I tagli agli aiuti alimentari operati dal Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite sono stati nefasti per i palestinesi. Ma data la natura politicizzata dei finanziamenti e delle donazioni, l’unica soluzione all’insicurezza alimentare è porre fine all’oppressione di Israele e non aumentare la dipendenza.
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Di Yara M. Asi – 22 agosto 2023
Nonostante una lunga storia di espropri di terre, politiche che hanno emarginato gli agricoltori locali e ridotto l’accesso all’acqua e ad altre risorse vitali per lo sviluppo agricolo, i palestinesi sono stati una società in gran parte agraria fino a tempi relativamente recenti, quando il culmine naturale di queste azioni ha fortemente limitato i terreni coltivabili a loro disposizione.
Inoltre, le continue restrizioni di movimento hanno reso difficile ottenere e mantenere le attrezzature e le risorse necessarie per un’agricoltura sostenibile.
La nozione storica di una popolazione in grado di nutrire le proprie comunità e allo stesso tempo di consentire l’esportazione di alimenti coltivati localmente (come arance, olive e cereali) è quasi scomparsa dalla vita palestinese contemporanea. Pertanto, il persistere dell’insicurezza alimentare dei palestinesi (soprattutto nella Striscia di Gaza), unita alla crescente dipendenza dagli aiuti alimentari, è, più che una storia di emergenza umanitaria, una storia di continuo e deliberato esproprio.
Ciò rende ancora più dolorose le notizie relative alla riduzione degli aiuti alimentari per i palestinesi. La stessa comunità internazionale che ha creato e reso possibile sistemi che minimizzano la sovranità palestinese in tutti i settori, compresa la disponibilità di cibo, nonché sistemi sviluppati per garantire essenzialmente la dipendenza palestinese dagli aiuti alimentari, sta ora minacciando di togliere tali aiuti senza fare nulla per contrastare le condizioni che hanno creato quella dipendenza.
Come esempio ovvio, secondo le stime dall’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Impiego (UNRWA), il blocco di Gaza ha portato ad un aumento di quasi dieci volte della dipendenza dagli aiuti alimentari da parte dei residenti del territorio assediato dall’inizio degli anni 2000.
Secondo il Programma Alimentare Mondiale (World Food Program – WFP), che opera nei Territori Occupati dal 1991, nel 2022 1,8 milioni di palestinesi soffrivano di insicurezza alimentare. Sebbene il WFP sia stato in grado di assistere solo il 51% della popolazione palestinese (non rifugiata) in condizioni di insicurezza alimentare, dando priorità ai più vulnerabili, sono stati probabilmente in grado di limitare gli esiti peggiori per queste popolazioni.
Pertanto, l’annuncio del WFP a maggio che avrebbe dovuto sospendere le operazioni in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza entro agosto a causa della mancanza di finanziamenti, è stato accolto con allarme dai palestinesi e dalla comunità umanitaria in generale. La carenza di finanziamenti ha già costretto il WFP a ridurre del 20% l’assistenza in denaro ai palestinesi, mentre l’impennata dei prezzi dei prodotti alimentari ha aumentato del 20% il costo medio per il fabbisogno alimentare delle famiglie.
All’inizio di agosto, i tagli del WFP venivano già avvertiti dai palestinesi che dipendevano dagli aiuti per il pasto successivo. “Il frigorifero è vuoto”, ha detto una madre all’Associated Press. “Riesco a malapena a sopportare tutto il malessere che ho dentro di me”. Sebbene l’agenzia sia ancora in grado di sostenere 150.000 tra i destinatari più bisognosi, se non riceveranno ulteriori finanziamenti, anche questi aiuti cruciali verranno tagliati entro novembre.
Naturalmente, la Palestina non è l’unico luogo in cui il WFP sta effettuando tagli. L’agenzia ha raccolto a malapena un quarto dei 20 miliardi di dollari (18,5 miliardi di euro) di cui ha bisogno per operare pienamente, portando a tagli nei luoghi più vulnerabili del mondo. Ma nei Territori Palestinesi, molti dei fattori che portano all’insicurezza alimentare delle famiglie, guidati in gran parte dalla disoccupazione, sono quasi interamente di origine umana e politica. Samer Abdeljaber, direttore del WFP in Palestina, sostiene che “l’insicurezza alimentare qui è un sintomo di qualcosa di più grande”.
Infatti, oltre ad essere un sintomo delle restrizioni dell’Occupazione e del blocco, dei fallimenti degli Accordi di Oslo e dello stesso progetto di colonialismo dei coloni, l’insicurezza alimentare è anche un sintomo della procurata frammentazione dei palestinesi, anche di quelli che vivono sulle stesse terre.
Il WFP fornisce servizi principalmente alla popolazione palestinese nei Territori Occupati che non è registrata come rifugiati palestinesi, definiti dalle Nazioni Unite come “persone il cui luogo di residenza originale era la Palestina nel periodo dal 1° giugno 1946 al 15 maggio 1948, e che hanno perso casa e mezzi di sostentamento a seguito del conflitto del 1948”, così come i loro discendenti. Questa popolazione, sparsa all’interno della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, così come in tutta la Siria, il Libano e la Giordania, è invece amministrata dall’UNRWA.
L’UNRWA fornisce servizi come assistenza sanitaria, istruzione e cibo a più di 2,5 milioni di palestinesi solo in Cisgiordania e Striscia di Gaza. Il suo mandato è necessario solo perché Israele e la comunità internazionale hanno continuato a trascurare la questione dei diritti dei rifugiati palestinesi. Tuttavia, i suoi finanziamenti sono spesso politicizzati: ad esempio, l’amministrazione Trump ha tagliato completamente il sostegno degli Stati Uniti all’Agenzia nel 2018.
Mentre l’amministrazione Biden ha ripristinato parte dell’assistenza nel 2021, i principali legislatori Repubblicani nelle commissioni per gli affari esteri del Senato e della Camera stanno attualmente bloccando 75 milioni di dollari (70 milioni di euro) in aiuti alimentari all’UNRWA. L’Agenzia ha avvertito che entro il 1º settembre non sarà in grado di rifornire le proprie scorte di cibo, lasciando più di 1 milione di persone senza cibo entro la metà di settembre.
Questa tattica di utilizzare apertamente gli aiuti alimentari necessari per finalità ed esigenze politiche è un triste promemoria del fatto che anche quella poca assistenza per la sopravvivenza dei palestinesi è spesso vista come una merce di scambio per le priorità americane e israeliane.
Le attuali minacce agli aiuti alimentari da parte del WFP e dell’UNRWA pongono conseguenze disastrose per i palestinesi, tra cui centinaia di migliaia di bambini. Ciò che sta accadendo dovrebbe servire a ricordare che nessun programma di aiuti dovrebbe sostenere i bisogni primari di milioni di persone per decenni. Infatti, gli aiuti alla Palestina, presupponendo che tali aiuti possano essere utilizzati per fare di più che evitare una grave catastrofe umanitaria, sono stati un fallimento. Lo Stato palestinese sovrano che avrebbe dovuto eventualmente soppiantare la dipendenza dagli aiuti non si è concretizzato e non arriverà mai.
È giunto il momento di iniziare a pensare a soluzioni per i bisogni alimentari dei palestinesi che non dipendano dai capricci dei politici e dei donatori, così come dalla capacità operativa delle grandi organizzazioni internazionali che mostrano scarsa propensione a sfidare le circostanze in cui sono chiamate ad operare.
I bisogni umanitari dei palestinesi, compresi gli aiuti alimentari, diminuirebbero in modo significativo se le questioni relative alle restrizioni di movimento, all’esproprio delle terre, all’espansione degli insediamenti, alla mancanza di rappresentanza politica e alla violenza militare e dei coloni, che sono state a lungo citate come i meccanismi principali per la dipendenza dei palestinesi dagli aiuti, fossero sufficientemente affrontate. Infatti, i palestinesi hanno mostrato determinazione negli sforzi per raggiungere la sovranità alimentare ottenendo un certo successo, ma questi sforzi sono limitati a causa delle restrizioni all’accesso alla terra e alle risorse. Ci ricorda che nessuna somma di denaro, soprattutto quella insufficiente e distribuita in modo incoerente, può sostituire la giustizia.
Yara M. Asi è Dottoressa di filosofia e Professore Assistente della Gestione Globale della Salute e dell’Informatica presso l’Università della Florida Centrale, e ricercatrice ospite presso il Centro per la Salute e i Diritti Umani intitolato a François-Xavier Bagnoud presso l’Università di Harvard e detentrice di una borsa di studio Fulbright in Cisgiordania.
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org