quella conversazione, ho chiamato mio fratello Yoav a Tel Aviv. Ho pensato che se c’era qualcuno in grado di aiutarmi a dare un senso a quello che dicevano i palestinesi, quello era lui. “Dovresti leggere i resoconti di Ilan Pappe e gli altri Nuovi Storici”, mi ha suggerito. “Sembra che quello che i Palestinesi ti dicono sia vero”.

Quindi ora, nei mesi di maggio e giugno, sento che si sta preparando una tempesta interiore. Simile a quello che provo mentre i palestinesi continuano a raccontarmi le loro storie. Ma non mi accusino o puntino il dito contro di me, solo perché sto raccontando storie che il mondo non vuole sentire.

Miko Peled è uno scrittore e attivista per i diritti umani, nato a Gerusalemme. È autore di “The General’s Son. Journey of an Israeli in Palestine” (Il Figlio del Generale. Viaggio di un Israeliano in Palestina) e “Injustice, the Story of the Holy Land Foundation Five” (Ingiustizia, Storia dei Cinque Della Fondazione Terra Santa).

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org