Biancheria intima utilizzata come arma: genocidio con un tocco semi-pornografico

Cosa dovremmo pensare delle riprese oscene di Israele a Gaza postate sui social media?

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Belén Fernández -12 aprile 2024

Immagine di copertina: Un soldato israeliano in un appartamento durante un’operazione di terra nella Striscia di Gaza, mercoledì 8 novembre 2023 [AP Photo/Ohad Zwigenberg]

Immaginiamo per un momento che, nel corso della guerra contro lo Stato di Israele, i militanti di Hamas della Striscia di Gaza comincino a posare per i post sui social media con la lingerie di donne israeliane costrette a fuggire dalle loro case e/o uccise in guerra.

Immaginate l’indignazione morale che ne deriverebbe, unitamente alle inevitabili accuse razziste e ipocrite di perversione araba, del barbaro sessismo dell’Islam e delle tendenze violente dei musulmani sessualmente repressi.

A quanto pare, una versione di questo ipotetico spettacolo è vera, tranne per il fatto che ha come protagonisti soldati israeliani e biancheria intima di donne palestinesi. Un recente articolo della Reuters intitolato “I soldati israeliani giocano con la biancheria intima delle donne di Gaza nei post online” descrive come i combattenti dell’autoproclamato “esercito più morale” del mondo abbiano “pubblicato foto e video di sè stessi mentre giocano con la lingerie trovata nelle case palestinesi, creando una documentazione visiva dissonante della guerra a Gaza”.

In un video evidenziato da Reuters, un soldato israeliano “siede sorridente su una poltrona in una stanza a Gaza, con una pistola in una mano e nell’altra biancheria intima di raso bianco che lascia penzolare  sulla bocca aperta di un compagno sdraiato su un divano”.

Un altro episodio visivamente “dissonante” presenta un soldato appollaiato su un carro armato, che procede a presentare la sua “bellissima moglie”: un manichino femminile che indossa un elmetto e un reggiseno nero.

In risposta all’inchiesta dell’agenzia di stampa, un portavoce militare israeliano “ha inviato una dichiarazione affermando che [l’esercito] indaga su incidenti che si discostano dagli ordini e dai valori attesi” dei soldati israeliani.

Eppure è di per sé piuttosto perverso parlare di “valori” nel mezzo di un genocidio e di una carestia provocata da Israele nella Striscia di Gaza.

Dal 7 ottobre, Israele ha ucciso quasi 34.000 palestinesi a Gaza, tra cui circa 14.500 bambini e 9.500 donne – numeri che si presume siano gravemente sottostimati. Più di 76.000 persone sono rimaste ferite mentre case, ospedali, scuole e tutto ciò che poteva essere bombardato sono stati bombardati. I bambini muoiono di fame.

Piuttosto che costituire una macchia isolata sulla moralità delle forze armate israeliane, quindi, i post sui social media riguardanti la biancheria intima delle donne palestinesi sembrerebbero essere in linea con la depravazione morale generale e quindi del tutto coerenti con i “valori” militari israeliani.

Il portavoce dell’Ufficio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha dichiarato che tali scene sono “umilianti per le donne palestinesi e per tutte le donne”. Quindi, per essere sicuri, si tratta di un massacro di massa.

Detto questo, c’è molto da dire su questo tipo di esercizio di semi-pornografia militarizzata, utilizzata  come un assalto calcolato alla dignità delle donne in una società prevalentemente conservatrice. In definitiva, l’ostentazione provocatoria della lingerie palestinese equivale a una violazione quasi patetica  dello spazio intimo delle donne di Gaza. Ma giocare con le mutandine delle persone che stai uccidendo porta la depravazione a un altro livello.

Chiamiamola feticizzazione orientalista con un tocco genocida.

Certo, non sono solo le donne di Gaza ad avere diritto a tale trattamento “umiliante”; anche i maschi di Gaza possono essere intimamente umiliati. A dicembre, dozzine di uomini e ragazzi palestinesi rifugiati in due scuole di Gaza sono stati arrestati dall’esercito israeliano, denudati e costretti a inginocchiarsi a terra.

Il degrado delle donne palestinesi è, tuttavia, tanto più oscenamente ipocrita, alla luce della condanna di Hamas, da parte dell’esercito israeliano, per la sua “discriminazione” contro le donne nel territorio che controlla. Una sezione del sito web militare in lingua inglese dedicata a “Lo status delle donne a Gaza” lamenta che “i diritti fondamentali sono spesso sistematicamente negati” alle donne, che si trovano ad affrontare “diminuite opportunità educative” così come “limitate opportunità di lavoro” – una situazione che è chiaramente meglio risolvibile con il bombardamento da parte di Israele, riducendo le opportunità in mille pezzi.

Il sito riporta che “la violenza contro le donne continua a ritmi allarmanti” nella Striscia di Gaza. Con almeno 9.500 donne uccise da Israele negli ultimi sei mesi, non si può dire che non sia vero.

E mentre la natura mista dell’esercito israeliano consente all’istituzione di presentarsi come un bastione dei diritti delle donne e dell’emancipazione femminile – leggi: uccisioni per pari opportunità – non mancano il sessismo intra-istituzionale e l’oppressione di genere. Un rapporto del 2022 del Controllore di Stato israeliano, ad esempio, ha rilevato che l’anno precedente circa un terzo delle donne israeliane che prestano il servizio militare obbligatorio avevano subito molestie sessuali.

Lo stato di Israele ha anche utilizzato come arma i corpi in bikini o seminudi delle sue forze combattenti femminili al fine di sessualizzare efficacemente la pulizia etnica, come nel caso della rivista Maxim del 2007 che si chiedeva in modo allettante se le soldatesse israeliane non fossero nei fatti “i soldati più sexy del mondo”.

Per quanto riguarda l’attuale tattica della lingerie impiegata dalle truppe esperte di social media a Gaza, l’uso dell’umiliazione come arma non fa altro che aggravare la sofferenza delle donne – e degli uomini – palestinesi che, costretti a fuggire dalle loro case, hanno già visto il loro spazio intimo violato in ogni modo possibile.

E poiché l’esercito israeliano allo stesso tempo si mette a giocare con la biancheria intima e a perpetrare un genocidio, si tratta davvero di una “registrazione visiva dissonante”.

 

Belén Fernández è l’autrice di Inside Siglo XXI: Locked Up in Mexico’s Largest Immigration Center (OR Books, 2022), Checkpoint Zipolite: Quarantine in a Small Place (OR Books, 2021), Exile: Rejecting America and Finding the World (OR Books , 2019), Martyrs Never Die: Travels through South Lebanon (Warscapes, 2016) e The Imperial Messenger: Thomas Friedman at Work (Verso, 2011). Collabora con Jacobin Magazine e ha scritto per il New York Times, il blog London Review of Books, Current Affairs e Middle East Eye, oltre a numerose altre pubblicazioni.

 

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org