“Animali”: Il sordido linguaggio dietro il Genocidio israeliano a Gaza

Il vocabolario post-7 ottobre utilizzato dagli israeliani, ma anche da molti americani, ha creato la condizione necessaria per la micidiale risposta israeliana che ne è seguita.

Fonte: English version 

Di Ramzy Baroud – 26 ottobre 2023

Immagine di copertina: Il Tenente Colonnello Raphael Eitan, a sinistra, con altri comandanti israeliani, in visita all’IDF e ai soldati dell’ONU in Libano, giugno 1982. (Unità del portavoce dell’IDF, Wikimedia Commons, CC BY-SA 3.0)

“I Tutsi sono scarafaggi. Li uccideremo”.

“Gli arabi sono come scarafaggi drogati in una bottiglia”.

La prima citazione era una frase ripetuta spesso dalla Radio Télévision Libre des Mille Collines (Radio Televisione Libera delle Mille Colline), una stazione radio ruandese, in gran parte accusata di incitare all’odio contro il popolo Tutsi.

La seconda è dell’ex Capo di Stato Maggiore dell’esercito israeliano Generale Rafael Eitan nel 1983, mentre parlava ad una commissione del parlamento israeliano.

La stazione radio ruandese piena di odio operò solo per un anno (1993-94), ma il risultato del suo incitamento portò a uno degli episodi più tristi e tragici della storia umana moderna: il Genocidio dei Tutsi.

Paragoniamo l’incitamento “radiofonico al Genocidio” alla massiccia propaganda israelo-statunitense- occidentale, che disumanizza i palestinesi con un linguaggio quasi identico a quello utilizzato dai media Hutu.

Molti sembrano dimenticare che, molto prima della guerra di Gaza del 7 ottobre, e anche molto prima della fondazione dello stesso Israele nel 1948, il linguaggio sionista-israeliano è sempre stato quello del razzismo, della disumanizzazione, della cancellazione e, a volte, del vero e proprio Genocidio.

Se si sceglie a caso un periodo della storia israeliana per esaminare il linguaggio politico usato dai funzionari, dalle istituzioni e persino dagli intellettuali israeliani, si dovrebbe trarre la stessa conclusione: Israele ha sempre costruito una narrazione di incitamento e odio, sostenendo così una costante tesi per il Genocidio dei palestinesi.

Solo di recente, questo intento genocida sta diventando evidente a molte persone.

“Esiste il rischio di Genocidio contro il popolo palestinese”, hanno affermato gli esperti delle Nazioni Unite in una dichiarazione del 19 ottobre. Ma questo “rischio di Genocidio” non deriva dagli eventi recenti.

Infatti, azioni politiche o militari efficaci in qualsiasi parte del mondo difficilmente hanno luogo senza una struttura di testo e di linguaggio che faciliti, razionalizzi e giustifichi tali azioni. La percezione che Israele ha dei palestinesi è un perfetto esempio di questa affermazione.

Prima della fondazione di Israele, i sionisti negavano l’esistenza stessa dei palestinesi. Molti lo fanno ancora.

Quando ciò avviene, diventa logico trarre la conclusione che Israele, nella sua mentalità collettiva, non può essere moralmente colpevole di aver ucciso coloro che non sono mai esistiti.

Anche quando si prende in considerazione il linguaggio politico israeliano, i palestinesi diventano: “animali assetati di sangue”, “terroristi” o “scarafaggi drogati in una bottiglia”.

Sarebbe troppo conveniente etichettarlo semplicemente come “razzista”. Sebbene il razzismo sia palese, questo senso di supremazia razziale non esiste semplicemente per mantenere un ordine sociopolitico, in cui gli israeliani sono padroni e i palestinesi sono servi. È molto più complesso.

Non appena i combattenti palestinesi di Gaza hanno attraversato il confine meridionale di Israele, uccidendo centinaia di persone, nessun politico, analista o intellettuale israeliano sembrava interessato al contesto di questo atto audace.

Il linguaggio utilizzato dagli israeliani, ma anche da molti americani, dopo il 7 ottobre, ha creato la condizione necessaria per la micidiale risposta israeliana che ne è seguita.

Gaza crisis, July 2014. (Charity Organisation, Flickr, CC BY 2.0)

Secondo quanto riferito, il numero di palestinesi uccisi nei primi otto giorni della guerra israeliana contro Gaza ha superato il numero di vittime uccise durante la più lunga e distruttiva guerra israeliana sulla Striscia, soprannominata “Margine di Protezione”, nel 2014.

Secondo La Difesa Internazionale dell’Infanzia – Palestina (The Defense for Children International-Palestine, DCIP), un bambino palestinese viene ucciso ogni 15 minuti e, secondo il Ministero della Salute palestinese, oltre il 70% di tutte le vittime di Gaza sono donne e bambini.

Per Israele, nessuno di questi fatti ha importanza. Nella mente del Presidente israeliano Isaac Herzog, spesso percepito come un “moderato”, la “retorica secondo cui i civili non sono coinvolti è assolutamente non vera”. Sono obiettivi legittimi, semplicemente perché “avrebbero potuto insorgere, avrebbero potuto combattere contro quel regime malvagio”, ha detto, riferendosi ad Hamas.

Pertanto, “la responsabilità è di un’intera nazione”, secondo Herzog, che ha promesso vendetta.

Ariel Kallner, membro del Partito Likud del Primo Ministro Benjamin Netanyahu, ha spiegato l’obiettivo di Israele dietro la guerra di Gaza. “In questo momento, l’obiettivo è una nuova Nakba! Una Nakba che oscurerà la Nakba del 1948”, ha detto.

Gallant and U.S. Defense Secretary Lloyd Austin in Tel Aviv on March 9, 2023. (DoD, Alexander Kubitza)

Lo stesso sentimento è stato espresso dal Ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant, l’uomo responsabile della trasformazione della dichiarazione di guerra di Israele in un piano d’azione: “Stiamo combattendo contro gli animali e agiremo di conseguenza”, ha detto il 9 ottobre. “Di conseguenza”, qui , significava che “non ci saranno né elettricità, né cibo, né carburante. Un embargo totale”. E, naturalmente, migliaia di civili morti.

Poiché le massime autorità politiche israeliane hanno già dichiarato che tutti i palestinesi sono collettivamente responsabili degli eventi del 7 ottobre, ciò significa che tutti i palestinesi sono, secondo la valutazione di Gallant, “animali”, che non meritano pietà.

Prevedibilmente, i sostenitori di Israele negli Stati Uniti e in altri Paesi occidentali si sono uniti al coro, utilizzando anche loro il linguaggio più violento e disumanizzante, radicando così il linguaggio politico israeliano tradizionale tra la gente comune.

Nikki Haley, aspirante alla presidenza degli Stati Uniti, ha dichiarato a Fox News il 10 ottobre che l’attacco di Hamas non era solo contro Israele ma “è un attacco all’America”. Fu allora che fece la sua sinistra dichiarazione, guardando direttamente la telecamera:

“Netanyahu, annientali, annientali… annientali!”.

Sebbene il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden e il suo Segretario di Stato Antony Blinken non abbiano usato le stesse identiche parole, entrambi hanno fatto paragoni tra gli eventi del 7 ottobre e gli attacchi terroristici dell’11 settembre. Il significato dietro questo è chiaro.

Da parte sua, il senatore statunitense Lindsey Graham ha radunato i sostenitori conservatori e religiosi americani, dichiarando l’11 ottobre, sempre su Fox News:

“Siamo in una guerra di religione qui. Fate quello che diavolo va fatto. Radete al suolo Gaza”.

Non solo, un linguaggio altrettanto sinistro è stato, e continua, ad essere pronunciato. Il risultato è davanti agli occhi di tutti. Israele sta “sterminando” la popolazione civile di Gaza, sta “radendo al suolo” migliaia di case, moschee, ospedali, chiese e scuole. Di fatto, sta producendo un altro doloroso episodio della Nakba.

Da “I palestinesi non esistevano” di Golda Meir (1969) a “I palestinesi sono bestie che camminano su due gambe” di Menachem Begin (1982), a “I palestinesi sono come animali, non sono umani” di Eli Ben Dahan (2013), a numerosi altri riferimenti razzisti e disumanizzanti, il linguaggio sionista rimane lo stesso.

Ora tutto si sta allineando, il linguaggio e l’azione sono in perfetta sincronia. Forse è giunto il momento di iniziare a prestare attenzione a come il linguaggio genocida di Israele viene tradotto in un vero e proprio Genocidio sul campo. Purtroppo, per migliaia di civili palestinesi, questa consapevolezza è arrivata semplicemente troppo tardi.

Ramzy Baroud è un giornalista e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “La Nostra Visione per la Liberazione: Leader Palestinesi Coinvolti e Intellettuali Parlano”. Ramzy Baroud è un ricercatore senior non di ruolo presso il Centro per l’Islam e gli Affari Globali (CIGA), dell’Università Zaim di Istanbul (IZU).

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org